Il Ruhrfestspiele arts festival di Recklinghausen è uno dei festival teatrali più rinomati in Europa, nonché tra i più antichi. Un festival che si propone di rilanciare la commistione tra diverse forme di arte, linguaggi e culture. Uno dei tanti cuori artistico-culturali che in Germania continuano a pulsare, mentre da altre parti continuano ad arrestarsi uno dopo l’ altro, inesorabilmente.
All’interno di questo festival accade che venga proposto a Sebastian Hartmann, regista teatrale considerato tra i più grandi innovatori del teatro tedesco moderno, di metter in scena uno dei classici della letteratura mondiale, “Guerra e Pace” di Tolstoj, o meglio Krieg Und Frieden. E a dimostrazione di quanto il concetto di arti sia vivo e vegeto in terra crucca, tale regista visionario decide di chiamare alle armi Sasha Ring, in arte Apparat. Nessuna sceneggiatura, nessun input, solo la richiesta di liberare l’estro artistico e creare una colonna sonora.
Apparat, che nel corso degli ultimi anni si è affermato a gran forza per la sua estrema qualità e duttilità artistica, non aspettava altro. Compra una copia economica di Krieg Und Frieden e parte in Thailandia, su consiglio dello stesso Hartman. Al ritorno scardina i portoni di una fabbrica abbandonata e insieme a 30 musicisti, tra cui i fidatissimi dell’Apparat Band, dà alla luce questa piccola grande opera.
Che Sasha non fosse solo bravo a mettere i beat giusti e a far esplodere i club, lo sapevamo già. Con la nascita dell’Apparat Band aveva messo in chiaro il suo talento musicale a tutto tondo, mettendo un po’ da parte i beat, che l’hanno fatto amare in lungo e in largo, in favore di sonorità nuove ed inesplorate che strizzano l’occhio a generi diversi.
Quest’album-non album è l’ennesima prova della caratura artistica di Apparat. Una sfida musicale complessa che, in quanto tale, richiede concentrazione ed attenzione nell’ascolto.
Il disco si sorregge su una base portante fatta di tappeti ambient minimali, che richiamano Steve Reich e Brian Eno, che quasi quarant’anni addietro decisero di creare e definire il genere ambient. D’altronde il sottotitolo “Music for Theatre” è un chiaro omaggio alle varie produzioni “Music for” a cui Reich e Eno diedero vita.
Su questi tappeti il nostro sperimenta e crea inserendo archi, fiati, chitarre, pianoforti e percussioni, suonati in chiave classica, con un’elettronica elegante e raffinata. Il risultato è un tutt’uno emozionale che passa da atmosfere a tratti inquiete, a volte quasi soffocanti (44 noise version) ad altre leggiadre e poetiche (K&F thema) fino al crescendo maestoso di Austerlitz.
L’impatto emozionale del disco è decisamente forte. Filo conduttore del lavoro è la poesia vagamente romantica che aleggia all’interno delle canzoni e che è perfettamente in linea con lo scritto da cui sono tratte, mostrando al mondo che la sensibilità artistica di Apparat non è indifferente.
Un brano su tutti: PV.
L’album si chiude con A violent sky, brano scelto come singolo, che non ha nulla a che vedere con la colonna sonora per l’opera teatrale. Diciamo che è messo lì un po’ a cazzo per lanciare un album che altrimenti, per come è concepito, sarebbe davvero difficile da promuovere di per sé. Certo, nel contesto poetico-artistico su cui si adagia il disco questa scelta cozza indubbiamente, ma alla fine anche quello, guarda un po’, è un gran bel pezzo.
Mute, 2013