Quando ho ascoltato per la prima volta un disco di Bonobo, trattasi del meraviglioso Black Sand, la prima cosa che ho pensato è stata “wow”; la seconda è stata “ma che nome è Bonobo”? E dato che la gente ha un’insaziabile curiosità di conoscere tutto, tranne ciò che vale la pena conoscere, mi sono buttato su Wikipedia scoprendo che:
Il bonobo (Pan paniscus) è un mammifero appartenente all’ordine primati, alla superfamiglia Hominoidea (“scimmie antropomorfe”) e alla famiglia Hominidae.
E fin qua, sticazzi. Ma la cosa interessante su questi mammiferi l’ho scoperta un po’ più giù:
Secondo alcuni studiosi la società dei bonobo è improntata sulla pacifica convivenza.
L’etologo Frans de Waal afferma che questi primati sono spesso capaci di altruismo, compassione, empatia, gentilezza, pazienza e sensibilità; la ragione di ciò, secondo il professor de Waal, sarebbe l’eccezionale propensione dei bonobo a praticare sesso ricreativo, ovvero non riproduttivo, anche omosessuale, attività che appianerebbe le tensioni all’interno del gruppo e che ridurrebbe la tendenza a difendere violentemente il territorio del branco.
Insomma, il sesso come pacificatore sociale, alla base di un mondo bucolico ed empatico.
Simon Green, in arte Bonobo, deve essere molto affascinato da questa visione, perché questo mondo riesce a ricrearlo o quanto meno ad immaginarlo attraverso la sua musica. Il mondo sonoro di Bonobo avvolge come un abbraccio intimo e passionale, riprendendo le atmosfere che hanno reso eterno il trip-hop degli anni ’90, scomponendole nelle loro parti essenziali e ricostruendole con sapiente maestria, riesce a creare un sound che richiama a generi diversi (sentirete parlare di downtempo, di nu-soul, di nu-jazz, di glitch hop) ma che per la complessità che lo contraddistingue e che scoprirete ascolto dopo ascolto, non si ferma in nessuno di questi checkpoint ma viaggia dinamicamente verso i confini più lontani dell’universo musicale, fino a portarti in una dimensione eterea, meravigliosamente imperturbabile.
The North Borders segue la scia dinamica di Black Sand e ci fa sentire la differenza tra chi suona musica elettronica e chi intende la musica elettronica come artigianato complesso fatto di conoscenze musicali classiche, arrangiamenti ricercati, equilibri dinamici tra i diversi suoni e tanta eleganza.
Non poteva esserci miglior presentazione del disco che l’iniziale First Fires, autentico gioiello in cui i beat secchi si mescolano sinuosamente e con incredibile armonia alla melodia degli archi, il tutto esaltato dalla voce diafana del compagno di etichetta Grey Reverend. Questo voluttuoso intreccio prosegue in Emkay, per poi disperdersi nel “fourtettiano” carosello di Cirrus. In Heaven for the sinner, arriva la calda e sensuale voce di Erykah Badu a far sciogliere le membra e i pensieri e a farci abbandonare a 4 minuti e 10 di puro edonismo. Il groove di Jets e della consecutiva Towers compongono il cuore black del disco, che prosegue senza lasciare scampo in un amalgama sonoro ammaliante e coinvolgente, impreziosendosi ulteriormente nel finale con le bellissime voci di Szjerdene (Transits) e Cornelia (Pieces).
Bonobo è uno di quegli artisti che viaggiano un gradino avanti nel tempo e nello spazio e le cui intuizioni hanno fatto e faranno scuola. Ascoltare The North Borders è come guardare un quadro, un quadro immenso, complesso ma armonico, nelle cui linee e colori non puoi che perderti.
Nell’era della vessazione elettronica, delle sperimentazioni senza arte né parte, del “tutti faranno i dj da grandi” e del “ascolta che pezzo che ho fatto sull’ipad”, questo disco è il brodo caldo di cui i vostri timpani hanno bisogno.
Ninja Tune, 2013