Dal blog di Grillo alla politica attiva: un movimento che si radica nelle istituzioni, mentre i media mainstream continuano a demonizzarlo.
Non c’è bisogno di aspettare l’esito dei ballottaggi, per individuare le tre principali linee di tendenza che emergono dalla recente tornata elettorale. Elezioni amministrative, legate dunque chiaramente alle dinamiche territoriali dei singoli comuni in cui si votava, ma con tre indicazioni di massima, di carattere nazionale, ben precise.
In primo luogo, si registra un significativo incremento dell’astensione: il numero dei votanti, infatti, cala dal 74% circa delle precedenti comunali, al 67% scarso di questo primo turno.
In secondo luogo, si registra un netto arretramento dei partiti di Berlusconi e Bossi, la cui leadership è, già da qualche tempo, in lento declino, a causa degli scandali per vicende di sesso e corruzione, il cui impatto mediatico, evidentemente, sopravanza e precede gli esiti giudiziari delle stesse.
Infine, di questa vera e propria emorragia di consensi non se ne giova tanto l’opposizione tradizionale (PD, IDV e sinistre varie), né quella che sarebbe dovuta convergere nel cosiddetto Terzo Polo (UdC e FLI, soprattutto), ma in larga misura se n’è avvantaggiato il Movimento 5 Stelle, la creatura politica nata dal blog di Beppe Grillo e ormai palesemente in grado di confrontarsi seriamente con le altre forze partitiche.
In particolare, qui, ci interessa approfondire meglio la terza questione, che, poi, in un certo senso, riassume anche le prime due.
«Della pesante sconfitta leghista ha approfittato il movimento Cinque stelle: Grillo ha presentato liste in 101 Comuni, conquistando quasi 200.000 voti, che rappresentano poco meno del 9% dei voti validi (per la precisione, l’8,74%). Il successo di Grillo è molto legato alle regioni settentrionali, quelle dove la Lega Nord andava forte. Al Nord il Movimento ha ottenuto un risultato medio pari al 10,75%, mentre al Sud si ferma al 3,6%. (…) Emblematico il caso di Parma, dove, osservano i ricercatori dell’Istituto Cattaneo, il 38,5% di coloro che avevano votato Lega nord nel 2010 hanno scelto di votare il candidato Pizzarotti del Movimento 5 Stelle».
A noi, in verità, proprio l’esempio di Parma, già a spoglio in corso, dava la sensazione netta che il grosso dei voti del candidato sindaco targato M5S provenisse dall’intero blocco sociale del vecchio centrodestra.
Del resto, il raffronto col dato delle precedenti comunali ci sembra appunto confermare che, essendo sostanzialmente immutato il dato elettorale del centrosinistra, il grosso dei voti dispersi del vecchio sindaco (ossia, dei voti non confermati alle liste del centrodestra) si è diviso tra quel 10% di incremento dell’astensione e il successo netto di Pizzarotti, che appunto correrà per la poltrona di sindaco, sfidando al ballottaggio Bernazzoli, il candidato forte del centrosinistra.
Se questa tendenza si confermasse anche nell’immediato futuro, emergerebbe con forza una delle più evidenti contraddizioni di questo movimento politico che, pur presentando un programma fondamentalmente progressista, nel suo proporsi come soggetto portatore di “idee” e non di «ideologie di sinistra o di destra», finisce poi con l’attrarre a sé proprio quella parte di elettorato di destra che più si riconosce in quel qualunquismo rancoroso e anti-politico, che ha fatto sì che Wu-Ming1 scegliesse addirittura di usare il termine “criptofascismo”, per descrivere il grillismo.
Due i punti nodali, di questa lunga riflessione che, a nostro avviso, comunque andrebbe letta: 1) «Beppe Grillo è proprietario unico del logo e del nome «Movimento 5 Stelle», ed è lui a decidere insindacabilmente chi possa usarlo»; 2) «è la tematica dell’immigrazione quella in cui il discorso grillino si fa più decifrabile e lascia trasparire l’animus fascistoide».
Il secondo punto, purtroppo, ci sembra decisamente meno controverso del primo.
Quando Grillo si scaglia contro gli zingari e i rumeni non fa ridere. Per nulla. E meno che mai fa riflettere:
«la Romania è in Europa. Ma cosa vuol dire Europa? Migrazioni selvagge di persone senza lavoro da un Paese all’altro? Senza la conoscenza della lingua, senza possibilità di accoglienza? Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom.
È un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Si poteva fare una moratoria per la Romania, è stata applicata in altri Paesi europei. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto nulla.
Un governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa? Chi paga per questa insicurezza sono i più deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari.
Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati».
E che questo post del 2007 non costituisca una sgradevole eccezione, ma rappresenti invece un ben chiaro modo di vedere le cose, ce lo confermano queste poche righe, assai più recenti:
«La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della “liberalizzazione” delle nascite».
Lo sciocco svilimento di una campagna per garantire la cittadinanza italiana agli stranieri nati in Italia, ottenuto banalizzando la civilissima proposta di abbandonare l’idea che la nazionalità sia principalmente un fatto di sangue (più o meno puro?), che si trasmette di generazione in generazione. L’idea di ricollegare la cittadinanza alla residenza, al nascere e al vivere nel Paese, a essere parte della sua cultura, insomma, per Grillo, non ha senso. Se due stranieri mettono al mondo un loro figlio in Italia, ciò non basta a far sì che questa persona possa dirsi italiana. Ovviamente, Grillo qui si guarda bene dal precisare che la campagna nasce per tutelare migliaia di ragazze e ragazzi, nati in Italia da genitori stranieri, ma cresciuti, imparando la nostra lingua, studiando da noi, e facendo insomma tutto ciò che normalmente ti rende partecipe di una comunità nazionale. Mettere una firma per sostenere questa battaglia di civiltà, a quanto pare, distrae dai veri problemi del Paese. L’idea che questi nuovi cittadini, magari, potrebbero aiutarci a creare un paese migliore non è da prendere minimamente in considerazione.
Tuttavia, se è vero che le posizioni di Grillo in fatto di immigrazione risultano palesemente xenofobe, come abbiamo appena constatato, resta invece tutto da dimostrare il punto 1, precedentemente citato: che la proprietà del simbolo del M5S definisca necessariamente il rapporto tra Grillo e il movimento in termini di subordinazione.
Segnalavamo prima come il programma di questo movimento proponga contenuti sostanzialmente progressisti.
Vediamone più in dettaglio, qualche esempio:
- democrazia partecipativa («realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi»);
- economia («Favorire le produzioni locali – Sostenere le società no profit – Sussidio di disoccupazione garantito – Disincentivi alle aziende che generano un danno sociale»);
- istruzione pubblica («Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica – Abolizione della legge Gelmini – Diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole con l’accesso per gli studenti – Graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l’accessibilità via Internet in formato digitale – Insegnamento obbligatorio della lingua inglese dall’asilo»);
- salute («Garantire l’accesso alle prestazioni essenziali del Servizio Sanitario Nazionale universale e gratuito»)
- energia («La prima cosa da fare è accrescere l’efficienza e ridurre gli sprechi delle centrali esistenti, accrescendo al contempo l’efficienza con cui l’energia prodotta viene utilizzata dalle utenze»);
- trasporti («Disincentivo dell’uso dei mezzi privati motorizzati nelle aree urbane – Sviluppo di reti di piste ciclabili protette estese a tutta l’area urbana ed extra urbana – Potenziamento dei mezzi pubblici a uso collettivo e dei mezzi pubblici a uso individuale (car sharing) con motori elettrici alimentati da reti – Blocco immediato del Ponte sullo Stretto – Blocco immediato della Tav in Val di Susa – Proibizione di costruzione di nuovi parcheggi nelle aree urbane – Sviluppo delle tratte ferroviarie legate al pendolarismo»);
- informazione e telecomunicazioni («Un solo canale televisivo pubblico, senza pubblicità, informativo e culturale, indipendente dai partiti – Abolizione della legge Gasparri – Copertura completa dell’ADSL a livello di territorio nazionale – Statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia, e l’impegno da parte dello Stato di fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi ad ogni operatore telefonico – Introduzione dei ripetitori Wimax per l’accesso mobile e diffuso alla Rete – Eliminazione del canone telefonico per l’allacciamento alla rete fissa»).
Molti di questi contenuti sono tipicamente “di sinistra”. E sebbene esistano anche aspetti più controversi (a sinistra non sarebbe particolarmente apprezzata, per esempio, né l’idea di abolire il valore legale dei titoli di studio, né quella di cancellare completamente i finanziamenti pubblici alla stampa libera), il punto realmente innovativo è chiaramente quello che tende a superare il rapporto tra rappresentanti e rappresentati, promuovendo e valorizzando la partecipazione di tutta la cittadinanza alla vita della polis.
Non solo si tratta di un tema particolarmente sentito in tutta quella vasta galassia di piccoli soggetti politici che stanno provando a ricostruire più apertamente “da sinistra” ― si pensi ad ALBA, ossia l’Alleanza per Lavoro, Benicomuni e Ambiente, per fare un esempio emblematico ― una politica a misura d’uomo, ma è anche e soprattutto in questa prassi partecipativa che, bene o male, si risolverà il contrasto tra il proprietario del simbolo e il movimento di cittadini.
Se, infatti, il Movimento 5 Stelle vuole essere davvero un soggetto collettivo in cui le pratiche democratiche sono la regola aurea, da declinare non più nei termini di mera scelta di rappresentanti a cui delegare il compito di provvedere ad attuare le istanze dei rappresentati, è ovvio che tutto ciò che pensa e sostiene Beppe Grillo non dovrebbe essere nulla di più che l’opinione di uno dei tanti soggetti di questo movimento politico.
Che Grillo non sia un leader politico in senso tradizionale è innegabile, così come sarebbe improprio definirlo come una sorta di ideologo del movimento nato dal suo blog.
Più di un attivista, in effetti, quando si tocca l’argomento delicato del rapporto Grillo/M5S, evidenzia la persistenza di un doppio cordone ombelicale: quello della gratitudine verso la persona che ha fatto sì che questa avventura politica potesse nascere e crescere vigorosa; quello della visibilità mediatica che la figura di Grillo garantisce al movimento, fuori da internet e dai contatti diretti sul territorio.
Ma, per quanto forti possono essere questi legami, delle due l’una: o il movimento è in grado di scegliere democraticamente di non fare tutto quello che Grillo pensa che sia giusto fare (e/o di fare eventualmente anche tutto quello che Grillo invece non ritenesse opportuno) o non può. E se non può ― che sia in virtù della questione della proprietà del simbolo o solo per il carisma col quale il comico genovese sarebbe in grado di condizionare sempre la maggioranza dei cittadini che portano avanti questo progetto politico ― allora il M5S non è né libero, né autonomo, né democratico, perché l’essenza di una vera democrazia è la possibilità di scelta. Meglio ancora: se in una comunità non c’è possibilità di scegliere, ma ci deve necessariamente conformare alla volontà di un determinato individuo, per quanto nobile e autorevole, ebbene: in quella comunità politica non c’è democrazia.
Anche per questo, se il movimento vuole camminare con le sue gambe farebbe meglio a recidere i cordoni ombelicali col comico chioccia; senza che questo significhi automaticamente rinnegare tutto ciò che Grillo ha rappresentato per loro in questi anni.
E se definire una volta per tutte la questione della proprietà del simbolo, costruendo anche formalmente l’autonomia del movimento, renderebbe storia antica e superata ogni polemica sugli ordini impartiti dal capo, come nella recente questione del non partecipare ai dibattiti politici televisivi, anche la visibilità che Grillo garantisce al movimento nei media mainstream si sta rivelando sempre più spesso un’arma a doppio taglio.
Persino all’osservatore più distratto, infatti, non sarà sfuggito come, soprattutto in TV, Grillo e il ‘suo’ movimento, ultimamente, non vengano più trattati come una sorta di nota folkloristica, a margine della politica ufficiale. Ora, le ‘sparate’ di Grillo, sovente, vengono utilizzate per provare a depotenziare l’attrattiva di un soggetto politico in crescita, che fa tanto più paura a chi ha interesse a che nulla cambi in questo Paese, quanto più il soggetto appare forte ed estraneo al sistema di potere precostituito.
Qui va detto subito che la sfacciataggine e l’ipocrisia di una comunicazione tutta improntata all’oggi, fanno sì che a dare del nazifascista a Grillo possano essere gli stessi personaggi che negli ultimi venti anni hanno contribuito, muovendo le leve del potere politico e mediatico, a quel tentativo (riuscito solo in parte) di trasformare la costituzione antifascista in anticomunismo viscerale, provando addirittura a riscrivere la storia di questo Paese, rappresentando come deprecabili episodi singoli, gli effetti della dittatura fascista e di un conflitto bellico di dimensioni planetarie. E, d’altra parte, l’incentrare questo tipo di lettura critica non tanto sulla violenza verbale delle invettive ad personam del comico genovese, quanto, piuttosto, sulla xenofobia di certi suoi testi ― come qui abbiamo già ampiamente sottolineato ― comporterebbe poi la necessità di fare i conti coi CIE e i respingimenti di massa, giusto per voler stare strettamente al tema e senza andare a riaprire anche le ferite di Genova 2001 e le troppe coperture di comportamenti fascisti nelle istituzioni.
Ma al di là della evidente strumentalità di molti degli attacchi mediatici che sono stati rivolti a Grillo, da quando si è diffusa la notizia che il movimento cominciava a raccogliere cifre interessanti nei sondaggi, non si può negare che, con la storia della mafia che «non ha mai strangolato il proprio cliente», il comico ha fatto un clamoroso doppio errore di comunicazione.
In un momento in cui si capiva benissimo che i grandi media lo stessero un po’ aspettando al varco, per sferrare una sorta di attacco concentrico, Grillo ha scelto di fare una provocazione concettuale, che, anche se formulata alla perfezione, sarebbe stata comunque facilmente strumentalizzabile, per la delicatezza del tema trattato. E già questo, in campagna elettorale, è un errore politico da dilettanti.
Ma ancor più grave è stata l’incapacità di sviluppare logicamente la provocazione che si voleva proporre. Grillo, infatti, non ha detto che siamo in presenza di uno Stato che, di fronte a una grave crisi economica, invece di chiedere sacrifici a chi non ha mai versato il proprio contribuito o di domandare, tra quelli che lo versano, soprattutto ai più facoltosi, sceglie di pretendere tanto dai tanti che già hanno risorse economiche molto scarse, rischiando, così, metaforicamente, di strangolarli. Non ha detto questo e non ha aggiunto a ciò la battuta, tanto iperbolica, quanto rischiosa, sullo Stato che, così facendo, si comporta anche peggio della mafia, che ti uccide soltanto se non paghi il pizzo e non quando lo paghi. Niente di tutto questo: ha scelto semplicemente malissimo le parole, improvvisate o preparate che fossero.
Per tutte queste ragioni, sarebbe dunque interesse primario del Movimento 5 Stelle separare nettamente gli sviluppi presenti e futuri del proprio precorso politico da ciò che direttamente si connette alla persona del suo mentore. A meno che non vogliano disinteressarsi totalmente della rappresentazione mediatica del loro operare, infatti, fintanto che resterà valida l’equazione Grillo = M5S, ogni attacco alla persona di Grillo imporrà loro di sottrarre tempo alla realizzazione della progettualità politica, per dedicarlo a parare gli attacchi mediatici, tanto più intensi, quanto più i sondaggi pronosticheranno un possibile successo della loro proposta politica.
Da ultimo, vorremmo provare a chiarire brevemente perché abbiamo sostenuto che il successo elettorale del Movimento nato dal blog di Grillo, rispetto alle tre linee di tendenza nazionale, che sono emerse dopo queste comunali, aveva aspetto prevalente e riassumeva, in un certo senso, anche le altre due.
Se c’è un dato politico certo, in questo momento, è che nel Paese esiste una forte domanda di cambiamento.
Crollano quelli che avevano vinto nettamente le politiche del 2008, si sfalda quello che noi abbiamo spesso definito come un progetto eterodiretto di bipartitismo coatto, il principale partito dell’opposizione (e ora di tutto il Paese che ancora va a votare), nel persistente inseguimento della sua chimera centrista, ugualmente perde elettori, anche se in percentuale la cosa si nota di meno, a causa dell’incremento dell’astensionismo, e la multiforme sinistra extraparlamentare non riesce a riproporre a livello nazionale quei percorsi unitari che in ambito locale sono risultati spesso vincenti, anche sfidando apertamente i due sedicenti grandi partiti dell’aborto bipartitico e le occasionali forze centriste.
Tendenze consolidate in diverse tornate elettorali, di cui questa ultima costituisce solo un’ulteriore conferma.
In questo quadro, il successo elettorale di un nuovo movimento politico che, nel breve periodo, riesce a trarre forza da tutte le contraddizioni fin qui rilevate, a nostro avviso, dimostra soprattutto come questo successo sia sintomo di una diffusa insoddisfazione verso una classe politica che non è più credibile.
Sulle ragioni di questo deficit di credibilità abbiamo già scritto in passato e ancora scriveremo, ma ora ci sembra innegabile che, per una fetta considerevole della popolazione italiana (un terzo dei votanti), l’insoddisfazione per la classe politica è tale da far sì che il “non voto” rappresenti, di fatto, il primo partito. Ma ancora più interessante è il dato che mette in crisi il dogma propagandato per quasi tutta la cosiddetta seconda Repubblica: la democrazia dell’alternanza, fondata su due opzioni politiche che non possono differenziarsi più di tanto, perché le elezioni si vincono sempre al centro, in base a come si orientano di volta in volta quelle fantomatiche masse di elettori moderati, che, però, evidentemente in Italia non esistono. Non esistono, perché, anche stavolta, non c’è spostamento di masse di elettori da destra a sinistra (o viceversa): ragionando sui grandi numeri, infatti, l’elettore deluso dal proprio schieramento politico di riferimento o si astiene o punta su una proposta politica radicalmente nuova.
Ed è proprio questo, in ultima analisi, il motivo per cui Grillo (e per transitività il M5S) diventa oggetto di attacchi mediatici concentrici: il successo di una proposta di radicale cambiamento rischia di spezzare definitivamente il sacro dogma della conservazione, offrendo un’alternativa concreta all’astensione, a tutti quei cittadini italiani che non sono più disposti a legittimare col proprio voto questa immutabile conservazione.
Cittadini insoddisfatti, che diventano sempre di più.
Una lezione politica che ― piaccia o meno ― quelle forze che davvero hanno intenzione di provare a cambiare questo Paese dovranno tener nel dovuto conto, presto o tardi.