E così rieccoci qua – here we are – per il Dot to Dot Festival, il festival che apre ufficialmente la stagione dei festival estivi, ma che si porta indietro ancora i lasciti dell’inverno: neanche quando maggio si avvia alla fine qui, infatti, è possibile sbilanciarsi, non è affatto scontato che il tempo sia bello e non faccia freddo, e soprattutto, bisogna sempre considerare il fattore pioggia. Così non pare strano a nessuno che questa giornata di follia e musica che si ripete ogni anno in tre città diverse dell’isola – solitamente Manchester, Bristol e Notthingam – si svolga tutta al coperto, sparpagliando una serie ininterrotta di concerti in tutte le venues dei rispettivi centri cittadini: 14 ore di musica live, ci dice il flyer, “Best Metropolitan Festival” all’UK Festival Awards. A parte gli header che suonano in tutti e tre gli appuntamenti – quest’anno The Peace, The Midnight Beast, Real Estate e Wolf Alice – le bands che si esibiscono nelle tre diverse località non sono le stesse, principalmente perché il festival coinvolge molti gruppi locali, ma anche per la logistica propria dei locali coinvolti nelle diverse città. E’ un po’ come andare a Glastonbury– mettendo da parte grandi nomi e numeri, ovviamente – con i diversi palchi sparpagliati nel raggio di una decina di km, per cui tra la band che vuoi vedere e quella successiva che ti eri appuntato sul notes è possibile che ti trovi a doverti spostare da una parte all’altra della città, e non è affatto scontato che, col traffico del venerdì o del sabato sera, pure lanciandoti in un taxi al volo, questa cosa sia così facile, sempre senza sottovalutare il fattore pioggia, che anche quest’anno ha benedetto Bristol, e le code che si formano all’entrata dei concerti più attesi. Perciò, memore dell’esperienza di due anni fa, ho messo subito da parte ogni tentativo di provare ad affacciarmi a più locali possibili nel tentativo di un report dettagliato: – orbitando più o meno in una zona che mi permettesse di coprire i gruppi che hanno fatto più “rumor” in città.
Con questo proposito, ho cercato di non perdermi l’evento principale, trovandomi intorno alle 20 all’O2 Academy, la venue principale tra quelle coinvolte nel festival, nonché probabilmente quella più importante in città per quanto riguarda la musica pop – se si esclude la prestigiosa Colston Hall, che solo talvolta apre i battenti a gruppi di grandissimo richiamo (come è stato per Bonobo e Goldfrapp). Almeno questa è stata l’opinione dei Local Natives qualche mese fa, che si sono complimentati per essere stati promossi a esibirsi qui invece che al Thekla, locale pure popolarissimo, e pure parte del Dot to Dot, ma decisamente più piccolo, alloggiato nella stiva di una nave, sul canale. Qui si sono esibiti Peace, il gruppo British probabilmente più chiacchierato dell’anno, straordinariamente presente su giornali e riviste dell’isola, musicali e non, alternative e mainstream, già dal loro EP di debutto del 2012, Delicious, che personalmente ho molto preferito al primo disco In love, uscito a maro 2013 per Columbia. Non ho menzionato i Local Natives per caso: le loro sonorità mi sono tornate in mente spesso, mentre cercavo di farmi spazio nella calca, molto più di The Maccabies e Vampire Weekend a cui di solito i quattro di Worcester vengono accostati. Qui a Bristol per loro si è trattato in realtà un ritorno piuttosto recente, essendosi fermati in città a dicembre, all’Anson Rooms, durante il tour invernale che li aveva portati in giro un po’ per tutta l’isola, in preparazione della prestigiosa esibizione estiva sul palco del doppio festival gemello che si tiene a Reading e Leeds ad agosto, in cui introdurranno The Hives e Arctic Monkeys. Il loro live suona groovy e vibrante, travolge e fa ballare tutti: un’ulteriore occasione per sentire, tra i brani scelti nell’oretta abbondante di scaletta, l’inedito Money che andrà a costituire il futuro secondo disco, a cui hanno cominciato a lavorare lo scorso marzo.
I Peace sono stati gli ultimi della serata, in ordine di esibizione, sul palco dell’O2 Academy. Prestandosi a essere un’ottima occasione di cavalcare quest’ambito palcoper gruppi meno di richiamo, il Dot to Dot ha portato qui i più aggressivi Drenge, che si sono esibiti subito prima, un duo chitarra-batteria messo in piedi da una coppia di fratelli provenienti da un minuscolo paesino vicino a Sheffield, chiamato Castleton – un live straordinariamente intenso fatto di riff taglienti su un potente tappeto di tamburi e vocals gridate a pieno fiato – e prima ancora, i buffi The Midnight Beast, un altro dei nomi segnato in grassetto sul flyer. Si tratta di un trio londinese molto popolare su youtube e tra i social networks, specializzato in parodie e caratterizzato da un suono piuttosto eclettico e vario, con in uscita a breve il secondo disco Shtick Heads, che però non sono riuscito a sentire.
Infatti, mi ero trattenuto troppo a lungo in un altro locale storico di Bristol, The Louisiana, nella cui saletta minuscola si sono esibiti negli anni i principali gruppi inglesi prima di diventare famosi: leggenda vuole che qui i Mogwai decisero di intitolare alla celebre scalinata bristolese Christmas Step uno dei pezzi più famosi di Come On, Die Young. Qui, non ho potuto fare a meno di rimanere ad ascoltare le Cadbury Sisters: il trio folk-acustico di origine bristolese suona piuttosto spesso da queste parti, ma è sempre un piacere lasciarsi cullare dalle delicate voci delle tre sorelle che, si dice, sono effettivamente discendenti di William Cadbury, l’inventore della cioccolata più famosa oltremanica, fondatore dell’enorme fabbrica che da Birmingham rifornisce tutta l’isola.
Mi sono allontanato dall’O2 Academy subito dopo l’esibizione dei Peace col rimpianto di non aver potuto ascoltare proprio un altro dei gruppi in grassetto, Real Estate, che si esibiva praticamente in contemporanea al Trinity, dall’altra parte della città, per scoprire subito dopo che mi sarei perso anche l’altro dei gruppi in grassetto, Wolf Alice, che sarebbe dovuto cominciare al Thekla, il locale-barca che ho menzionato poco fa, subito dopo, ma che era praticamente blindato a causa dell’interminabile fila. Ho deciso quindi di concludere la serata con una passeggiata tranquilla all’Old Market, nella zona est, dirigendomi verso il pub più “tacky” di Bristol, lo Stag&Hounds, dove sono arrivato giusto in tempo per scoprire un’altra delle innumerevoli bands bristolesi, i Tiers. Qui si erano riuniti i superstiti alle precedenti tappe, rendendo il locale decisamente più affollato del suo solito, essendo l’unico altro posto, oltre all’immortale Start the Bus, dove c’era ancora musica dal vivo: la mezzanotte era ormai prossima, e, ho immaginato, eravamo tutti in giro da un bel po’.
Mi sono reso conto in quel momento di essere stato in giro per concerti quasi da dodici ore: il mio festival è cominciato infatti poco prima dell’1 al già menzionato Louisiana, subito dopo aver afferrato al volo un falafel all’harbourside, per vedere un’altra delle band locali più popolari, il trio retro-pop Cursor Major (http://www.cursormajor.com/), che proprio a maggio si è guadagnato la copertina dell’opuscoletto musicale Bristol Live Magazine, bibbietta indispensabile per tenere il conto di tutto quello che succede in città. Da qui, prima dell’O2 Academy, mi ero recato al The Fleece per vedere un altro gruppo locale di cui avevo sentito parlare bene, i Casimir. Come mi diceva un amico incrociato in una delle tappe, i festival “urbani” come il Dot to Dot rendono l’esperienza del festival molto più gradevole perché annullano i tempi morti, che vengono occupati spostandosi tra un locale all’altro: così queste dodici passano terribilmente in fretta, e in un’intera giornata sono riuscito, per l’appunto, a toccare “solo” cinque dei palchi sui quattordici in programma, pur vedendo una ventina di gigs. Lasciando da parte Trinity, Exchange, Roll for the Soul, The Lanes, The Birdcage, Brewdog, Thekla e Start the Bus, che non mancherò di visitare a stretto giro, insomma, mi sento di aver fatto comunque un buon lavoro.