Ho conosciuto la musica di Dario Brunori quando ancora non era un big della scena indipendente italiana, quando ancora i suoi concerti erano gratuiti e suonati in piccole sale gremite e quando aveva ancora i baffi. Ciò che più mi aveva colpito di lui era la spontaneità della sua musica: melodie semplici ma dirette, e testi che si lasciavano mandare a memoria con estrema facilità. Altro suo punto di forza era la carica cabarettistica dei suoi live, con gli intermezzi, il suo fare spigliato, questi ritornelli a volte sgraziati cantati a squarciagola e con convinzione. Dopo il secondo disco la fama del patron di Picicca è salita ulteriormente, tanto che più di una volta mi è capitato di ascoltare qualche cantautore wannabe proporre in piccoli locali o a degli open mic vere e proprie cover di pezzi come Guardia ’82 o Italian Dandy, schiaffandole senza troppi complimenti tra un De Gregori e un Tenco. Questo trucchetto riusciva però perché nella musica di Brunori c’era una componente caratteristica e immediatamente riconoscibile, c’era già uno “stile Brunori” fatto di melodie semplici e di voci svagate. Ora, non ho scritto questo lungo preambolo per millantare un cambiamento più pop, una perdita dell’originalità o altre sciocchezze del genere, semplicemente perché considero ingiusto chi attende un artista al varco per rinfacciargli la ripetitività, se poco o nulla cambia dal suo stile precedente, o l’essersi venduto, quando la sua opera prende derive più pop. No, questo volume terzo dell’opera del cantautore di Cosenza rappresenta un passo avanti nell’evoluzione della sua musica, ma un passo avanti che indubbiamente deve moltissimo a svariati altri artisti che hanno fatto la storia del cantautorato in questo paese, come Battisti, Rino Gaetano, Endrigo ed altri. Il Cammino di Santiago in Taxi è un disco che si fa carico di una tradizione tutta nostrana cercando di reinterpretarla alla luce del ventunesimo secolo. Non bisogna poi scordare l’evoluzione delle tematiche: se il volume primo era una sorta di nostalgica autobiografia dell’infanzia, e il secondo una raccolta di storie altrui per dipingere il cosiddetto “paese reale”, questo terzo lavoro è più intimistico e al contempo più eclettico. Più intimistico perché troviamo un Brunori che esprime in qualche modo i suoi pensieri più profondi, i suoi rimpianti e la sua filosofia, senza filtri di alcun tipo; più eclettico per la varietà delle tematiche trattate o anche solo toccate.
L’incipit è tutto per De Gregori con i quattro accordi al piano in crescendo di Arrivederci Tristezza e l’andamento spensierato della linea melodica. Segue, a fare da contraltare, Mambo Reazionario, pezzo frizzante e, a modo suo, di denuncia sociale, di cui mai e poi mai potremmo dimenticare il verso “E la rivoluzione, Che Guevara e Pinochet adesso ballano felici sulle basi di Beyoncé”.
Ed è proprio qui che abbiamo subito un assaggio della scrittura dicotomica di Brunori, che come sempre alterna languide ballate strappa lacrime a brani meno seri e dai ritmi più coinvolgenti.
All’interno della prima categoria si piazza, Kurt Kobain, il singolo che già aveva introdotto il disco e che aveva diviso l’opinione pubblica (si fa per dire, ovviamente) sull’uso sconsiderato di una figura pesante come quella del defunto leader dei Nirvana. Lasciando certi discorsi da parte, il brano risulta comunque un po’ tirato e non è certo quanto di meglio quest’album abbia da offrire. Altre due anime di Volume Terzo sono l’alternarsi tra il gusto acusticheggiante degli esordi ed una ricerca strumentale più elaborata, che mostra un’evoluzione non solo dal punto di vista tematico ma anche da quello stilistico. Ma le allegre schitarrate dei primi tempi la fanno ancora da padrona in brani come Le quattro volte, anche se l’insieme è più curato e sfocia in elaborati virtuosismi che sdoganano definitivamente l’uso del synth da parte del cosentino. Il Santo Morto è un pezzo curato e ci conferma una volta di più l’insana passione di Brunori per Padre Pio e per le tematiche religiose in generale; la parte musicale è una delle più elaborate ed interessanti e sottolinea una capacità compositiva dell’autore superiore rispetto a quella dei primi lavori, che già era venuta a galla nella colonna sonora di E’ Nata una Star. Il Manto Corto è in sostanza il prosieguo strumentale, pop ed elettronico del brano precedente, nel probabile intento (in parte raggiunto) di dimostrare una maggiore poliedricità. Con Maddalena e Madonna si torna nel campo dei drammoni, ma di quelli scritti bene, con le parole giuste al posto giusto, gli effetti giusti, la melodia giusta e con un ritornello crescente ed esplosivo, che tutto deve a ciò che di meglio ha prodotto il nostro paese nell’ultimo secolo; da segnalare inoltre la presenza di un’altra delle figure topiche della poetica brunoriana, aka Frate Indovino. In Nessuno si sentono Battistie e altri cantautori che hanno seguito il suo esempio nel passaggio tra gli ’80 e i ’90, mentre Pornoromanzo è più debitrice al pop dei Baustelle de La Moda del Lento. E se con La Vigilia di Natale torniamo ai brani struggenti e strumentali sulla cifra de Il Giovane Mario o di Come Stai, il finale in tre tempi affidato a Sol Come Sono Sol richiama inevitabilmente i temi di Rosa, una versione più mesta del valzer La Mosca e la quieta rassegnazione di Bruno dove sei, in un mix perfettamente equilibrato e commovente che chiude in gloria un’opera di buona fattura.
Dopo il singolo uscito in gennaio ero molto dubbioso nei confronti di questo terzo disco, ed ho dovuto ricredermi. Ad un ascolto attento Il Cammino di Santiago in Taxi si presenta come un album maturo in cui per buona parte Brunori rimane collegato ai punti cardine della sua poetica. L’evoluzione si trova invece in una maggiore attenzione alla parte strumentale, una cura meticolosa, tipica di un artista giunto ormai alla sua quarta opera e con una carriera discretamente lunga alle spalle. Alle molte critiche di cui ho letto, che l’accusano di mancanza di originalità e di dipendere troppo dagli artisti del passato a cui si ispira, mi sento di rispondere che la cifra stilistica che ha da sempre caratterizzato la sua opera non scompare né si attenua, e che pur nel legittimo rispetto della tradizione, trovo che siano maggiori gli aspetti di innovazione rispetto a quelli da retromania. Un’ennesima buona prova dunque per la Brunori SAS, che molto probabilmente con questo disco farà il passo definitivo verso una consacrazione a mia opinione meritata.
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