A Bologna piove, mentre il freddo inverno prende il posto di un inesistente autunno, ai concerti all’aperto si sostituiscono quelli nelle stanze e nei garage, pieni di troppo calore che quando esci ti fa male il freddo del vento da cui ti eri riparato. Il Teatro dell’Antoniano, nonostante il preannunciato sold out, è ancora mezzo vuoto quando Broken Twin inizia a suonare, prima che arrivino i Daughter e le urla del pubblico. Scelta strana quella di fare un concerto in un teatro, ma ci hanno detto che il Covo era troppo piccolo per contenere la gente che sarebbe arrivata, o forse speravano di fare più soldi, e anche i Sex Pistols il primo concerto a Manchester l’hanno fatto in un teatrino abbandonato. Bologna, come sempre, porta tutti ai concerti. Ci sono i quarantenni stempiati in prima fila, le studentesse al primo anno e quello strato di giovani che si autodefiniscono hipster o indie in base al cappello che indossano o per l’altezza del risvolto dei pantaloni, ma ci sono anche persone senza etichetta e, ogni tanto, ti stupisci del fatto che questo genere di musica stia sfondando anche nelle fasce meno costrette, per immagine o per gusto poco convenzionale, a un certo tipo di musica fuori dai grandi circuiti.
Quella di Broken Twin è una musica profondamente teatrale, quasi in imbarazzo davanti a una platea che lentamente si riempie, in mezz’oretta ci prepara al live vero e proprio. Musica da teatro ma non teatrale, bloccata, fissa sul palco a muovere note che sanno di Beach House, XX e, naturalmente, Daughter. Un buon accompagnamento, forse quello giusto nella serata sbagliata, ma la classe di questa ragazza è indiscutibile. Lascia il palco fra gli applausi, non sembra entusiasta e la gente è troppo presa dall’hipster londinese che ti vende gli Ep all’ingresso e che non sa l’italiano. Noi ce la gustiamo anche perché, nonostante i rumori di fondo delle parole del pubblico, la sua musica riesce a ritagliare una dimensione diversa e inaspettata.
La sala finalmente si riempie, le luci si accendono e entrano uno a uno tutti i componenti live dei Daughter, ultima Elena Tonra, chiamata dal pubblico a gran voce. Voce splendida ed esecuzione perfetta, c’è poco da dire. Igor Haefeli, come un violinista, suona la chitarra con l’archetto in alcuni pezzi, con un’amore verso il proprio strumento difficilmente riscontrabile in altri musicisti, e ogni volta che cambia chitarra sembra quasi addolorarsi. La genuinità dei componenti della band, a partire dalla dolcezza della Tonra bambina sperduta ma completamente a suo agio sul palco, o i ripetuti ringraziamenti dopo ogni pezzo e lo scambio di battute fra di loro saranno uno degli aspetti più belli e caratterizzanti dell’intero concerto, di quelli che ti fanno sentire a casa e a tuo agio. L’inizio del concerto però, ci fa rendere conto subito dei limiti di un teatro per un concerto del genere, senza che la colpa sia dei Daughter. Sentirsi un concerto di questo tipo, seduti, è quanto mai limitante. La sobrietà che, inconsciamente, ti impone un teatro, con le sue maschere, le poltrone e l’assenza di movimento rischiano di rovinarti il concerto, oltre a dimostrarsi una scelta sbagliata. I Daughter partono comunque forte, Amsterdam è fra le prime ad essere eseguite, ma non riesci a lasciarti andare, perché con i primi smartphone che si alzano e ti impediscono una visuale decente fai fatica a non innervosirti e a sentirti quasi in colpa perché la band in piedi fatica per portarti le proprie canzoni e tu invece sei comodamente seduto, come se il sudore condiviso, fra pubblico e band, ti rendesse ancora più partecipe e non soltanto un essere passivo di occhi e orecchie o quello che paga il biglietto. Proviamo a lasciarci andare con Landfill e Winter, è inizia a funzionare, ti ci immergi e ti lasci trascinare via dall’esecuzione di altissimo livello della band londinese. Elena Tonra ringrazia e si emoziona. Una buona mezz’ora di live passa in fretta, poi arriva Candles, in una versione più veloce rispetto alla versione dell’album, ma forse è perché speri non finisca, e quasi vorresti salire sul palco e ringraziarli uno a uno perché ti stanno mettendo dentro qualcosa di nuovo. Indipendentemente dalle capacità musicali (eccelse) e dalla grande qualità dei pezzi è il loro comportamento a farti sentire felice di avergli comprato il cd e di essere andato a sentirli. Raramente vedi delle band così prese da quello che fanno, stupite dalla presenza di tante persone e dal calore con cui sono accolte e che ti dimostrano quanto sei importante per loro con un carico di sincerità e naturalezza, che nulla ha a che fare con l’ipocrisia o l’esercizio di stile di altre band. La gente lo capisce, e stanca di stare seduta si alza, riempie le uscite di sicurezza, a nulla serve l’intervento del personale, come un fiume in piena metà della platea si ritrova in piedi, finalmente.
Non ne hai abbastanza, e quando arriva Youth speri che non sia davvero finita. Non sei sudato, almeno nella pelle, ma dentro sei un fuoco. All’arrivo di questo pezzo, riconosciuto sin dal primo giro di chitarra, la Tonra accenna un coro da festival all’aperto, il pubblico la segue e ride con lei. Ti vengono quasi le lacrime a vedere i loro sorrisi. Quando pensi che tutto sia finito arriva Home. Le luci esplodono, la carica della band ti rapisce, il finale senza parole, allungato rispetto al solito, ti fa capire che anche loro non vogliono andarsene e che hanno bruciato tutto quello che avevano, proprio mentre l’apice arriva, con un tripudio di batteria e di chitarra, le luci si spengono su di loro. Se ne vanno, il pubblico li acclama e ritornano, sempre un po’ imbarazzati, e suonano la loro versione di Get Lucky, stasera hai sentito davvero tutto e alzarti in piedi ad applaudirli è l’unica cosa che puoi fare. E, come dice Haefeli prima dell’ultimo pezzo («We are very lucky to be here, Bologna») ti senti davvero fortunato.
L’unica cosa che puoi dirti è, mai più in un teatro, ma ancora Daughter, quello sì.
Foto a cura di Francesco Pattacini, tutti i diritti riservati ©
Setlist
Still
Amsterdam
Love
Landfill
Winter
Candles
Shallows
Human
Smother
Tomorrow
Youth
Home
Get lucky (Daft Punk Cover)
[divider]