In un giorno di fine ottobre, dopo quasi cinque anni da Write About Love, viene lanciato, rimbalzando da un sito all’altro per poi passare di radio in radio, The Party Line, la prima traccia che ha fugato ogni dubbio sul ritorno dei Belle and Sebastian. Da quel momento, tra meraviglia e perplessità, fans della prima ora e addetti del settore musica si sono ripetutamente domandati cosa avrebbe voluto comunicare la formazione scozzese con un pezzo dal ritmo danzereccio. Sintetizzatori provocanti, un ritornello martellante e un beat che non lascia spazio a fraintendimenti: The Party Line precipita unicamente verso atmosfere synthpop ed electrodance. Un brano che probabilmente nessuno si sarebbe aspettato da un gruppo che con chitarrine, archi, pianole e al massimo qualche pestaggio di rullante si è guadagnato la propria fama.
I Belle and Sebastian ingannano, depistano e sicuramente sono ancora in grado di spiazzare dopo quasi vent’anni di carriera e nove album all’attivo. Il sospetto che Girls in Peacetime Want to Dance sia meno indiefolk e indorato di melanconia rispetto ai precedenti dischi diventa convinzione ascolto dopo ascolto. Impressione o certezza che sia, bisogna ammettere che la trasformazione non ha origine solo nei campionatori e nell’effetto che può offrire qualche canzone ballabile in più. Come molti altri prima di loro, accostandosi a suoni dal sapore sempre più elettronico e digitale, decidono di imbarcarsi su una nave già stipata che veleggia sicura in mare aperto, ma senza meta.
Pur trattandosi di una sperimentazione ancora ibrida, inserita tra le trame di un passatempo puerile, il gruppo originario di Glasgow rimane fedele a quelle che sono le loro prerogative di sempre: sciolgono i nodi della cronaca vera con la leggerezza e la sensibilità di un’istantanea sgualcita e cuciono insieme le dodici tracce come una di quelle coperte patchwork, ricavate da vecchie stoffe e abiti dismessi. Infine con l’aiuto di Ben H. Allen, già produttore di Bombay Bicycle Club e Animal Collective, les jeux sont faits.
Nobody’s Empire è il primo frammento di questa trapunta di ricordi sonori e indubbiamente uno dei pezzi più profondi dell’intera raccolta. Stuart Murdoch si racconta, parlando della sua sindrome da stanchezza cronica che nonostante tutto non è riuscita a frenarlo dal comporre capolavori. Questa riflessione apre le danze ad Allie, la fanciulla pronta a saltare in pista che è anche protagonista immaginaria del disco. La ballad, di chiara influenza brit-rock, scanzonata e nostalgica allo stesso tempo, si colora di chitarre chiassose per poi tuffarsi nella sopracitata The Party Line che con il suo look glitterato diverte, stemperando la tensione che si è fino ad ora creata.
Convincono meno The Power of Three e Book of You, le nenie sincopate cantate da Sarah Martin insieme ad Everlasting Muse, che si confonde tra sassofoni e ritmi cosacchi. Al contrario la lentezza di The Cat with the Cream torna ad essere in pieno stile Belle and Sebastian, offrendoci uno spaccato della società scozzese al voto per l’indipendenza dal Regno Unito. Molti rumours avevano già anticipato che GIPWTD sarebbe stato ricco di temi legati all’attualità e alla politica. D’altronde sarebbe quasi retorico chiedersi il motivo di questa scelta: distanziarsi dalla vita globale a meno che siate una fashion blogger pare impossibile per tutti.
Un’improbabile regina del dancefloor è la celebre poetessa americana morta suicida con la testa nel forno in Enter Sylvia Plath tra arpeggiator e batteria programmata si illumina sotto le luci stroboscopiche. Se The Party Line vi sembrava hardcore, forse non avete sentito questa traccia, così come Play for Today, in cui Dee Dee Penny delle Dum Dum Girls duetta insieme a Murdoch per quasi otto minuti. Più funkeggiante è invece Perfect Couples, mentre Ever Had A Little Faith strappa una lacrima con il suo ritmo rallentato, la voce di Murdock è un sussurro, una vera raffinatezza.
Today come nei migliori finali, le dita sulla tastiera della pianola tra echi di guerre senza nome, lotte per l’indipendenza, paci annunciate, e ancora battaglie quando il frinire delle cicale riempie l’aria, è la risposta che i Belle and Sebastian danno a questo strano periodo storico. Siamo in guerra o in pace? Lo scopriranno i nostri figli tra cinquant’anni sui libri, non noi ora, ma abbiamo ancora il diritto di ascoltare, leggere e ballare, quello sì, nessuno ce lo può togliere. Questo disco rappresenta i contrasti e la bellezza di un’epoca in cui tutti vogliono andare avanti, portandosi in tasca un brandello di coperta.