Pete Doherty da ai fan dei Babyshambles quello che in fondo tutti vogliono da lui: Pete Doherty. E quindi non se stesso, ma il personaggio, la droga, la rehab, il narcisismo, gli amori fuggitivi che fanno tanto scaldare qualcosa in mezzo alle gambe alle ragazzine di Bergamo alta coi gusti un po’ snob. Detto questo, il disco è un buon disco, momenti pop si alternano alla musica più lenta di certe sick ballads molto bohémien – è vero, va di moda, ma non stucca mai. Si gioca anche alcune canzoni molto allegre, un po’ alla Girls, alla Lou Reed più dolce e classico (New Pair, la title track). Eppure qualcosa manca, ce ne accorgiamo quando parte Farmer’s Daughter e non proviamo assolutamente niente, quando troviamo telefonata e ripetitiva la retorica di Fall From Grace. Spippettando un po’ nella storia recente, scopriamo che dopo aver perso il suo (secondo) John Cale, il chitarrista Patrick Walden, coautore di sei pezzi del primo album, adesso Pete perde anche il batterista Adam Ficek. Affidandosi quindi solo ed esclusivamente a musicisti professionisti, riservandosi, forse in maniera esasperata dalle circostanze, la parte artistica e creativa dei brani. Il disco ne risente.
Insomma, i Babyshambles si rifugiano in sé, scappano da una parte dalla novità e dalla sperimentazione che avevano caratterizzato i Libertines e dall’altra dall’acidità di suono che il loro primo disco ci aveva regalato. Forse il disco si può intendere proprio in questa chiave: si va via dai problemi, si va via dalla droga (Picture me in an hospital) e si va via da chi ti dice che la droga fa male (Dr.No); si va via dalla morte e dalla vita (Minefield, la mia preferita). A questa filosofia molto post-slacker però si affianca una leggera, sottile speranza, che ci regala momenti di gioia auditiva (Nothing Comes To Nothing) alternati a giocosità tipiche dell’eterno Pete Pan (Penguins, Maybelline), che fanno quadrare, almeno un po’, il bilancio totalmente negativizzante, anche se non negativo, dell’album. È una sensazione derivata da un momento storico, che viene interpretata molto bene, il titolo dell’album la rievoca: si cerca un seguito a quella che doveva essere una premessa, che si è trasformata nella realtà, ma che non vive nel effettivo “ora”, ma in un’eterno, stucchevole, sequel.
(Per i perfezionisti: la copertina di Sequel To The Prequel è firmata da Damien Hirst, e il cd si può trovare anche in versione Deluxe, con quattro tracce che però non aggiungono nulla a quanto già detto)
Parlophone, 2013
Tracklist:
- Fireman
- Nothing Comes To Nothing
- New Pair
- Farmer’s Daughter
- Fall From Grace
- Maybeline
- Sequel To The Prequel
- Dr. No
- Penguins
- Picture Me In A Hospital
- Seven Shades Of Nothing
- Minefield
- Cuckoo
- Stranger In My Own Skin
- The Very Last Boy Alive
- After Hours