Nell’Aula Portico Occupata della facoltà di Sociologia della Sapienza, si è tenuta la presentazione del nuovo libro di Alessandro Dal Lago “Carnefici e spettatori, la nostra indifferenza verso la crudeltà”. Il sociologo era accompagnato da Massimiliano Guareschi e Federico Rahola e i tre si alternavano in interventi.
Il discorso di Alessandro Dal Lago parte da lontano, dal concetto di Guerra per Weber: «Neanche in “Economia e Società” di Max Weber e in nessun altro manuale di Sociologia generale troverete, a parte qualche accenno, un capitolo sulla guerra. Così come in Economia e Società non esiste un capitolo sulla guerra. Perché non esiste? La sociologia è un tentativo, già dall’Ottocento di costruire un quadro nostalgico, però fisso, delle ragioni sociali. Per cui lo scorrere del tempo, nonostante Weber, ha un valore puramente indicativo. All’interno di questo contenitore ottocentesco, il conflitto è un elemento inserito come “stabilizzatore dell’ordine” e l’immagine della società che viene data è statica e assolutamente non dinamica in termini di conflitto».
Massimiliano Guareschi interviene anche lui sul concetto di Guerra asserendo che è un «fenomeno difficile da trattare. Da qui la tentazione di leggerla come qualcosa che non è conoscibile, o meglio conoscibile solo in senso negativo. Il punto è che la guerra è uno strano misto di socialità e asocialità per il fatto che è comunque una relazione: i due nemici entrano in relazione, si impongono delle leggi reciproche in una strana inimicizia totale. In realtà questo estremismo è contraddetto da alcune dinamiche: per una serie di secoli ci sono state delle regole in guerre, esisteva un inizio e una fine che era la pace. C’erano insomma una serie di regole: immaginare le guerre come volontà di distruzione assoluta è una semplificazione dato che esistevano sempre gradi differenti di socialità». Oggi la situazione è un po’ cambiata attraverso la spersonalizzazione della guerra.
A mio avviso basta pensare alle relazioni tra i nemici che vengono trattate da George Orwell in “Omaggio alla Catalogna” o a Mario Rigoni Stern ne “Il Sergente nella neve” per capire bene cosa si intende per “semplificazione del concetto di inimicizia assoluta”: i soldati in guerra hanno delle regole, un’etica come quando non si sparava sui soldati che trasportavano cibo da una sezione all’altra o quando si faceva finta di non sentire i colpetti di tosse del nemico oltre la siepe.
Alessandro Dal Lago continua quindi nel voler farci intendere le implicazioni globali e al tempo stesso rappresentative della guerra: «Vi pare mai possibile che in condizioni del genere si possa ignorare la relazione tra uno sciopero di una fabbrica cinese e un comportamento politico in Iran o in Usa? Ci sono delle connessioni che non si possono ignorare. Cosa c’entra la guerra con questo? La guerra è l’elemento più “rimosso” da tutti perché essa contrasta con la pretesa di razionalizzazione e modernizzazione che la sociologia ha avuto fin dall’inizio. Il ruolo di un sociologo quindi non è quello di essere politicamente neutrale, ma cognitivamente neutrale.Ad esempio il conflitto tra “guardia e ladri” in che senso è razionale o irrazionale? Da quale punto di vista conviene? Da quello del “ladro?” (Stessa cosa vale per gli ultrà: da quale punto di vista il loro operato è razionale o irrazionale?)»
Qui la discussione si sposta in una dinamica di percezione e si crea, un parallelismo con quelli che sono i movimenti e le lotte civili con quella che è la guerra come distruzione del nemico: «il punto centrale della mia analisi è la “crudeltà come pratica comune della militarizzazione interna ed esterna e in secondo luogo la rimozione nel senso comune di questa crudeltà”.
E’ qui che si può creare un’analogia.
La polizia per definizione – oltre ad arrestare i criminali – sospende le normali interazioni quando ha a che fare con i diritti umani fondamentali, quando si relaziona con persone che minacciano altre persone. Il poliziotto nel momento in cui manganella sospende (c’è una situazione di eccesso dato che esisterebbe, pare, una teoria razionale del poliziotto che ricorre al manganello solo come “estrema ratio”) qualunque giustizia: è rarissimo che un poliziotto sia incriminato per eccesso di uso del manganello. Tutte le discussioni che sono avvenute recentemente sul caso di Roma ruotano attraverso questo concetto.
Ma che differenza c’è se il lacrimogeno me lo sparano dalla strada e l’altro dal palazzo del ministero? Tutta questa retorica dell’eccesso della polizia non sta in piedi perché per definizione l’intervento della polizia è un “eccesso“. Analogamente se noi esportiamo questa logica all’estremo, con le guerre etc., e militarizziamo l’eccesso entriamo in una situazione in cui la crudeltà (che chiamo così per mancanza di altre parole) si istituzionalizza come funzione normalmente sociale (o socialmente normale) nella vita.
Tutto questo rappresenta una situazione per la quale si sta formando una dinamica molto simile ad una società mondiale – naturalmente ci tengo a precisare che non esiste lo “stato mondiale” in quanto tale, ciò che intendo io è una sorta di continuità sociale mondiale – in cui la repressione dei movimenti e la repressione del nemico (quel concetto di inimicizia assoluta affermata prima da Guareschi) finiscono così per assomigliarsi. E se la repressione dei movimenti non oltrepassa certi estremi è perché questo è troppo costoso per alcuni spazi discontinui: il caso di Genova dimostra proprio questo e cioè che i due fenomeni si uniscono facendo blocco. Il caso di Genova non è stato solo un colpo di stato della polizia, e non è stato un fatto “solo” criminale, ma è stato un momento in cui di fatto si è saldata (inconsapevolmente) la repressione [1] militare globale e la repressione civile globale.
In questo senso la gestione dell’ordine attraverso la polizia globale (inteso in senso ampio, non certo come organo istituzionale) è una militarizzazione in sé. Finché i movimenti gridano, urlano, si agitano per avvicinarsi a Montecitorio, esiste un’interazione di un “tumulto” che non supera dei limiti: nessuno sparerà a nessuno. Ma nello stesso momento in cui una violenza tentasse in queste condizioni di riprodurre le violenze che hanno fatto parte della storia Europea (vedi Parigi e la sua storia secolare di barricate) bisogna aspettarsi un qualunque tipo di reazione».
L’evento è stato realizzato in collaborazione fra Nuovo Cinema Palazzo, Assemblea Permanente di Sociologia, Esc Atelier Autogestito e Spazio Sociale Volsci 32.
[1] Qui Dal Lago ha usato il termine “movimento”. Mi sono preso la libertà di sostituirlo con “repressione” perché mi sembrava più pertinente