Il giovedì è il giorno da sperimentare, è quello di mezzo, fra l’inizio e la fine della settimana e, per certi versi, quello più insignificante. Avere un progetto per come riempirlo è già qualcosa, finire dentro l’underground della sperimentazione un’altra. Così ci siamo rifugiati insieme a poche altre persone dentro al BlahBlah di via Po, in quella parte di Torino che fa da sottofondo ai grandi movimenti del Club to Club e che rappresenta la parte più propedeutica di approcciarsi alle nuove evoluzioni musicali, probabilmente senza saperlo, in cui al posto del necessario movimento che la musica elettronica richiede ai grandi concerti, c’è più calma e più possibilità di assaporare il ritmo senza dover strafare o strafarsi. Nel racconto di questo giovedì la voce narrante è quella di Barbara Lenhoff, in arte Camilla Sparksss, reduce dall’uscita del primo LP For You The Wild, mentre il corpo è quello di Shondel.
Appare evidente che non si tratta soltanto di un concerto, anche perché la parte musicale è in qualche modo sacrificata a quella della performance visiva a cui stiamo assistendo. Forse è perché la musica la conosciamo già, ce ne siamo riempiti le orecchie prima di presentarci, e non c’è una vera distinzione fra live e studio, e questo genere di hyper pop perde un po’ sulla realizzazione dal vivo, provenendo da campionamenti e ritmi già prestabiliti e che, modificandoli troppo, perderebbero il loro senso. Forse proprio per questo la parte più fisica della performance diventa necessaria, non tanto per distrarre l’ascoltatore, ipnotizzato dai movimenti e dalla bellezza con cui sono eseguiti, quanto per creare un mash up di sensazioni complesse, visive e uditive, che fanno immergere completamente lo spettatore, mentre i bassi lo isolano dal resto dell’ambiente. Questa complicità è resa anche dalle continue discese in mezzo alle persone delle due ragazze, dal modo in cui si muovono e come si rapportano con il pubblico solo in apparenza raffreddato dal dicembre che c’è fuori, perché più spaesato da una esibizione che, probabilmente, non si sono mai trovati davanti. C’era una componente di dolcezza disturbata, nell’opposizione della ritmica ossessiva con quella più mediata delle loro fisicità, che creava uno stato di tensione fra l’essere a proprio agio e l’essere permanentemente allerta all’avvicinarsi di ogni cambio di situazione, così forte da trasformare il rapporto fra spettatore e musicista in uno più intimo di cosa guardata e di chi guarda. In questo rientra, principalmente, la sperimentazione di Camilla Sparksss, nel trovare una mediazione fra l’arte più performativa e la musica dalle sonorità pop ed elettroniche che la contraddistinguono.
Quello a cui abbiamo assistito è stato un continuo lasciarsi e prendersi, in cui a ogni cosa lasciata se ne raccoglieva un’altra. Così è stato per la musica, il cui lato live, come già detto, è stato minimo per come eseguito ma con delle sonorità interessanti, ancor di più quando a spezzare l’ossessività della drum machine c’erano le urla e la voce di Camilla, a rendere frastornante e complesso il sound. A concerto finito le ragazze rimangono nello stage a vendere i dischi, noi ne prendiamo uno e le salutiamo, prima di andarcene via definitivamente, verso l’inizio di un nuovo weekend.
Foto a cura di Alessia Naccarato