È la mattina di sabato 10 Novembre, da qualche giorno Israele e Palestina si scambiano i consueti missili, che non feriscono persone o danneggiano abitazioni, giusto per mantenersi in allenamento e ricordarsi in che mondo si vive. Mancano ancora quattro giorni all’inizio dell’Operation Pillar of Defense che tutt’ora imperversa su quei territori. Quattro ragazzi, dai sedici ai diciannove anni, stanno colpevolmente giocando a pallone dalla parte sbagliata del muro, vengono colpiti e di loro rimane solo una notizia dell’Ansa, nemmeno troppo importante per i quotidiani europei. Lo stesso destino capita, il giorno dopo, ad un insegnante di educazione fisica israeliano, ancora una volta dalla parte sbagliata del muro, ma a lui va meglio, viene solo ferito agli occhi, probabilmente non ci vedrà più. Il muro sulla striscia di Gaza ha la grande capacità di separare il territorio in due parti, entrambe sbagliate ed entrambe bersaglio di due parti che si ritengono l’una migliore dell’altra.
È il 14 Novembre, con la morte del capo militare di Hamas, Ahmed el Jabari, l’operazione ‘Pilastro di difesa’ è cominciata e la crisi è sotto gli occhi di tutte le testate giornalistiche, ma ancora relegata a pagina 5, perché le vittime sono ancora troppo poche. Il primo ministro Netanyahu minaccia già incursioni militari via terra che, per i non maniaci dei film di guerra e per quelle popolazioni, significa caos e bagni di sangue, degni della prima pagina de Le Figaro e di Repubblica che, effettivamente, ce li mette il 15. Intanto tutti i ministri europei si riuniscono per spartirsi le colpe e il loro scarso interesse, arrivano anche le parole del neo presidente Barack Obama, che si maledice perché non può neanche godersi la vittoria che succede qualcosa. Il premier Monti, dal Kuwait, dice che l’Italia, dopo di lui, potrebbe non essere affidabile e questo è un buon titolo per scalzare il conflitto dalla prima pagina. È, già, il 20 Novembre e, in Egitto, si parla già di tregua, ma mai di pace, ci si rincorre sugli aiuti, sull’intervento dei caschi blu, sulle condizioni delle due parti, ma non si propongono risoluzioni. Ci sono già 126 morti dalla parte palestinese e quattro da quella israeliana, i feriti non si contano già più, i giornali italiani ritornano a parlare della lotta per il partito tra Renzi e Bersani. La crisi israelo-palestinese in Italia è già finita, perché è statisticamente provato che a pagina 6 il livello medio di attenzione che una persona presta alla lettura dei quotidiani è pressoché esaurito, se c’è qualcuno che ha ancora voglia di leggerseli quei giornali. Alle 18:00 leggo su un blog, che fa la cronaca in tempo reale del conflitto: «l’economia di Gaza è completamente in ginocchio. Dei quattro mercati ne sono rimasti aperti solamente due e la paura per il futuro è enorme», alle 18.15 arriva un altro aggiornamento: «non c’è altro modo per definire quel che sta accadendo a Gaza: è una vera e propria strage. Altri 8 civili sono stati uccisi oggi durante un bombardamento israeliano. Un missile partito da un drone ha ucciso un bambino, Mohamed Ibrahim Ashour, che stava giocando a palla con alcuni coetanei. Eppure, la situazione di tensione che si è creata storicamente fra Israele e la Palestina, la narrazione di questo conflitto, impedisce quantomeno una condanna unanime da parte della comunità internazionale». Strano, mi dico, sorpreso dal fatto che le persone che vivono in quelle zone possano parlare di ‘paura per il futuro’, quando nemmeno l’oggi gli è assicurato, che potresti essere a fare la spesa mentre un missile ti sta cadendo addosso senza motivo.
Siamo così abituati a sentir parlare di Israele e Palestina solo in questi momenti, quando si combattono e le speranze si affievoliscono, che non diamo mai attenzione alla loro possibilità di vita pacifica o ai loro sogni, proprio noi che, in guerra eppur non siamo, e non sappiamo neppure cosa sia il futuro, qui, in Italia. Su Facebook gira da qualche giorno, almeno tra i contatti che possiedo, la cartina di quella parte del mondo, su cui credo Dio abbia chiuso un occhio da un pezzo, che mostra la lenta espansione dei possedimenti israeliani nei confronti di quelli palestinesi, e il bianco va lentamente a strangolare il verde, fino a lasciarci soltanto qualche isoletta qua e là. La notizia della tregua non è ancora arrivata, non si sa se questa sera si addormenteranno tutti senza paura, se si possa non avere paura in quei letti. Chissà quali favole racconteranno quei genitori che hanno ancora il coraggio di mettere al mondo dei figli, in quel posto. “Abbiamo una mano tesa verso la pace, nell’altra brandiamo una spada”, sono le ultime parole del primo ministro israeliano in merito al lavoro che si sta facendo trovare un punto d’accordo. Parole che lasciano presupporre, ancora una volta, che una svolta a quel ‘gran casino’ della Palestina non arriverà. Perché di questo si tratta, di mani che si stringono brandendo armi per pugnalarsi alle spalle, perché nessuno è disposto a cedere qualcosa per il bene della pace, perché a pagarle, queste lotte infinite, sono sempre i più deboli, quelli che cercano una quotidianità nella propria vita, che stanno semplicemente giocando a calcio per passarsi il tempo. Un tempo che, ancora una volta, ha lo stesso sapore della polvere da sparo che sembrava per un attimo essersi acquietata, un tempo che, in queste ore, si è fatto più pesante che mai. Un tempo per cui noi, in Italia, non abbiamo nemmeno la voglia di dedicarci.
Fonti:
Ansa.it
http://www.polisblog.it/post/30453/israele-palestina-gaza-strage-di-bambini-e-civili-ancora-morti-aspettando-la-tregua#live_anchor