Fotografie di Alessia Naccarato
Parole di Francesco Chianese e Seppino Di Trana
Per aprire un report dell’Ypsigrock certo non c’è più bisogno di introdurre Castelbuono, questo paesino tra le montagne a un’oretta da Palermo benedetto dal dio della musica, perché ormai ci si arriva preceduti da una indiscutibile fama, giunta perfino ai quotidiani nazionali come Repubblica. Un nome che il festival si è guadagnato sul campo e con un grande lavoro, raccolto soprattutto nelle ultime edizioni, in cui gli organizzatori sono riusciti a mettere insieme una line-up inimmaginabile se si confronta con i numeri del posto e con il prezzo del biglietto richiesto, e che ci porta indietro ad altri tempi della scena musicale italiana. Ma la selezione musicale operata è attualissima e, anzi, vede piuttosto lontano nel futuro. Così, se rispetto agli ultimi quattro-cinque anni in cui festival è diventato l’evento dell’anno per chi ascolta musica indipendente in Italia, l’edizione del 2017 ci presenta un cartellone meno appariscente, al riscontro effettivo la selezione risulta non meno solida, mettendo insieme nomi che sicuramente faranno parlare di sé insieme a quelli su cui si può contare, e lo spettacolo offerto sui vari palchi è davvero notevole. Anche l’organizzazione si dimostra solita, per quanto i locali lamentino che quest’anno sembrava mancare di qualcosa: a noi de L’Indiependente Ypsigrock conferma che la capitale del rock indipendente italiano è minuscola, e vitale come non mai.
Chi è già venuto a Castelbuono sa bene cosa il festival ha da offrire. Si tratta di un evento articolato ormai in quattro giorni, che abbina diverse caratteristiche proprie dei festival internazionali alla dimensione tipica siciliana della location. C’è quindi un campeggio attrezzato che è ormai leggendario quanto il festival, c’è la dislocazione dei diversi concerti in una serie di palchi distribuiti in giro per il paese, con eventi che cominciano alle cinque del pomeriggio e proseguono fino alle quattro di notte, c’è una serie di eventi collaterali, come i vernissage di “Animal Palace” di Emiliano Maggi e “Tinals” di Gianluca Gallo. Ma c’è anche Castelbuono, perché il festival – e qui sta l’originalità del carattere di questa manifestazione – è inserito all’interno della dimensione del paesino al punto da fagocitarlo per l’intera sua durata. Così il palco principale, Ypsi Once Stage, è situato nel magnifico castello in cima alla collina; il secondo palco, Ypsi & Love Stage, è posto nel delizioso chiostro di S. Francesco; poi c’è Mr. Y Stage nella ex Chiesa del Crocifisso, una cappella sconsacrata e che si presta perfettamente agli eventi musicali, e infine il Cuzzocrea Stage collocato nell’area camping, tra gli alberi del parco naturale delle Madonie, dove si esibisce l’ultimo artista della serata e c’è il dj-set di chiusura a opera dei Shirt Vs T-Shirt, nonché dove si è tenuta l’ormai classico Welcome Party ha ospitato anche la band nativa di Castelbuono che ha tenuto a battesimo questa edizione: When Due. A seguire la loro performance, tre giorni intensi di musica con in ordine di apparizione: Sergio Beercock, Bry, Hån, Cabbage, Preoccupations, Ride, Nularse, Éstel Luz, Adam Naas, Amnesia Scanner, Christaux, Beak, Rejjie Snow, Digitalism, Bruce Harper, Bobbypin, Klagonstof, Aldhous Harding, Edda, Car Seat Headrest, Cigarettes After Sex, Beach House e Kassiel. E poi, ovviamente, ci sono le arancine e le panelle, la manna spalmata sui panettoni e offerti in assaggio a qualsiasi ora del giorno e della notte nella piazzetta e la granita di mandorla e di mandarino, che difficilmente troverete a Glastonbury, e sono cose sacrosante e che vanno rivendicate. Inoltre l’atmosfera del festival, la rilassata socialità in cui l’entusiasmo degli Ypsini alla prima volta si mischia con gli affezionati che vi ritornano e con i locali di Castelbuono che rientrano tutti per ritrovarsi al festival insieme, nelle pause tutti concentrati tra i baretti della piazzetta e quelli più locali, è assolutamente unica, e viene facile lasciarsi convincere a tornare, una volta messovi piede la prima volta: una volta Ypsini si resta Ypsini per tutta la vita.
Giovedì 10
Il giorno uno è un po’ di riscaldamento, come è tradizione nei festival internazionali. Si arriva al camping, si monta la tenda, ci si fa un giro e si aspetta che si faccia sera. Ci si mangia un panino con salsiccia e cipolla – qui la dimensione locale vince su quella internazionale – e si comincia a bere birra a orari precoci e a prezzi che rientrano nella dimensione della decenza. E nel mentre, c’è chi traffica intensamente intorno al Cuzzocrea Stage. Si comincia ad allestire tutto forse un po’ tardi e un po’ di problemi tecnici creano nervosismo intorno al palco, ma il dj set “residente” dei Shirt Vs T-Shirt, che compie dieci anni, ha inizio più o meno a mezzanotte per poi lasciare dopo un paio di pezzi il palco ai When Due e poi riprendere fino alle quattro del mattino, più o meno secondo il programma. Il duo di Castelbuono, al secondo EP, “Pendolo”, è decisamente la voce di una generazione cresciuta a pane e Ypsigrock. Walter Mogavero e Leonardo Sferruzza con solo quattro mani mettono insieme una varietà di suoni incredibile, alternando vari strumenti – dai synth alle basi al piano al basso alla chitarra alla batteria – ed esibendo una maturità musicale che è decisamente il frutto di una vita di ascolti. Incontrarli in apertura del festival sembra un po’ ripercorrere le diverse edizioni che si succedono una per una nei pezzi, dalla storica edizione che ha presentato i Motorpsycho a quella che ha visto sul palco Apparat, Moderat, e Primal Scream. Il loro live set suona cattivo, potente, energico, ma costruito su un tappeto di ritmiche complesse che integrano batteria acustica e drum machine e rendono il complesso anche estremamente ballabile: appunto, una fusione delle due anime di Ypsigrock che incontreremo articolate nei prossimi due giorni. Insieme a Sergio Beercock, Hån, Nularse, Bruce Harper e Éstel Luz, gli altri giovani talenti introdotti dal contest Avanti il prossimo, When Due si presta a essere la boccata di musica nuova che si spera porterà nuova linfa alla scena nazionale indipendente troppo usurata dal cantautorato adolescenziale e pettinato degli ultimi anni, e in questo ancora una volta Ypsigrock dimostra di avere la vista lunga.
Come si legge sui feeds durante il festival, lo spirito di Ypsigro si è svegliato, e le quattro di notte è un orario di tutto rispetto per andare tutti in tenda e mettere da parte qualche ora di sonno per il primo giorno intenso di programma.
Venerdì 11
Sergio Beercock apre il secondo giorno di concerti all’Ypsi&Love. One man show voce e chitarra di impianto solidamente folk ma coltivato in numerose e importanti esperienze a teatro, questo ragazzo britannico-palermitano che già danza sul palco come fosse al riparo nella sua stanzetta ci regala una prestazione di sostanza, elargita con intensità durante la mezzora concessagli dalla scaletta, senza lasciarsi intimorire dalle prime gocce di pioggia. Una pioggerella che si fa più intensa quando sul palco sale Bry, propriamente britannica come le sonorità pop che riempiono il Chiostro di San Francesco. Cresciuto su youtube e passato per una produzione importante nel suo esordio discografico, Bry è probabilmente quello che tra gli artisti più giovani raccoglie maggiore hype tra le teen-agers accorse apposta per il suo live, per la prima volta in Italia. Nonostante una scarsa dimestichezza con le cinture, la performance è energica e convincente, e contribuisce al crescendo di intensità che ci proietta verso il secondo palco, accompagnati dalla banda locale del paese, Y. We R., che rielabora pezzi di rock classico scortandoci alla ex Chiesa del Crocifisso. Il pubblico riempie in fretta lo spazio limitato della piccola chiesetta oggi dedicata ad ospitare eventi di vario tipo: anche in questo caso c’è una certa attesa per l’esibizione di Hån, sicuramente una delle più interessanti novità annunciate della prossima stagione musicale italiana, nonché vincitrice del contest e fortemente voluta dagli organizzatori Ypsini proseguendo le prime tappe del suo debutto, dopo una serata di esordio a Londra. Il dream-pop elettronico della giovanissima musicista e cantante milanese, accompagnata in questo caso da una chitarra elettrica, riempie di sospiri e fruscii lo spazio bianco della cappelletta per una mezzora, già anticipando le atmosfere sospese e sognanti che saranno riprese nella giornata di domenica, e non a caso proprio Hån ha aperto le date italiane di Cigarettes After Sex, per dirne una. Quindi, dopo uno spritz al Cycas e aver agguantato un’arancina al volo al Trappito, secondo le buone tradizioni castelbuonesi, entriamo al castello per la portata principale della serata.
Si tratta della serata più rock della rassegna: aprono gli sconsiderati Cabbage, classica scoperta ypsina nell’unica data in Italia prevista dal loro tour, gruppo rivelazione strombazzato dal Guardian e dalle riviste inglesi per aver riportato sul palco atmosfere e suoni grunge che ormai davamo per scomparsi per sempre, esibite con una verve poco pretenziosa a partire dalla mise del buffo front-man vestito di bermuda giallo fosforescente e maglietta bianca da muratore, che forse passeranno alla storia del pret-a-porter di Castelbuono piuttosto che per aver regalato una performance memorabile. Decisamente di peso ben più importante la performance offerta dai Preoccupations, gli ex-Viet Cong che hanno cambiato il nome senza tuttavia tradire il l’atteggiamento di chi ha trasformato il post-punk in una forma di terrorismo, a cui ci avevano rapidamente abituato. La performance è ottima e senza riserve, ma appare mortificata dalle scelte poco brillanti dei fonici, soprattutto se subito dopo assistiamo al live incontenibile elargito dai Ride tornati, dopo diciotto anni di assenza, all’apice della loro forma. Imperversando per un’ora e mezza abbondante e con volumi tali che nel caso dei Preoccupations sarebbe potuta scoppiare una guerra civile, il quartetto di Oxford coglie il tempismo giusto, ricomponendo dopo due performance aggressive gli animi prima di raccogliersi per la notte in campeggio. Dopo un ultimo bicchiere in piazza ci si dirige verso l’area camping per il live di chiusura di Nularse, che ci da la buonanotte con il suo particolare intreccio di arpeggi folk e armonie digitali con cui reinterpreta in modo tutt’altro che scontato la più ordinaria tradizione cantautoriale. Anche stanotte, la musica si spegne alle quattro, orario dignitoso per chi vuole provare a mettere insieme qualche ora di sonno per la notte per affrontare la seconda maratona prevista all’indomani.
Sabato 12
Al terzo giorno siamo ormai totalmente immersi nel festival, e pieni di manna – attenzione, i locals dicono che può avere effetti lassativi – e arancini. Il tempo è rinfrescato e si sta benissimo nel pomeriggio, e pure l’oretta di calura spesa nella ex-chiesa del crocefisso mette in difficoltà il nostro spirito festivaliero, ma a sera un vento pazzesco spazza il palco e costringe tutti alla ritirata nelle felpe e nelle giacche, senza menzionare il freddo glaciale che accoglie i campeggiatori e gli avventori del Cuzzocrea Stage per l’ultima esibizione prevista alle tre di notte. Per fortuna il sabato, secondo la tradizione Ypsigrock, è il giorno in cui si balla, e quindi ci si tiene caldi comunque. Ad aprire le danze al Chiostro di San Francesco c’è la sensualissima Éstel Luz, anche lei selezionata all’interno del contest che promuove i nuovi talenti, Avanti il prossimo. Questa carismatica ragazza italo-colombiana alterna una rielaborazione su basi di ritmiche reggae e world music – perché non azzardare un’etichetta nuova, tipo un post-reggae? – accarezzandole con una prestazione vocale piuttosto insolita nella tradizione musicale italiana, per giunta, come tutti gli altri nuovi talenti di questa edizione, anche in questo caso esibita direttamente in inglese. Ulteriore scoperta è, a seguire, l’efebico e parigino Adam Naas, la cui voce delicatissima crea geometrie vocali purissime accompagnate da basi digitali appena accennate, seguendo un po’ una tradizione di un certo pop anni Ottanta-Novanta, un po’ una certa sperimentazione elettronica minimale. Quindi, secondo il rituale, insieme alla banda Y. We R. ci si sposta alla ex Chiesa del Crocifisso per Amnesia Scanner, rimasti impressi più per l’uso intensivo delle luci stroboscopiche che per l’originalità del suono, ridondante fin dal secondo pezzo, forse anche intenzionalmente, a supporto dell’effetto di loop della prestazione visiva. E stropicciandosi gli occhi al termine di questo momento di puro trip, mentre il giorno si spegne tra i monti alle spalle delle palazzine antiche di Castelbuono, è arrivato il momento di varcare le porte del castello.
Quattro le performance previste per il giorno più lungo dell’edizione. Per primo ci accoglie Christaux, nuova anima dell’artista milanese Clod, con un tributo a certe musicalità dark-pop anni ’80 e una prestazione media secondo le nostre aspettative, considerando anche come aggravante il fatto che la scena dell’ambiguità sessuale fosse stato ahimè rubato tutto da Naas subito prima. A seguire Beak>, che esordisce nel momento in cui il vento infuria più forte: ennesimo progetto del vulcanico Geoff Barrow dei Portishead, il talentuoso trio di veterani si esibisce in una virtuosissima suite di prog-rock di altri tempi, e la psichedelia si impossessa degli Ypsini prima che il palco si trasformi definitivamente in una dance floor, cosa che come ogni anno provoca reazioni opposte nel pubblico di puristi del rock e in quello di chi invece crede nella democrazia musicale di chi ritiene che una performance ben riuscita può essere godibile anche se non ha a che fare con il nostro genere preferito: in fondo, lo spirito di Ypsigrock è proprio quello di unire tutti in amore e pace, al di là dei propri suoni. Ogni scetticismo comunque scivola subito via quando sul palco sale il rapper irlandese Rejjie Snow, scortato dal suo fido DJ che subito infiamma la consolle mandando il pubblico in delirio, neanche ci trovassimo nel Bronx nel Settantasette o in un episodio di The Get Down, e non è affatto scontato che un duo di rappers dia vita ad una performance di tale impatto, senza lasciarsi intimorire dal confronto con musicisti all’opera con strumenti più tradizionali o con l’imprevedibile reazione di un pubblico da festival indipendente. Quando il duo lascia il palco, ormai l’attesa è incontenibile per la band certamente più attesa della serata, che non delude chi era venuto per ascoltarli, né per ballare fino a dover buttare via i piedi insieme alle scarpe. Avvolti da teli su cui sono proiettate immagini in 2D per tutta l’esibizione, i Digitalism imperversano fino alle due ed è un miracolo che anche a questa edizione le mura del castello siano riuscite a resistere alle vibrazioni del subwoofer. Infine, siamo di nuovo a Cuzzocrea Stage per l’ultimo live offerto da Bruce Harper, interessante trio di Brescia in odore di post-post-rock che incastra campioni e drum machines in precise trame math-rock con risultati indubbiamente originali. La stanchezza è tanta, le ore di sonno non saranno mai più recuperate, ma siamo arrivati quasi fino in fondo, pronti per l’ultimo giorno: dopo aver rockeggiato e ballato, è il tempo di sognare.
Domenica 13
Il terzo giorno di Ypsig è generalmente quello più morbido e, per un festival alla XXI edizione, le consuetudini possono tranquillamente dirsi tradizioni. A giudicare dalla line up, tradizione più che rispettata in quella che può essere ribattezzata come la giornata degli abbracci. Risalite le Madonie lo scenario castelbuonese è quello che ti aspetti: gente lenta, piacevolmente rallentata dalle serate precedenti, che piano piano si mette in coda al bar della piazza a rifocillarsi di panettone gentilmente offerto dalla ditta. Il pomeriggio leggermente caldo porta i più direttamente a presentarsi al Chiostro di San Francesco con il suo fresco ristoratore. Quando ci arriviamo, sul palco ci sono una cantante in pantaloni a vita alta e capelli pesca, una bassista stilosissima in total black, lenti scure e capelli platino ed un tastierista biondo con la faccia da nerd. Sono i canadesi Bobbypin , a dire il vero niente di rivoluzionario, ma il cui suono a la The xx con la voce tra gli Austra e una Betty Page alla valeriana, ben si addicono all’atmosfera pomeridiana e quando la cantante ripete come un mantra “i’m lovable, i’m lovable” sembrano anche credibili. Discorso diverso per i Klangstof, quartetto di Amsterdam che alterna sonorità post-rock di matrice islandese, synth che non stonerebbero in un progetto a la Moderat ed un cantato pulito che, forse anche per la vaga somiglianza fisica, ricorda Sohn. Il pubblico apprezza compatto e quando su un tempo dispari, un synth trascinante ripete una melodia decisamente canticchiabile, dalle retrovie non tardano a partire, divertiti i “po-po-po” che instaurano un simpatico loop tra pubblico e band. Il palco Ypsi & Love è sempre una certezza! Quando ormai il caldo è quasi del tutto scemato e con il motivetto olandese in testa, ci avviamo di corsa per le via del paese verso il set di Aldous Harding al Mr.Y Stage. La fila dinanzi la porticina di ingresso mi spiega dove andassero tutte le persone che lasciavano in anticipo l’Ypsi & Love, sebbene mostrassero di gradire lo show. Entrati ci troviamo dentro la ex Chiesa del Crocifisso gremita di gente. Il caldo asfissiante che ne deriva non mitiga la meraviglia nel vedere la navata imbiancata assumere i colori delle luci di scena, mentre sul palco la neozelandese vestita di bianco dà sfoggio della moltiforme vocalitá di cui è capace, accompagnata solo dalle basi della Roland suonata dal tastierista in lenti tonde e dalla sua Godin bianca meravigliosamente arpeggiata. Tra i ventagli (veri ed improvvisati) la platea si lascia accompagnare dalle corde vocali della cantante che in un set estremamente intimo spazia tra i registri timbrici più disparati e proprio quando, dedicando una canzone “to the Ladies”, usa un tono nasale che trovo tanto sgradevole (seppur perfetto) da convincermi a lasciare lo stage, immediatamente dopo passa ad una voce calda e sinuosa da sembrare un clarino che mi incolla lì fino alla fine dello show. Provati da tutto ciò ed intimoriti dalla fila enorme al di fuori del Castello decidiamo di rinunciare ad Edda… Lo so, ma cercate di capire, proprio non ce la facevamo.
Quando arriviamo sull’Ypsi Once Stage, sul palco ci sono già da un po’ i Car Seat Headrest da Seattle, WA. Will Toledo e compagni non suonano affatto male, ma si sente che la crescente platea non è lì per loro. Di spettatori attenti ce ne sono, non fraintendetemi, ma basta che per un pezzo, sul finire della scaletta, si spengano i distorsori e subito un paio di coppie vicino a me si abbracciano e si iniziano a baciare all’unisono. Love is in the air! La folla vuole i Cigarettes After Sex ed infatti quando le luci si spengono, la corte del Castello dei Ventimiglia si riempie di rivoli di gente diretti al palco. Si spengono le luci. Piano piano inizia la musica e la inconfondibile voce di Greg Gonzalez da un palco ancora buio intona le parole di Sweet. In giro è tutto un limonare. Quando le luci si accendono, mai troppo forti, illuminano il quartetto disposto sul palco in maniera statica. La scaletta è pressoché la stessa delle altre date della tournée e scorre senza particolari interruzioni tra i pezzi del disco e qualcuno dei successi che hanno costruito il mito di questa band. Le rare volte in cui Gonzalez parla con il pubblico ha una voce gracchiante; sembra quella di Fitter Happier. Il live bello è bello, ma scorre un po’ piatto, con qualche fremito quando inizia Nothing’s Gonna Hurt You Baby, ma poco di più. Le coppie sono quelle che se lo godono di più, saldamente avvinghiate tra loro. Anche spostandosi in alto sui gradoni del castello il succo non cambia. Guardando i Cigarettes After Sex sembra capirsi cosa indicano alcuni dicendo che certa musica contemporanea sia fatta con il Lexotan. Ben altra storia quando sul palco salgono gli headliner della serata, i Beach House, da Baltimora, MD. Il duo di Victoria Legrand in formazione live è un trio, accompagnato com’è da un batterista che è tutt’altro che una presenza accessoria. Il concerto decidiamo di osservarlo dall’alto dei gradoni dove é possibile osservare le luci della montagna. Il dream pop dei tre sul palco sembra spazzare via le poche nuvole che si erano addensate sopra Castelbuono e sono quasi superflue le stelle proiettate dietro il palco a confronto della immensa volta celeste delle Madonie. Mentre sul palco Victoria comincia ad agitare la testa ed i suoi lunghi capelli forsennatamente a ritmo di batteria, il freddo si inizia anche a far sentire ma è tutto troppo bello per desistere e quando finisce la conclusiva Myth ho collezionato sei stelle cadenti.
I desideri? Uno di certo è tornare ad Ypsigrock nel 2018.