“La responsabilità penale è personale. / L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. / Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. / Non è ammessa la pena di morte.”
Questo è il testo dell’art. 27 della costituzione e non lo cito per una volontà dialettica abusata e poco costruttiva, ma perché credo fermamente che il carcere andrebbe – se non estinto – riformulato in un paradigma che mira alla reale educazione, ad un reale innalzamento culturale e ad un serio percorso di re-integrazione nella società attraverso l’uscita dalla devianza.
Ieri, 28 luglio 2012, un detenuto di Regina Coeli non ha potuto conseguire la seduta di laurea a causa di un permesso orario negato. Il Garante ha dichiarato: “Per una settimana la magistratura di sorveglianza ha tenuto tutti in attesa: la famiglia, il detenuto, il nostro ufficio, la direzione del carcere, l’università. Poi, a poche ore dalla discussione, ha deciso di respingere la richiesta di permesso facendo sfumare tutto. Una vicenda incredibile e avvilente anche perché è stata sgradevole la tempistica, visto che il diniego è arrivato solo a poche ore dalla discussione della tesi.”
L’uomo – che portava una tesi sullo studio dei disegni e degli scritti effettuati dagli ebrei nei lager nazisti – stava per conseguire la laurea in Lettere e Filososfia ma ha (giustamente) deciso di non laurearsi più in carcere, ma di aspettare un anno quando finalmente sarà un uomo libero. Una sconfitta per chi da anni, associazioni e volontari, si batte per un carcere migliore.
Pare che tutto sia dovuto alla burocrazia e che la causa del diniego sia una procedura precedente, la quale era in attesa di essere messa in atto dal gennaio scorso. Alla luce di questo il garante ha poi aggiunto che la vicenda “è anche lo specchio della complicata situazione in cui versa il tribunale di sorveglianza di Roma, caratterizzata da ritardi e lentezze nel rispondere alle esigenze del sistema carcerario e, in alcuni casi, da una durezza nelle decisioni verso chi deve scontare la pena e non merita un ulteriore grado di giudizio“.
In pratica, ciò che ci insegna questa storia è che viviamo in un paese in cui non solo il carcere è un’istituzione completamente abbandonata nella ferruginosità di una burocrazia lenta e impreparata, ma anche nella mentalità per la quale i “reietti”, che sono chiusi tra quelle mura, non meritano di alcuna attenzione, anzi, vanno dimenticati lì se possibile. Laurearsi? Ma chi… “quelli”?
P.S.: «In carcere ho letto Tolstoj e Machiavelli. Machiavelli mi è piaciuto di più, anche se ho trovato disgustoso il suo modo di pensare la politica, che poi rispecchia quello di oggi. Viviamo seguendo Machiavelli, Machiavelli ha vinto, ma Tolstoj ci ha parlato di come liberare l’uomo, del come ribellarsi al governo» – Mike Tyson
(Foto dalla Rete)