Quando si parla di concerti di musica indipendente, fosse anche italiana, per chi si trovasse a vivere dove vivo io (Potenza), il prezzo finale del concerto è composto da più voci:
- Costo del biglietto,
- (odiosi) + d. p. ,
- costo del viaggio per raggiungere la località in cui si tiene il concerto (che generalmente, salvo le rare occasioni in cui ci sia qualcosa in provincia di Salerno, si trovano a minimo un paio di orette di distanza),
- (se non si trovano in provincia di Salerno) eventuali spese di soggiorno (che vanno dal prezzo dell’albergo/bed &breakfast, al prezzo in natura di una ospitata a casa dell’amico fuorisede, perché guai ad andare a mani vuote).
Vista la scarsità di occasioni in loco, difficilmente si scappa a questa logica che facilmente arriva a triplicare il costo della musica dal vivo. Ma tant’è e la passione spesso fa affrontare a cuor leggero questo gap che separa la Basilicata dal resto del mondo.
Poi di tanto in tanto capitano gli eventi che non ti aspetti.
Proprio mentre stavo a pensare dove andare a trascorrere il mio compleanno, un amico di Tito (paese limitrofo a Potenza, dove vivo) mi contatta e mi dà la notizia:
“Seppi’, l’8 marzo ci saranno i Massimo Volume al Cecilia (centro per la creatività)”.
Problema risolto, non potrei essere da nessun altra parte.
I giorni che hanno preceduto il concerto sono stati tutto un lavorio per diffondere la notizia come meglio possibile perchè l’evento non passasse inosservato e quindi via con le locandine, gli annunci su facebook, il passaparola.
E finalmente arriva la sera dell’otto.
Salgo in macchina e non ho neanche il tempo di pensare a quanto strano sia vedersi un concerto a cinque minuti da casa che arrivo al Cecilia, centro per la creatività di Tito (PZ) (la comodità delle piccole città). Il posto è un auditorium ricavato da un vecchio palazzetto dello sport ed al piano terra ha uno spazio per esposizioni, bar ed una saletta per concerti piccoli, mentre al piano superiore c’è l’auditorium vero e proprio (una quelle strutture ad anfiteatro tutte rivestite di legno). Sono le dieci e per questa struttura si aggirano diverse facce stranite. Credo di non essere il solo a provare il senso di strana euforia che provo io.
Lo combatto a suon di birre e salgo su in auditorium.
Mentre ancora molti vagano come fantasmi al piano inferiore su in auditorium, si abbassano le luci e Massimo Volume e la sua band (epic fail a cura del Giornale di Sicilia) entrano in scena, imbracciano gli strumenti e senza troppi convenevoli attaccano una Dymaxion Song che suona da sirena di inizio concerto.
Nel frattempo la sala si riempie di quei fantasmi che prima vagavano al piano di sotto.
La resa sonora dell’auditorium rende giustizia al suono della band sul quale spicca la voce di Clementi con la sua ruvidità che non fa sconti a chi l’ascolta (si distingue nettamente un brivido attraversare la sala quando nell’auditorium riecheggiano le urla furiose “Ti piaccia o no…”).
Senza stacchi si passa per La Notte e Aspettando i Barbari, al termine delle quali Clementi si avvicina al microfono e saluta brevemente il pubblico che è già completamente assorto, ma risponde ugualmente calorosamente.
E via di nuovo per una scaletta suonata quasi ininterrottamente.
Il palco è allestito in modo essenziale, poche ma efficaci le luci di scena, ed uno schermo dietro Emidio Clementi su cui vengono proiettate sequenze di immagini che tra un pezzo e l’altro danno spazio all’immagine di copertina di Aspettando i barbari.
Le chitarre di Egle Sommacal e Stefano Pilia opportunamente effettate creano i tappeti sonori che mandano in bambola il pubblico, grazie ad una base solidissima composta dal basso di Emidio Clementi e soprattutto dalla incredibile batteria di Vittoria Burattini, che da sola riesce a costituire la ricca sezione ritmica, grazie anche alla capacità di districarsi tra tempi diversi (ho visto un amico batterista strabuzzare gli occhi quando, in avvio di un pezzo, il tempo viene scandito con un “one, two, three, one, two, three” a.k.a. tempo in 6/4).
Mano mano che il concerto va avanti si fanno più frequenti le controvoci di Egle che donano ai pezzi una ulteriore e più profonda densità emozionale che diventa massima quando fa la sua comparsa sul palco un secondo basso, imbracciato da Stefano Pilia, che si aggiunge a quello di Mimì a creare un suono decisamente più claustrofobico.
Prima di concludere, Clementi dà dimostrazione di conoscere anche i meccanismi del campanilismo di queste parti quando rivolgendosi alla platea dice di conoscere alcuni potentini, ricevendone una immancabile risposta chiassosa (che ci vuoi fare, è la provincia).
Alla fine della scaletta il gruppo ha suonato tutto Aspettando i Barbari, facendo anche qualche divagazione verso il precedente Cattive Abitudini (La bellezza violata, Litio) ma anche Da qui (La città morta) e Lungo i bordi (Il primo dio).
Dischi che vengono tirati in ballo anche nel bis che si conclude con una Fuoco fatuo che in parecchi avremmo voluto durasse all’infinito (“Leo è questo che siamo, Leo è questo che siamo, Leo è questo che siamo…”).
Dopo il concerto passo nei camerini a scambiare quattro chiacchiere con Emidio Clementi, che tra un commento sulle difficoltà che si incontrano a fare musica in provincia ed un augurio di compleanno, non si tira indietro quando gli chiedo se conosce l’indiependente…
Dei Massimo Volume si può dire e si è detto di tutto: dalle somiglianze importanti con gli Slint, all’importanza seminale che ha avuto l’interpretazione in prosa al posto del cantato per la scena musicale italiana successiva.
Io dopo questo concerto mi sono reso conto sopratutto di un fatto: nonostante si trovassero ai confini del mondo (ahimè la provincia di PZ lo è) e pur avendo molte date e km per l’Italia alle spalle, hanno prodotto un’ora e mezza abbondante di musica sublime senza risparmiarsi, dimostrando anche qui, non che ce ne fosse bisogno, di essere un gruppo di spessore enorme.
Per quanto mi riguarda poi, qui il è il campanilismo che mi ispira, fa piacere capire che questo è stato possibile anche perchè l’esibizione è avvenuta in una struttura, il Cecilia, centro per la creatività, che è apparsa idonea ad ospitare band di questo livello (il che da queste parti non è assolutamente trascurabile). La Basilicata (forse) esiste.