In che momento siamo diventati dei clown? In quale precisa virgola della storia ci siamo ritrovati così deboli? Che giorno è iniziata la crisi economica? Era un lunedì di pioggia o un venerdì col sole? Che ora era quando ci hanno rubato il futuro dai nostri cassetti? Dove eravamo noi quando tutto questo ci accadeva, con chi abbiamo passato il nostro ultimo giorno di libertà. Ci dicono che siamo stupidi, perché non sappiamo che governo scegliere o cosa votare. Siamo dei codardi perché ce ne siamo andati via e lasciando i nostri genitori annegare nell’Adriatico delle nostre paure, eppure se ci ritroviamo a Parigi, a Londra o a New York è anche per colpa loro. Ci diciamo che la gente è sciocca ma forse anche noi lo siamo, che non ci facciamo capire. Ci diciamo “tutto questo non cambierà mai” ma forse siamo noi a restare sempre uguali. Le persone seguono quelli che gli danno qualcosa in cui credere, noi avremmo potuto candidare solo delle illusioni. Noi, quelli metafisici lanciati contro al passato e troppo razionali per costringerci a guardare al futuro con speranze. Troppo di sinistra per fottercene del qualunquismo, troppo poco di destra per tapparci il naso. Così incatalogabili perché senza decisione, che neanche sui sondaggi ci conteggiano più e ci chiamano indecisi, quando il termine giusto sarebbe disillusi. Troppo poco coraggiosi per alzare la voce, che ci affidiamo ancora allo sguardo duro di papà. Persi ad analizzare i diagrammi della densità delle piazze per capire tra quali potremmo sentirci più protetti. Fondamentalmente troppo paurosi per credere di poter contare qualcosa. Quelli del troppo e del troppo poco, che non vinceranno mai le elezioni perché chi le vince ha le risposte e noi ci siamo sempre fatti le domande sbagliate.
Dove sono i ragazzi di strada di Majakovskij, anche loro, persi nelle stanze del partito. E gli intellettuali, nascosti dal buio delle loro sigarette. Gli scrittori di storie vere, il cui voto vale quanto quello dell’impiegato in cassa integrazione. I giovani con gli occhi pieni di cambiamento e di sorrisi. Gli operai che protestano con vigore e non più con la sola stanchezza. I genitori che piangono insieme ai figli e che fanno di tutto per cambiare un risultato già scritto. La lucidità nell’accorgersi che avanti così non si può andare. Dove sono i giornalisti che fanno tremare i palazzi, i politici che ci entrano e li abbelliscono di giustizia. Hanno perso la strada, perché il silenzio li ha guidati soltanto alla solitudine. Quand’è che il futuro è diventato una montagna e noi così pessimi scalatori. Alle elezioni vince sempre il partito dei se, dei ma e dei forse, quello della verità non vince mai. Per le false speranze rivolgersi all’ufficio novità e disperazioni dell’epoca.
Le grida dei bambini fanno paura agli anziani e le scuole sono vuote, scriveranno di noi fra qualche anno, come il popolo che ha abbandonato se stesso. Perché abbiamo reso precarie le nostre coscienze di cittadini, perché l’unica crisi di cui non sentiamo parlare è quella che ha più attecchito ed è quella dei contenuti. Da queste elezioni è emerso un solo dato, nessuno ha vinto e tutti hanno perso. Ma c’è chi perde di meno e chi perde di più, ma quelli che perdono di più sono sempre quelli che hanno meno, com’è questa storia? Dalle ultime elezioni è emerso un solo dato. Ci hanno messo così tanta paura dei brogli che ci siamo confusi pure noi e non sapevamo più per chi votare, ma forse non è una novità. Ma c’è chi festeggia comunque.
Tempo fa di fianco al bar dei nostri nonni si formavano come delle specie di assemblee pubbliche. Poca roba, di solito si discuteva di calcio. Ora si parla di politica e di economia. Come i bambini che non giocano più a pallone perché sono chiusi in casa con i videogames e i parchi se li vivono solo quelli che la Playstation non se la possono permettere, o hanno scoperto che la droga li fa divertire di più. Anche le coppiette si baciano di nascosto, più per paura dei paparazzi che dei genitori conservatori. Fra qualche anno quei bar saranno chiusi, non sarà colpa della crisi economica ma non ci saranno più clienti. Saremo tutti in parlamento o alla banca europea e non avremo tempo per una birra in compagnia. Se non ci saremo noi ci saranno quelli identici a noi, ma con più stile. Perché un paese che non sa chi votare non è un paese soltanto con una classe politica ridicola, ma un paese di individui che non sanno più stare in compagnia. Perché la competizione, quella sì, ci ha ucciso tutti. Ma almeno una risata ce la faranno fare, ah ah ah.