Voto: 8/10
L’enorme e sgangherato carrozzone hypnagogic/weird americano si è trovato, lo scorso anno, in una piuttosto tragica situazione di stallo. Nel senso che quel variegato e disomogeneo universo che era stato capace di reinventarsi, fagocitarsi e rivomitarsi, doppiando ironia e rielaborazione ogni anno, nel 2011 si è assestato in una posizione indefinita di stasi, esponendo tutte le pochezze di cui risente un movimento simile quando non trova nuove formule per l’annata. E così nella distesa tra i rallentamenti psichedelici di Sun Araw e i trucchi attizza-hipsters di James Ferraro, sono usciti i deludenti lavori sophomore di Toro Y Moi e Neon Indian e forse il colpo più grosso lo han fatto i Peaking Lights, con 936, sformato dub tossico che ha portato alla coppia californiana una, forse, inaspettata visibilità. Questo ormai schizofrenico e frastagliato sentire “Glo”, forse accomunato solo per la solita smania catalogatrice, si è quindi, quest’anno, frastagliato e c’è chi è tornato al noise, chi si è riciclato mellow-house o ha virato proto-techno (mantenendo lo stesso approccio da 4-tracce in cameretta) per rubar lavoro ai producers o chi è andato in chissà quali direzioni di maggiore accessibilità.
Ma la domanda è: cosa c’entra questo bollettino post-bellico con gli Animal Collective? Gli Animal Collective, possono, a mio modo di vedere, essere considerati in un certo senso come i Nirvana di questo sottobosco drogato e multiforme e da qualche parte tra Strawberry Jam e Merriweather Post Pavillion (non mi va di decidere), s’è verificato una sorta di effetto Nevermind, che ha esposto molti più artisti (pronti o no) e realtà che molto o nulla hanno in comune col quartetto del New Jersey ad una luce (pur non accecante) certamente maggiore di quella che trapelava nelle loro cantine californiane, di Austin o Brooklyn-based. Gli AnCo condividono forse un background, non necessariamente di esperienze, magari più estetico, con questo universo, in qualche modo è da li che vengono, con i trascorsi psych-folk e l’evoluzione su un visionario pop elettronico, ma la portata culturale del loro lavoro, chiaramente, è immensamente più grande. L’influenza esercitata su artisti di tutto il mondo da un’unica entità tutto sommato non radicalmente innovativa, ma con una portata pop carica di risvolti sperimentali a buon mercato e di un fascino che hai solo al confine tra eccentrico e venerabile (Beatles), ha reso gli Animal Collective una delle (se non quella principale) entità artistiche fondamentali dello scenario mondiale dello scorso decennio, complice la lucida e misurata maturità raggiunta sin da Feels e i tre album onestamente impressionanti partoriti da allora.
Cosa poteva essere Centipede Hz, se non l’ultima incodificabile festa di un certo modo di recepire stimoli e rielaborarli? Non più digestione di imput riversati in un processo omogeneo, ma uno schizofrenico rigurgito di spunti, effetti, impressioni, armonie che è il perfetto affresco del sovraccarico d’informazioni dei nostri giorni. Al monolitico equilibrio di MPP subentra una psichedelia selvaggia e folle che non risparmia nessun aspetto del processo creativo, dalle ritmiche più aggressive alle sonorità più tetre e angoscianti, fino alla centralità delle liberazioni di Avey Tare, a cui Panda Bear (ruolo di una certa importanza nella mondializzazione del fenomeno AnCo, vedi un disco solista “discretamente influente”, pur seguito da un Tomboy poco ambizioso e un po’ autocompiaciuto) lascia il controllo della macchina per andare a riposizionarsi dietro le pelli con nuova euforica aggressività, espressa dalla band sin dall’apertura Moonjock, con synth decisi e weirdsounds che richiamano la nostra attenzione ovunque, incessantemente. Proseguendo col singolo Today’s Supernatural, la combinazione d’inizio è fulminante ancora dopo molti ascolti e lascia sperare in un capolavoro assoluto anche più avanti, quando si rallenta con una Rosie Oh a firma Noah Lennox per riversarci nella classica psichedelia di Applesauce, seguita poi dalla ipnotica Wide Eyed (del ritrovato Deakin) e da Father Time, con l’estro di Avey in primo piano. Dopo gli inciampi chillwave di New Town Burnout, verso l’ottima Monkey Riches ci si inizia a domandare se il sovraccarico di effetti, a scapito di un’accessibilità perfetta ormai fatta propria, fosse proprio necessario, o se non si rischi di seppellire autentiche perle sotto un’anfetaminica iperattività produttiva (ci tengo a precisare che per chi scrive non c’è nulla di male, ma il disco non è esattamente piaciuto a tutti e una ragione c’è). Verso la fine si perde qualcosa, il disco è più carico, più violentemente stratificato dell’ingombrante precedente, ma ugualmente lungo e di questa combinazione può risentire il prodotto complessivo. L’opaca chiusura Amanita è esemplare per quanto riguarda la virata cupa della band, ma ci sono momenti in cui ricordi bene perché li ami.
Dopo Strawberry Jam (forse il precedente più simile a Centipede Hz) la sfida era ardua e il colpo assestato con MPP fu sconvolgente, lo status conquistato incontestabile, al netto di un disco che veniva dopo diverse prove di grande qualità ed appariva praticamente senza pecche, capace di conquistare tutti, espressione di una formula equilibrata, sperimentale, affascinante, un altissimo prodotto pop. In Centipede Hz sono sempre loro, c’è sempre Brian Wilson a volontà, ci sono tonnellate di elementi dal periodo pre-MPP, ma nonostante quanto detto in apertura, un disco non ha solo valore sociologico, quindi Centipede Hz è musicalmente un passo indietro, un’involuzione, dopo un’opera praticamente impossibile da bissare, ma è un prodotto di una band che ritorna selvaggia e non rimane comoda a impigrirsi su formule sterili, ma si mette ancora alla prova prima, magari, di passare oltre, un disco che nessun’altro era in grado di realizzare a questi livelli, una perfetta espressione della creazione pop ai nostri giorni.
Ascolta in streaming l’intero album con un video per ogni pezzo
Tracklist:
- Moonjock
- Today’s Supernatural (live)
- Rosie Oh
- Applesauce
- Wide Eyed
- Father Time
- New Town Burnout
- Monkey Riches
- Mercury Man
- Pulleys
- Amanita