23 Giugno 2012
Sherwood Festival, Padova
E’ passato poco più di un mese dall’uscita di Cento giorni da oggi, e gli Amor Fou sono ora impegnati nelle prime date alla luce del nuovo corso intrapreso dalla band. L’esibizione di stasera si tiene allo Sherwood Festival, senza dubbio uno degli eventi musicali più rilevanti di tutto il nord Italia. La congiuntura non è delle migliori; il live si incastra tra la precedente serata dei Subsonica e l’attesissimo Manu Chao di lunedì 25, inoltre in contemporanea a Rovigo si sta tenendo un concerto per i terremotati emiliani cui partecipano Teatro degli Orrori, Marlene Kuntz, Marta sui tubie molti altri. Raina ed i suoi risultano dunque un po’ sacrificati dal corso degli eventi ma, complici un album riuscito e di particolare interesse e l’economico ingresso ad “un euro può bastare”, anche questo sabato sera la collinetta dietro allo stadio Euganeo è decisamente abitata, a scongiurare una temuta penuria di adesioni.
Verso le nove e mezza sul palco sale la stella femminile di Picicca Dischi, nonché protetta di Dario Brunori, Maria Antonietta. La platea è ingiustamente scarna ma la fanciulla ce la mette tutta e, con variazioni vocali sulle melodie delle canzoni e tentativi abbastanza riusciti di contatto col pubblico, ben riesce a preparare l’atmosfera per l’ingresso del gruppo headliner. Una breve pausa per approntare gli strumenti e l’apparizione di palloncini gonfiati ad elio con la forma di fenicotteri rosa (non si sa se come tributo a Waters o al My son, my son di Herzog) segnalano l’entrata in scena della formazione milanese. La band si presenta mascherata e schierata, nonché arricchita di un nuovo elemento rispetto alla formazione originale; si tratta del dj/producer STR▲ (al secolo Michele Marchetti), figura fissa ai synth per tutta la serata. Dopo qualche incertezza tecnica si cominciano le danze con Gli Zombie Nel Video Di Thriller, che ci viene proposta in modo fedelissimo, eccetto che per l’assenza (ahimé) dei fanciulleschi cori finali. Seguono, una dietro l’altra e sempre perfettamente combacianti con la versione su disco, Una Vita Violenta e La Primavera Araba. Dopo questa tripletta ci viene proposta una vecchia gloria da I Moralisti, una scoppiettante Anita che il pubblico canta a memoria dall’inizio alla fine. Come disse Bianconi due anni fa durante un concerto sullo stesso palco “canzone vecchia fa buon brodo”. Le Guerre Umanitarie decolla grazie al suo ritornello d’eccezione: la platea si fa una sola voce su “bombardiamo Tripoli, puniamo chi bestemmia nei reality…”. Anche I 400 Colpi è un punto a favore della band, con una esecuzione particolarmente riuscita e coinvolgente. Segue una breve pausa per presentare il nuovo arrivato del gruppo, una battuta infelice sul suo nome e poi via diritti con De Pedis, la perla del loro album da maledetti bohemien radical chic. I sintetizzatori si riprendono prepotentemente il loro spazio in una versione di Forse Italia quasi del tutto elettronica che, con un fortissimo climax ascendente, si muove sinuosamente tra il pubblico e fa venir voglia di ballare più di tutti i brani che l’anno preceduta. Qualche battuta di sano marketing presenta il singolone del disco, Alì e Padre Davvero, che però coincide con un momento di stanca all’interno dell’esibizione.
Di canzone in canzone Raina diventa sempre più aperto col suo pubblico e si allarga in battute indicative, se non altro, dell’intenzione di volersi scrollare di dosso la sua fama da snob. Ma alla fine Alessandro è e rimane uno di quei personaggi da odi et amo, i cui haters sono spesso molto più fedeli dei fan nel seguirne la produzione. Il brano successivo è la cover prescelta per questo tour, This Must Be The Place dei Talking Heads, in un arrangiamento davvero ben fatto che probabilmente è anche un tributo agli aspetti più dance rock dell’ultimo lavoro della band. Dopo una breve uscita prontamente annullata dagli applausi dei convenuti i nostri ritornano in scena e sulle note dei synth attaccano I Volantini Di Scientology, la loro personale riflessione sulla vita in questi anni zero. Vero, la traccia che preferisco del loro ultimo disco, per me è stato il momento più intenso dell’intera serata, e, al di là delle opinioni personali, la mimica adottata dal frontman ha aiutato molto la fruizione di questo splendido brano ed il coinvolgimento di chi stava dall’altra parte della transenna. Dolmen, uno dei pezzi più esistenzialisti del loro vecchio corso, ci viene sbattuta in faccia in una versione disperatamente gridata del suo splendido testo, seguito da una lunga coda finale strumentale. Infine il concerto si conclude con una Radiante (ovviamente senza Baronciani), che lascia l’amaro in bocca per la sua brevità e, in fondo, risulta inadeguata ad una vera e propria chiusura.
Lo stile è cambiato, i vestiti sono cambiati, la loro musica è cambiata ma l’impressione che si ricava da questo live è che i nuovi panni indossati siano un po’ in rodaggio e che gli Amor Fou abbiano bisogno ancora di un paio di serate per tarare al meglio le modalità di esibizione. Probabile che qui allo Sherwood abbiano conquistato comunque qualche nuovo ammiratore considerata l’alta percentuale di curiosi attirati dall’economicità del biglietto e dalla fama della location. In ogni caso la conclusione in hardcore è stata troppo netta, mi azzarderei a dire che si è sentita la mancanza di una Goodbye Lenin che avrebbe consentito un arrivederci più completo, ma mi consolo ripensando a Vero.
Setlist
- Gli Zombie Nel Video Di Thriller
- Una Vita Violenta
- La Primavera Araba
- Anita
- Le Guerre Umanitarie
- I 400 Colpi
- De Pedis
- Forse Italia
- Alì
- Padre Davvero
- This Must Be The Place
Encore
- I Volantini Di Scientology
- Vero
- Dolmen
- Radiante