A due anni da questo post troviamo queste riflessioni ancora valide, la pubblicità di Poste Italiane ha la colonna sonora di Nick Drake e per costruire c’è ancora tanto da fare. (ottobre 2015)
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Tre anni fa, quando aprimmo questa rivista (e mi sembra già di sentire le mie orecchie infarcirsi di blablabla, è almeno il quindicesimo post che inizi con questa solfa ormai vecchia); dicevamo, tre anni fa, l’editoriale d’esordio del blog L’indiependente titolava ”Ma che cos’è l’indie?”, e tentava di scavarne il senso, parlava addirittura entusiasta di una certa rivoluzione culturale che stava attraversando il paese, di una democratizzazione della musica e della cultura indipendente, e vattelapesca.
Questa democratizzazione, massificazione, o chiamiamola pure processo mainstream dell’indie, in realtà c’è stato sul serio: la pubblicità della Mercedes ha una band indie come protagonista, ma non è questo il solo punto su cui battere. Mi piace osservare i processi con cui le cose succedono, e mi piace osservare il livello di interesse e passione autentica delle persone: credo che siamo in un momento di forte stanchezza culturale, dopo un eccesso di stimoli. Farò un esempio a caso.
Una foto di un film di Truffaut. Per la maggiore all’inizio andava ovviamente uno scatto B/N di Jules et Jim, poi si è passati velocemente verso la saga di Antoine Doinel, e infine ai film minori di Truffaut; e poi cercando su Wikipedia un elenco di registi francesi, siamo andati verso Godard e Rohmer, ce ne siamo stancati, e allora il cinema francese è diventato addirittura contemporaneo o vecchissimo, finché non lo abbiamo coperto praticamente tutto. La prima reazione a queste foto che comparivano praticamente ovunque era d’incanto, poco dopo è diventata la stanchezza. Ora conosciamo il profilo di Jeanne Moreau a memoria. Il resto del cinema non è esente da questo processo, ci siamo rifugiati nel cinema israeliano, o quello dell’est Europa, ma le immagini sono “finite”.
Ovviamente vi aspettereste di sentir parlare anzitutto di quello che è successo alla musica indipendente, anche se stiamo parlando di una certa sensibilità culturale a tutto spiano, e anche se quello che è successo alla musica indie non è molto diverso da quello che è successo a Truffaut. Tutto è divertato iper-visibile, tutto è diventato monotono, tutto è stato portato alla luce. Sento che almeno per questo aspetto, abbiamo contribuito a questo processo nel nostro piccolo (non so neanche se sia stato un bene), e che ora ci troviamo al punto preciso di dover cambiare la direzione delle cose. Ora è tempo di costruire.
Abbiamo celebrato una sorta di memoria storica del Novecento, lo abbiamo intrappolato nelle schifosissime “nozioni” tutti insieme, grazie ad internet: ora sappiamo perfettamente chi è Elliott Smith, chi è Christopher Owens, e la relazione tra Garcia Lorca e Dalì, il triangolo di fuoco surreale con Bunuel, non ci stupisce più. Quali sono le nuove direzioni da trovare ora come ora? In un mondo completamente istantaneo.
Penso al caffè. E al fatto che non ci stanchiamo mai di prenderlo. Penso alla dipendenza. Penso al nostro primo slogan, ”della dipendenza dall’indiependenza”, e lo trovo già vecchio e ammuffito. Penso ai piccoli spazi rimasti di lotta e dissidenza. E mi fanno notare che anche le parole dissidenza e lotta sono iper-finite, intrappolate in schemi.
Eppure, al fondo delle cose ora viene la sfida più bella di tutte: la costruzione di nuove immagini, di nuove parole, di nuove idee. Si tratta ovviamente di un argomento che merita un approfondimento rispetto a quello che posso fare io. Non sto suggerendo di perdere i nostri riferimenti profondi, ma di essere persone che hanno profondi riferimenti sinceri, ispiratori chiaroveggenti.
Voglio bene a questo post e a queste parole: penso ci siano molte cose belle nelle cose che hai scritto. Credo anche che dobbiamo farla finita con la fine, cominciare a prendere le cose anche per come vengono, sono state, saranno, sono. Accettare responsabilmente quello che siamo, significa anche smetterla di essere iconoclasti o iconolatri: esiste una moltitudine di modi di essere semplicemente noi, senza ricadere necessariamente nel formalismo.
sono d’accordo Federico, e voglio bene al tuo commento 🙂