Dei Chvrches vi avevamo preannunciato già un anno fa, in tempi non sospetti, che sarebbero stati la nuova next big thing made in UK. Ci scommetto un mappamondo che una grossa percentuale delle recensioni che usciranno a valanga in questi giorni sull’attesissimo debut album del trio scozzese, avrà questo incipit. E quando decine di webzine vantano la loro lungimiranza, significa solo una cosa: già un anno fa era un gran parlare di questi Chvrches. Da più di un anno l’hype attorno a loro cresce inesorabilmente, e loro hanno sapientemente cavalcato l’onda.
Nel 2012 sono venuti fuori con due singoli, Lies e The Mother we Share, lanciati a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, accompagnati da numerosi video di live act che hanno iniziato a rimbalzare da una parte all’altra del globo, fino alla comparsa a novembre di una live session per la BBC Radio 1, il tutto ripeto con solo due singoli all’attivo.
Le carte in regola ci sono tutte, d’altronde i due sound maker del gruppo, Iain Cook e Martin Doherty, non sono certo dei pulzelli alle prime armi, venendo da progetti musicali piuttosto validi, rispettivamente Aerogramme e The Twilight Sad. Accanto a questo, se non davanti, c’è Lauren Mayberry. Sicuramente senza di lei non staremmo qui a parlare di loro, d’altronde la scelta di rendersi virali tramite video live ben curati si basa essenzialmente sulla sua figura: fascino ammiccante, femminilità innocente e look ineccepibile.
Sulla scia dell’hype il 2013 dei Chvrches è iniziato coi botti: la BBC che continua a puntare su di loro: quinti al Sound of 2013, i Depeche Mode che decidono di portarseli nel loro mega-tour europeo, lanciano un paio di altri singoli, finiscono nella colonna sonora di Fifa 2014 e finalmente si prendono la briga di pubblicare il primo EP, Recover, che tuttavia ha lasciato la bocca insipida ai più.
Il disco che abbiamo tra le mani è prima di tutto una raccolta dei vari singoli rilanciati negli ultimi 15 mesi: The mother we share, We Sink, Gun aprono il disco e ben presto ci si ritrova catapultati anni e anni addietro, tra Duran Duran e Soft Cell, tra Talk Talk e Depeche Mode, vittime di tastiere a menadito e synth sparati a mille. La sensazione cala con Tether per poi risalire all’apice con Lies, pezzo tra i più riusciti. La seconda parte, scorre senza troppa enfasi, tra pezzi che potrebbero benissimo far parte della colonna sonora di Flashdance o American Gigolò, definendo in un certo modo quelle che sono le intenzioni musicali dei tre di Glasgow: Synth-pop, molto più pop che synth, all’ennesima potenza, nutrito endovena da richiami dance anni ’80 a dosi massimali. Un’ attitudine sonora sulla scia dei Purity Ring e dei Passion Pit passante per i The Knife, ma con una spiccatissima ispirazione melodica che ha determinato la carica infettiva dei pezzi rilasciati alla spicciolata negli ultimi 15 mesi.
I Chvrches hanno diversi assi nelle loro maniche e soprattutto hanno saputo giocarseli alla grande, riuscendo in una campagna di promozione lenta ma efficace. Un album destinato a fare i botti, perché composto essenzialmente da singoli immediati e poppeggianti, che ridanno nuova linfa a sonorità ormai estinte e ancora mai adeguatamente rilanciate, mantenendo tuttavia una notevole dose di autenticità e qualità. Il lato debole di questo disco risiede paradossalmente proprio nel segreto del suo potenziale successo: un album trainato da brani orecchiabili e dal facile impatto è inesorabilmente destinato, per quanto di ottima fattura, a stancare presto, specie chi, come me, nostalgia degli anni ’80 proprio non ne ha.
Virgin (UK), Glassnote (USA), 2013