Per molto tempo il mantra del risveglio dalla sensazione di un sentirsi di merda condiviso poteva essere opera di pezzi come Song 2 dei Blur: se ti aspetti di sentire quei Blur, quelli del ’97, quelli di Beetlebum, questo album robotico dal titolo che riesce a dire tutto in due parole non fa per te; se hai le orecchie aperte a quello che ci capita di ascoltare oggi allora questo disco ti emozionerà. Interpreta quel passaggio singolare in cui siamo tutti coinvolti dalla distorsione della realtà alla sua sintetizzazione. Del resto la collaborazione con Brian Eno parla da sè.
Potrebbe cullarti dolcemente, stavolta, Damon Albarn: Lonely Press Play è una dichiarazione d’amore lontana con quel suo verso ripetuto When I’m lonely I press play. Nella copertina dell’album se ne sta seduto a fissare il vuoto coi pensieri perduti, ma non dimentica di premere play. E’ comunque una vera manna dal cielo per Deezer poter permettere il play di questo album in esclusiva e anteprima streaming sulla sua piattaforma, così la gara con Spotify è rilanciata, e ci si accorge che la libreria musicale dei francesi è più fornita di quella degli svedesi (con un vantaggio di circa 5.000.000 di brani, se poi cercate i Metallica tornate a Spotify).
Parlavamo della culla in cui vi accompagna Albarn, soffusamente anche insieme a Natasha Khan (Bat For Lashes) per The Selfish Giant. Non è l’unica collaborazione dell’album: in You & Me ci sono i synth di Brian Eno, e nel pezzo di chiusura, Heavy Seas Of Love parte addirittura il featuring. Il video che preannunciava la collaborazione con Eno era già uscito, e in pochissimo il pezzo è già riuscito miracolosamente a farsi strada nella memoria: un disco che finisce così non può passare inosservato. Come non passa inosservato il salto indietro temporale e intimista che facciamo con Hollow Ponds.
Se non gli sarà perdonato l’aver scelto la via solista e impervia di un pezzo come Photographs (You are taking now) fa niente. In The History of Cheating Heart c’è tutta l’amarezza preventiva di una vecchia ballata.
Un disco commovente, che a tratti riesce a fendere e farti male, con una voce matura di Damon Albarn che a tratti sembra quasi un vecchio crooner.