Torna avvolta nel suo vestito migliore la musica del compositore napoletano Bruno Bavota che, dopo l’uscita del terzo album The Secret of the Sea, ha deciso di insegnare la tecnica della levitazione ai suoi ascoltatori. Sembra di poter fluttuare nell’aria e di riuscire davvero a respirare tutto quanto il mare aprendo i polmoni, inspirando con il naso ed espirando con la bocca, così come farebbe un bambino che velocemente corre sulla sabbia incandescente, calciando le onde, spaventato e felice di fronte al muro d’acqua che si infrange contro la scogliera.
Non c’è trucco, non c’è inganno. Ci vuole abilità nel pizzicare le corde dell’animo umano, non basta saper fare dei semplici giochi illusionistici. Bruno Bavota non nasce infatti seduto al pianoforte come un qualunque piccolo prodigio destinato al successo, prima ancora scopre il piacere di attraversare coi polpastrelli la cassa di legno della chitarra del fratello, per poi cominciare a vent’anni a scrivere la propria musica, mettendosi alla prova come pianista. Realizzarsi per quest’artista significa prima di tutto liberarsi dal peso dei suoi fallimenti, ma allo stesso tempo saperne anche fare tesoro, evitando con accuratezza le strade più comode.
In The Secret of the Sea, rispetto ai due precedenti dischi, La Casa sulla Luna (2013) e Il Pozzo D’Amor (2010) – pur ritrovandoci di nuovo davanti ad una narrazione completamente strumentale – come pubblico contemporaneo abituato alla presenza del cantato, riusciamo in questo caso a sentire sempre meno la necessità di una voce che accompagni le note: basta veramente solo la partitura a parlare attraverso quella melodia tracciata sul pentagramma.
Nel cuore Bruno Bavota ha il mare bagnato dal sole della sua Napoli, ma per questo terzo disco ha scelto di volare nella verde e lussureggiante Irlanda dove si è affidato alla Psychonavigation Records per creare un disco dalle sonorità alla Ludovico Einaudi, con atmosfere influenzate dai ripetuti ascolti dei Sigur Ros.
A dare il via alle danze è Me and You: si tratta di un brano dal sapore intenso, in cui i protagonisti indiscussi sono l’uomo e il mare, messi l’uno di fronte all’altro come a volersi specchiare, riflettendosi tra le pieghe delle onde e tra i movimenti del corpo. Le dita camminano ancora lente sulla tastiera quando comincia Les Nuits Blanches, ma in men che non si dica, la canzone che trae ispirazione dal romanzo breve di Dostoevskij aumenta il suo passo, diventando una corsa ostinata tra i tasselli bianchi e neri e la notte sembra non voler più finire per gli amanti sinceri.
L’intero album è come assediato da una brezza marina che vorticosamente ed ininterrottamente raccoglie a sé tutto ciò che trova sul proprio cammino. The Man Who Chased The Sea, dalla verve quasi folk e la conclusiva Chasing Stars sembrano scritte per stupire l’ascoltatore distratto, per farlo entrare a contatto con la melodia perché attratto soprattutto dal ritmo. Altra grande protagonista di The Secret of the Sea che non solo accompagna il piano, ma ne diventa strumento caratterizzante come in If Only My Heart Were Wide Like The Sea e in Constellations è la chitarra acustica. Le corde pizzicate e la ripetitività degli accordi le conferiscono piuttosto il suono di un liuto rinascimentale, ma senza intaccare l’intensità dell’esecuzione.
Tra i punti di maggiore tensione vi è Plasson, dove le increspature delle lenzuola diventano la spuma bianca del mare e l’assolo del pianoforte ha la capacità di martellare e percuotere, fino a far vibrare e ad annientare le poche certezze rimaste all’uomo di oggi. Di questa raccolta non si vorrebbe perdere un secondo, nessuna sensazione, nessuna nota e mantenere tutto quanto vivido come un disegno mentale chiaro da proiettare nella propria memoria, come la colonna sonora di un film che racconta la storia di un’amicizia eterna (The Boy and the Whale) o del continuo sovrapporsi di buio e luce (The Secret of the Sea).
In queste melodie labirintiche che si rincorrono senza mai raggiungersi, ci sono moltissimi silenzi che sanno ascoltare i propri vuoti d’aria, nulla è lasciato al caso. Dietro ogni spazio ritmico ed ogni nota c’è ricercatezza, sudore e dolore. Nel mare albergano le paure e i desideri del pianista campano che in questo album dipinge due mari, quello del Golfo di Napoli, con dietro il Vesuvio, davanti Ischia e Capri e i primi bagnanti di giugno che cominciano a colonizzare la spiaggia e poi più a Nord l’Oceano Atlantico, con le sue acque fredde e i paesaggi verdeggianti e liquidi. L’unica cosa che rimane da fare è chiudere gli occhi e scegliere il proprio mare.