Voto: 7,5/10
Di band che arrivano al decimo album, in Italia, ce n’è sempre meno. E arrivarci con l’energia, la freschezza e anche qualcosa da dire è probabilmente davvero un miracolo. A quattro anni dall’ultimo lavoro, si concretizza finalmente quella presa di coscienza di voler fare un passo indietro, di ritornare alle origini: alle forme scomposte, alle cripticità testuali e musicali che un album come “Ballate per piccole iene” aveva un attimo messo da parte, consacrando la band milanese a icona del pubblico di massa, snaturandone in parte, a mio parere, la vera essenza. Il ritorno alla libertà, all’autoproduzione completa, il rientro in formazione del geniale Xabier Iriondo, delle sue chitarre graffianti e delle sue sperimentazioni, restituiscono l’acidità corrosiva di “Germi” e la disarmante non linearità di dischi come “Non è per sempre”, sebbene oggi con un po’ di mestiere in più, ma altrettanta voglia di suonare.
“Padania” non parla di politica, ma di individualità, delle guerre quotidiane nelle quali ci facciamo coinvolgere, perché il mondo sembra andare dritto in una direzione e spesso ci fa perdere di vista quello che siamo o che vogliamo veramente, è da questa deframmentazione che nasce lo sconforto, l’immiserimento e la mancanza di prospettive del vivere quotidiano. È un concept che ruba agli anni ’70 la voglia di vivere la musica come espressione libera e mai ingessata, di sperimentare, che fa risuonare la complessità di band come Area e Captain Beefheart, senza soffrire di mancanza di personalità o di derivativismi puri.
La spirale maestosa di Metamorfosi, con Manuel Agnelli che omaggia apertamente Demetrio Stratos nelle sue evoluzioni vocali accoglie l’ascoltatore e lo prepara ad affrontare quindici tracce ispide e disorientanti. È complicato venirne a capo subito, durante i primi ascolti, sembra quasi che la complessità raggiunta spesso diventi un obiettivo, piuttosto che un punto d’arrivo, e che in questo modo la forma canzone venga sacrificata. Ma poi qualcosa cambia, la sovrastruttura svanisce e gli Afterhours restano: restano quelle parole semplici, chiare e dirette, a cui ci hanno abituato, che non sono figlie delle mode, che se ne fottono di citare i social network o qualunque minchiata faccia tendenza, ma che, da un lato, illuminano ballate dolci-amare come Costruire per distruggere e Nostro anche se ci fa male, e dall’altro, insudiciano le sovrapposizioni rumoriste e dissonanti di brani come Fosforo e blu e Spreca una vita. Il free-jazz delirante che dipinge Io so chi sono con pennellate impressioniste, i siparietti sarcastici dei due Messaggi Promozionali sparsi tra una traccia e l’altra mostrano che nonostante la serietà dimostrata, i nostri non hanno perso certo la loro pungente ironia.
Padania è un lavoro ispirato ed eclettico, che restituisce al nostro paese la genuinità di una band che ancora trova il coraggio di mettersi in discussione, non adagiandosi sugli allori, ma facendo della sperimentazione il marchio di fabbrica con cui, da anni ormai, continua ad emozionarci.
Tracklist:
- Metamorfosi
- Terra di nessuno
- La tempesta è in arrivo
- Costruire per distruggere
- Fosforo e blu
- Padania
- Ci sarà una bella luce
- Messaggio promozionale numero 1
- Spreca una vita
- Nostro anche se ci fa male
- Giù nei tuoi occhi
- Messaggio promozionale numero 2
- Io so chi sono
- Iceberg
- La terra promessa si scioglie di colpo