Il 10 aprile scorso è uscito un disco che non poteva passare inosservato, Early Morning Dyslexia, secondo Ep dei Black Eyed Dog, progetto solista che nasce per volontà di Fabio Parrinello e che, solo successivamente alla pubblicazione di due album per la Ghost Records, diventa un trio con l’aggiunta di due straordinari polistrumentisti, Anna Balestrieri e Alessandro Falzone. Se non li conoscete ancora è arrivato il momento di ascoltarli, sapranno sconvolgervi e impressionarvi come un ciclone in tempesta.
Dopo l’uscita di Too Many Late Nights l’anno scorso per 800A Records e la presenza su numerosi palchi tra cui quello dello Sziget Sound Festival, la collaborazione tra Fabio, Anna e Alessandro è diventata vero e proprio sodalizio lavorativo: squadra che vince non si cambia.
L’Ep composto da cinque tracce segue una linea narrativa precisa, in cui parole e musica diventano la stoffa dello stesso vestito, mai una nota, un silenzio o semplicemente un respiro fuori posto. Quello che è evidente già a partire da un primo ascolto è che ci troviamo di fronte ad una formazione che non è nata per caso, ma è il risultato dell’unione e non della disgregazione di bagagli diversi. L’unico gioco, che se vogliamo si concedono, è quello di passare con sorprendente velocità da uno strumento all’altro, concentrando un heavy sound in ritmiche elementari, ottenute grazie a mezzi inusuali come il “mandobird”, ovvero il mandolino elettrico, usato ad esempio da Jimmy Page dei Led Zeppelin, uno dei chitarristi più influenti della storia del rock o la “cigar box guitar” che i cultori del blues conosceranno sicuramente. Suoni grezzi dietro ai quali c’è uno studio regolato da una perfetta visione d’insieme e dalla capacità di non fossilizzarsi troppo in un unico genere.
E’ nello spazio che separa il guidatore dall’asfalto infuocato dell’estate, nei sorpassi e nei rallentamenti, un po’ come metafora della vita, che viene alla luce I To The Sky, un’istantanea di viaggio dall’anima calda, dove il piede appoggiato sull’acceleratore farà il resto. Mentre Baby Lee è fantasia, bravura e una verve che ricorda inizialmente quella dei Black Keys, ma che poi si evolve in sonorità originali e per nulla scontate, Runaway Girl si riempie e si svuota di sensualità passiva, scendere e salire da un letto sfatto, una corsa veloce giù dalle scale, la fuga, il sudore e un fremito di paura. Non c’è razionalità, ma una prassi severa da seguire attraverso percussioni atomiche e graffi sulle pareti, come una scossa di terremoto anche Stone Cold saprà spiazzarvi, prima un sussurro, una voce imprigionata e poi una detonazione improvvisa che spezza e frena la nenia acustica, sillabata da alcuni impercettibili pizzichi alle corde della chitarra. Ci si ferma ad ascoltare Once In A Lifetime in religioso silenzio e sembra quasi di sentire i connazionali Toys Orchestra: non c’è più rumore, solo riverberi degli anni andati, quelli della giovinezza. In un limbo di pudore e irriverenza i Black Eyed Dog cavalcano l’onda giusta, quella dell’eclettismo, annaspando tra la polvere e i detriti di un mosaico distrutto. In Italia non mancano i bluesmen ultimamente, ci stanno dicendo qualcosa?