Molti si saranno accorti dell’ondata di nervosismo e di incontrovertibile intolleranza da parte della stragrande maggioranza degli elettori del MoVimento Cinque Stelle, ma anche gli altri cittadini che sono andati a votare stanno molto su di giri: probabilmente perché ci ritroviamo un governo minestrone che nessuno ha votato, nè voluto, nè neanche lontanamente immaginato (diciamocelo, Letta proprio non se l’era immaginato nessuno). Quelli che non sono proprio andati a votare sono quelli più neri di tutti. Questo post è rivolto un po’ a tutte queste categorie innervosite che stanno lì a vomitarsi l’un l’altro parole di fuoco su concetti dei quali sanno probabilmente poco o nulla.
Credo che uno dei nodi fondamentali per comprendere tal scaldarsi d’animo sia dovuto principalmente alla confusione che regna tra la “Politica” e la “Comunicazione Politica”. Il modo migliore per spiegare cosa intendo è quello di osservare i programmi di partito, reperibili nei siti istituzionali che fanno riferimento ai singoli partiti.
Comunemente tendiamo a credere che ci sia un solo programma per ogni partito, che esso sia costituito da punti indelebili dai quali è difficile prescindere e che siano chiari, precisi e senza possibilità di essere re-interpretati svariati volte. Non è un errore di ingenuità credere al “programma politico” diffuso dai siti di partito perché è esattamente quello l’obiettivo: siamo vittime, non semplici ingenui. Il programma di Grillo è un esempio perfetto di questo concetto ma vi rimando a questo meraviglioso post di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano che ben rende l’idea di cosa vuol dire “interpretare i punti di un programma politico”, riferendosi propri o a quelli dell’M5S. Volendo essere meno smaliziati (dato che mi si accusa di attaccare sempre e solo il leader maximo Beppe Grillo) vi invito a collegarvi alla pagina istituzionale del PDL che presenta il programma con riferimento alle ultime elezioni. C’è un passaggio straordinario che rendere perfettamente l’idea di cosa voglio dire, nella sezione numero 2:
– Abolire il finanziamento pubblico dei partiti.
Non bisogna essere degli scienziati della comunicazione per comprendere che questo punto è una diretta conseguenza del successo retorico-mediatico di questo provvedimento: l’equazione politici = ladri ha fatto il suo corso e Re Silvio ne ha giustamente fato un must comunicativo.
– Dimezzare tutti i costi della politica.
Quanto detto sopra rimane ovviamente invariato ma qui si aggiunge un problema terminologico: cosa si intende, di grazia, “costi della politica”? I costi del figlio di Bossi che si faceva pagare tutti suoi affari privati e gli yacht, oppure le spese per il mantenimento dei circoli territoriali? Precisamente di che cosa si sta parlando? Quali sono i “costi della politica” da abbattere, e quanto incidono realmente sui problemi del paese? Si potrebbe interpretare in svariati modi.
Il programma politico del PD ha invece un altro tipo di errore: paradossalmente ogni punto è una specie di saggio breve pensato per chi ha una voglia incredibile di scoprire come agirà il Partito Democratico (chi ha davvero voglia di sottoporsi a questa gogna terribile a parte il sottoscritto? Pochi, temo): lontano dalle logiche da “brochure” e da “volantino” che contraddistinguono i programmi del PDL e dell’M5S, qui dentro ci si perde in una marea di dati e statistiche che sembrano descrivere più lo “stato esistente delle cose” che le proposte per il futuro; quest’ultime sono infatti sempre troppo vaghe e spiegate in brevi righe tra un dato numerico e l’altro (questa pagina temo sia rappresentativa, oltre che stracolma di retorica).
Il programma politico è quindi un volantino con il quale si spiega agli elettori cosa il Partito “vorrebbe / dovrebbe / prometterebbe” di fare nel caso in cui fosse eletto. Ma non è il “Programma Politico” in senso pieno, non sapremo mai come si comporteranno i parlamentari se non analizziamo effettivamente le proposte di legge presentate, quali passano, quali no, chi le vota e chi si astiene e soprattutto chi si oppone. La “promessa” è la comunicazione, l’ “atto” è la politica: la vecchia dicotomia tra “forma” e “sostanza” è esattamente in questo bug di definizioni e interpretazioni.
Allo stato attuale si è vista poca “Politica” e moltissima “Comunicazione”: bloccati in un’impasse istituzionale nel quale PD e PDL non riescono a mettersi d’accordo su niente (a parte questi fondamentali F35 che dovremmo acquistare tra poco e gli incentivi per il lavoro, che ad analizzarli viene da piangere), dove il M5S restituisce demagogicamente un milione e mezzo di euro e fa la prima donna declamando accorati interventi per chiedere giustizia sul lavoro: lo faceva anche Bertinotti, abbiamo visto come è andata. E’ solo comunicazione, poca ciccia e molta retorica.
Giusto per concludere, vorrei citare Alessandra Daniele che su Carmilla Online ha scritto che con il milione e mezzo di euro restituito dai grillini non paghiamo nemmeno un bullone dei sopracitati cacciabombardieri. Oltre alla risata che mi ha suscitato, mi ha fatto ulteriormente riflettere sulla retorica di un provvedimento simile: siamo immersi in un mare di “comunicazione” e in un deserto di “politica” e di quest’ultima, che vi piaccia o meno, che vi faccia schifo per un qualche pre-concetto o per esperienza diretta, ne abbiamo decisamente bisogno.
P.S.: Se avete voglia e tempo, provate a recuperare il vecchio programma di Oscar Giannino, noterete che in quello non c’è scritto assolutamente niente, a parte un mare infinito di parole chiavi quali gettito, liberalizzare, concorrenza, servizi professionali, privatizzare, sistema economico, privilegi, monopoli, tetto pubblicitario, duopolio imperfetto, gara fra imprese concorrenti, etc. etc. etc. La scelta di queste keywords è una precisa scelta di comunicazione, non certo di politica.