21 Luglio @Parco dei Camaldoli
Niente di meglio che passare una serata d’estate afosa napoletana al Parco Dei Camaldoli, e per questa freschezza improvvisa e gita fuori porta bisogna ringraziare Bulbart che ci guida verso il “Festival dell’Orso“: la Napoli alta, quella che corre persino sopra il Vomero e Posillipo è una Napoli che si copre a sera tarda con giubbini arditi, dicono che fa freddo, ma il ricordo delle notti insonni di calura ci consente di resistere ed apprezzare. Se poi il tutto è contornato da musica e stand all’aperto che servono da bere e mangiare, ma anche fare shopping compulsivo, le cose vanno anche meglio. ”Torneremo abbronzati di luna”, ci diciamo mentre saliamo sempre più alti verso l’Eremo dei Camaldoli, e poi ci mischiamo alla folla che cammina buia nella foresta di alberi. E’ un contesto già di per sè poetico, mentre riscendi il vialetto pieno di verde e arrivi all’anfiteatro: da un lato hai Napoli sotto i piedi, con tutto il suo panorama (vedi Napoli e poi muori), e poi c’è la musica che ti accompagna le orecchie.
Quando arriviamo hanno appena cominciato a suonare i Low-fi, gruppo di base a Napoli ma dal sound non napoletano, tanto che qualcuno dice ”questi sembrano venuti da Berlino”, e come dirgli che no, quando basso e chitarra incalzano e ci rapiscono sullo sfondo di un buio interrogativo, dove i volti degli altri somigliano a chiaroscuri di cui sfuggono i lineamenti precisi e l’incalzare degli sguardi, e durante Something (che è uno di quei pezzi da riacoltare in loop) tutto diventa berlinerstyle, anche la birra se stai sorseggiando birra, e il fresco addosso. I Low-fi sono una conferma. È un festival per tutte le orecchie preparate al Ventunesimo secolo, abbiamo anche il tempo di impostare una diatriba sul senso profondo del sottofondo musicale che sta diventando la musica elettronica oggi mentre sul palco preparano i Mac per far suonare Machweo, nome d’arte di Giorgio Spedicato. Per capire di cosa stiamo parlando quando parliamo del sound-Machweo vi consigliamo un brano a caso, U sad, un’electro liquida e percussiva con pezzi lunghi ed avvolgenti. Se siete di quelli che alla parola elettronica storcono il naso, dimenticate la house che si ascolta in discoteca e si balla col braccio alzato: la chillwave che si respira al parco dei Camaldoli è l’ondata di fresco che si prova ad immergersi in una piscina, il brividino dietro la nuca di una folata di vento, e la proposta Machweo è di quelle che conquistano al volo.
Tanto che, subito dopo, sale sul palco Go Dugong e non ci entusiasma poi tanto, sarà forse perché nella sua elettronica è preponderante un uso massiccio dei sample vocali. Certi sound sono una questione di sentimenti: qui non contano i testi, ma la musica viva nella carne, e se non rapisce non rapisce. Go Dugong ricorda più un pezzo controversamente mainstream come A.M.A. di Maps, che ha momenti in cui arriva diretta e altri in cui sembra di stare dentro una dancehall nel 2001. La chiara sensazione che abbiamo è che comunque questi performers nulla abbiano da invidiare alle sonorità che siamo abituati a farci arrivare dai laptop di ricchi e talentuosi ragazzi dell’UK o degli USA: è musica che suona moderna ed è bello che le si dia spazio anche a Napoli.
Infine arriva il nome di punta della prima serata della rassegna, ovvero la Casa del Mirto, progetto dall’anima trentino-jugoslava che suona elettronica. Sono in tre dietro le macchine e un frontman alla voce, con tanto di cappellino bianco. Le atmosfere sono rarefatte e oniriche, la loro musica coinvolge e muove una grande massa sonora. Pezzi lunghi, atmosfere dilatate e loop continui per un raffinato mix di dream pop e glo-fi. La musica dei Casa del mirto è evocativa, come il loro nome e avvolge e inghiottisce come un vortice vellutato e piacevole al tatto.
Il primo giro è andato bene, vi resta un’altra occasione per non perdere lo scenario dei Camaldoli invaso dalla musica del Festival Dell’Orso e rinfrescarvi dall’afa violenta. Fate tardi, e perdetevi nella natura.
Foto a cura di Michela Sellitto