Per evitare eventuali moti di sdegno, faccio presente che chi scrive ha letto Gomorra e gli è pure piaciuto.
E’ stata negata l’autorizzazione a Sky e alle sue telecamere di poter riprendere nuovamente l’interno delle Vele (palazzo simbolo dello spaccio di droga e della povertà partenopea) allo scopo di girare la nuova fiction di Gomorra. Si è scatenato l’inferno e Saviano ha scritto un articolo su Repubblica in cui attacca l’amministrazione comunale con un j’accuse pesantissimo. Lo stesso Saviano avrebbe contribuito alla produzione della serie spiegando che è una necessità la narrazione dei fatti di camorra, è una necessità mostrare certe realtà e che la «censura» non fermerà la denuncia.
Diciamolo, il motivo per il quale si vogliono usare le “Vele” di Scampia è quello di poter far scrivere sui giornali che il film ha dissacrato – nuovamente, già era stato fatto con il film – il “centro della camorra”, il luogo simbolo della malavita partenopea. Roberto Saviano sa perfettamente che le Vele non sono un covo di ladri, ne tanto meno una base decisionale, ma un condominio che vive una realtà drammatica, al cui interno ci sono situazioni quali lo spaccio e lo sfruttamento della prostituzione (le due cose sono conseguenze e non cause di camorra). Le autorità in proposito non fanno nulla e la sua voglia di spiare dallo spioncino è funzionale al guadagno, dato che le Vele ormai sono un “logo”, una “cosa che fa figo” a parlarne, ma non una realtà sulla quale ragionare criticamente: il ghetto è lì, tutti ne prendono atto, tutti si indignano e nessuno si da una mossa, associazioni a parte.
Saviano scrive su Repubblica.it: «Mi domando, ma davvero è possibile bloccare il racconto di un territorio? Davvero è possibile bloccare il racconto di un territorio dove negli ultimi mesi è riesplosa una guerra per il controllo delle piazze di spaccio? È possibile bloccare il racconto di un territorio dove le organizzazioni criminali hanno violato i cancelli di una scuola materna facendola diventare zona di guerra?» Sono pienamente d’accordo. Non è possibile fermare il racconto di tutto questo. La gente vuole – anche grazie a Saviano – sapere cosa accade nelle periferie napoletane, desidera farsene un’idea, brama che certe realtà non siano nascoste sotto il tappeto. Il problema è: che cosa c’entrano le telecamere di Sky, la necessità di riprendere dall’interno le vele di Scampia, il voler puntare l’occhio invadente all’interno di una casa popolare, con la narrazione della criminalità organizzata? Perché usare necessariamente quelle pareti per mostrare lo stoccaggio della droga?
Pare, dalle sue parole, che non esistano altre location in cui girare una fiction, perché di questo si tratta, una fiction, non un documentario in copyleft e messo su youtube a disposizione di tutti. La fiction prevede un profitto, lo sfondo delle Vele diventa una merce con cui implementare il valore dell’opera e ne aumenta la vendibilità. Tutto questo non è denuncia, è speculazione. Dalla stessa pagina di Repubblica, Saviano parla di speculazione: «Si utilizza la scusa del “basta speculare su questa terra” per nascondere le contraddizioni, per non mostrarle». Ma è necessario creare copyright, mandare un plotone di telecamere in una terra martoriata violando l’intimità della povertà delle persone ancora una volta, per poter mostrare le contraddizioni di Napoli? E’ necessario farne un profitto? Ma soprattutto perché ancora le Vele?
Caro Saviano,
le “Vele” di Scampia non sono una merce. Al massimo sono un dramma, il simbolo di una ghettizzazione che esiste e resiste nelle periferie urbane malgrado l’ovvia contraddizione – quella si che viene celata ogni giorno – di un mondo globalizzato e interconnesso, che ha la possibilità di mettere occhio ovunque e che possiede la facoltà di denunciare davvero la condizione di isolamento del quartiere. Il raccontare le periferie alla Gomorra maniera (del libro) è un bella tecnica, si chiama “saggismo romanzato” e dovrebbe essere perseguito, riprodotto, ampliato e studiato ogni giorno. Lo sai fare bene, continua a farlo. Non vedo l’ora di leggere un tuo prossimo libro in cui fai nomi e cognomi di politici e mafiosi, di magistrati e poliziotti corrotti, ma non di luoghi e di comuni, di condomini e di quartieri i quali semmai sono “vittime” della camorra e non il contrario.
In Gomorra, a pagina 75 dell’edizione Mondadori Strade Blu, scrivi a proposito delle Vele: «Una disoccupazione cronica e un’assenza totale di progetti di crescita sociale hanno fatto si che divenisse un luogo capace di stoccare quintali di droga, e laboratorio per la trasformazione del denaro fatturato con lo spaccio in economia viva e legale». Sono d’accordo, la soluzione non è quella però di trasformarlo in un luogo-logo, che porta soldi a te e a Sky, ma quello di proporre – come implicitamente dici – piani politici di crescita sociale e della creazione di una via d’uscita dall’isolamento nel quale riversa.