Fotografie di Alessia Naccarato
Mi manchi come un concerto. Una scritta eseguita con lo spray, malcerta e sbavata, nella sua semplicità esibita sul muro di chissà quale città, ha fatto il giro dei social qualche mese fa e mi è rimasta dentro. Credo che per me e per molti altri appassionati di musica sia una delle espressioni più rappresentative per definire cosa ci ha tolto la pandemia nell’ultimo anno e mezzo (con tutto il rispetto per le tragedie familiari e le vittime del Covid, ovviamente). Per quanto mi riguarda non c’è nessun’altra espressione che possa trasmettere in modo più pregnante l’intensità dell’assenza di quella vita che abbiamo definito normale fino a qualche mese fa. Un anno senza concerti. Un anno senza festival. E poi tutto è ricominciato timidamente e ci siamo accorti che c’è chi ha subito molto più a fondo quella che per noi è principalmente la deprivazione di un piacere, tutto sommato, di un privilegio: i musicisti, gli organizzatori di eventi, chi di musica e di festival ci campa. Ce ne siamo accorti ogni volta che nelle ultime settimane abbiamo visto i nostri artisti più amati accoglierci sorridenti del palco per comunicarci il piacere di poter tornare a offrire uno dei primi eventi live dopo la lunga sosta, e allora ci siamo ritrovati all’altra estremità dell’incontro tra lo spettatore e il musicista secondo una dinamica che pensavamo consolidata e che all’improvviso ci è diventata aliena.
L’emozione di quest’incontro indispensabile a Castelbuono gli organizzatori di Ypsigrock l’hanno tradotto nello slogan “Tiny but needed” che ha accompagnato questa edizione: piccola ma necessaria. Necessaria per tutte le categorie che ho menzionato: per quanto piccolo, insomma, non vi neghiamo il festival anche quest’anno. Con la sincerità che li contraddistingue, gli organizzatori di Ypsigrock non si sono nascosti dietro un dito e hanno messo anzi le mani avanti: questo è quello che si poteva fare quest’estate per non farci due estati consecutivi rimanendo all’asciutto. Il necessario ha la meglio sul piccolo: al pubblico avido di musica quest’edizione è sembrata comunque la più bella, perché ha riempito il nostro stomaco vuoto di quelle emozioni che solo la musica dal vivo sa darci. Ma il “tiny” di Ypsigrock è piccolo solo se consideriamo gli standard a cui i nostri beniamini di Castelbuono ci hanno abituato, e solo se la prendiamo come una questione di numeri, perché al netto di tutte le dichiarazioni, neanche quest’anno la qualità a cui ci siamo abituati edizione dopo edizione è venuta meno.
Allora, questo Ypsigrock è stato piccolo forse se pensiamo ai pochi posti a disposizione del pubblico, o agli spazi ridotti da poter occupare, alla necessità di rinunciare al campeggio e alle feste fino all’alba tra i boschi alla fine dei concerti, o perché senza l’invasione degli Ypsini riversatisi da tutta Europa Castelbuono ci è apparsa un po’ vuota, tutte cose che associavamo a questo festival. Da un altro punto di vista, mi chiedo se Ypsigrock non è stato forse sempre per definizione “tiny but needed”, fin dal suo esordio, minuscolo se paragonato ai grandi festival europei ma capace di costruire il suo nome per la capacità di coglierne l’atmosfera e tradurla nel meraviglioso contesto naturale delle Madonie, in cui il paesetto che lo ospita è incastrato e custodisce meraviglie di ogni natura. Non era “tiny” anche due anni fa, il castello, quando ha ospitato la folla traboccante accorsa per vedere The National? Non era tiny anche mentre sul palco si avvicendavano Primal Scream, Editors, Future Island, Motorpsycho e Belle and Sebastian?
Certo, ne è uscita un’edizione insolita più rilassata e dimessa che ai giovanissimi ha forse favorito i veterani, gli affezionati, quelli che ritornano – questa era decisamente l’edizione a cui esserci, perché era Ypsigrock ad aver bisogno di noi almeno quanto noi di Ypsigrock – in un certo senso più adulta, ma il calore e l’entusiasmo dei partecipanti non è venuto meno e più volte i vigili sono stati costretti a intervenire per ribadire la necessità di rimanere seduti ai propri posti. Da questo punto di vista, l’organizzazione si è dimostrata impeccabile anche nella capacità di allestire un evento che garantisse tutti gli standard di sicurezza richiesti. Posti limitati, scansioni della temperatura in ingresso, necessità del green pass come norma di accesso alla manifestazione ma anche l’allestimento di una postazione mobile che garantisse tamponi rapidi a un prezzo minimo per poter ammettere comunque in una ventina di minuti anche a chi non è vaccinato, e garantire ai partecipanti il massimo livello di sicurezza senza escludere nessuno.
Se da una parte gli affezionati di Ypsigrock hanno risposto alla chiamata confermando il loro affetto agli organizzatori e dimostrando che, quali che siano le condizioni, il loro supporto non è venuto a mancare – e con loro, noi de L’Indiependente – dall’altra solo in malafede ci si potrebbe insomma dire delusi dalla qualità degli artisti coinvolti. Assicurarsi Iosonouncane, l’artista di maggior richiamo tra quelli italiani in tour, e Dardust, l’altro nome più presente nelle rassegne dell’indie nazionale, è stato importante per supplire gli artisti stranieri in cartellone, certo non di richiamo quanto quelli delle edizioni passate – ma aspettarsi nella line-up omologhi di The National o Mogwai staccando 300 biglietti a sera sarebbe stata una pretesa insana. Nondimeno, la selezione è stata accuratissima, tante le sorprese in questo momento in cui è difficilissimo muoversi e invitare band fuori dai confini, tante le conferme che ci rassicurano che la capacità di coinvolgere grandi realtà della musica indipendente e pescare lì dove c’è fermento non è venuta meno. Non a caso, Ásgeir è una realtà di primo piano nel mondo della musica islandese che ci ha regalato nomi quali Bjork e Mùm, di rilevanza pari a quella dei bielorussi Molchat Doma negli ambienti di post-punk e new wave che possono apparire una realtà poco conosciuta a chi non bazzica quei giri, una realtà di primo piano che grazie a Ypsigrock arriva in Sicilia, mentre Pongo porta in Italia una scena vivacissima della Lisbona multiculturale che è perlopiù inedita e difficilmente acquisisce la visibilità che merita al di fuori del Portogallo.
Ancora una volta Ypsigrock allora fa scuola e ci introduce realtà insospettabili alla prima occhiata al cartellone, invitandoci alla scoperta piuttosto che alla rassicurante esibizione di nomi che conosciamo e aspettiamo. Al netto di tutto, per un anno ci fa piacere anche godersi un’inedita versione di questo festival in cui si possono evitare le file di mezz’ora al bagno o per prendere un panino o una birra, in cui ci si può sedere sugli spalti del castello senza contendersi dieci centimetri quadrati di spazio con una ventina di persone, in cui ci si siede a fare colazione da Fiasconaro o Naselli in piazza a fianco alle band senza litigarsi il tavolo, e si può passeggiare e godersi la vista delle Madonie e farsi una chiacchiera serena con le persone del luogo al riparo dalla ressa degli anni precedenti. Forse per un anno ci piace “tiny”, possiamo gustarci per bene la piccola meraviglia di Castelbuono e di questo festival assaporandola a fino in fondo. Per i numeri possiamo aspettare l’anno prossimo, che ci auguriamo che tornino per noi e per gli organizzatori. Quest’anno siamo stati contenti di avere il festival, peraltro uno dei pochissimi veri festival di questa estate italiana e non una semplice rassegna di eventi,, una quattro-giorni densa di performances in cui si ascolta, ci si emoziona, si chiacchiera, ci si conosce, ci si scopre, ci si vive. Piccoli e necessari anche noi.
Giorno 1
Il primo giorno è quello in cui scopriamo o ritroviamo – perché come dicevo, Ypsigrock è un festival dove si torna – l’emozione che ci prende mentre in fila varchiamo i cancelli del castello, con sullo sfondo il buio che cala dietro le montagne. I controlli ragionevolissimi quest’anno rallentano l’afflusso ma permettono che questo momento di suspense diventi ancora più intenso. Ad accoglierci c’è il consolidato dj set di Shirt vs T-Shirt che solitamente chiude le serate nel campeggio, ricollocato nei locali storici Cycas e Venus Bar, due posti di solito più frequentati di notte che a orario aperitivo. Subito dopo ci si sposta direttamente all’Ypsi Once Stage ospitato tra le mura del castello dove si esibisce Miglio, il primo dei sei gruppi finalisti del tradizionale contest “Avanti il prossimo… 2021”, anche loro di solito collocati a notte nell’area campeggio. La riconfigurazione della scaletta procede dunque all’inverso – prima il djset che chiude le notti ypsine, poi il gruppo esordiente, infine glli intensi set dei due header della serata, l’americana MØAA e il progetto solista di Alec Ounsowrth dei Clap Your Hands Say Yeah. I fari di Ypsigrock si riaccendono senza spazio alla timidezza, gli Ypsini ci sono, sembra un miracolo ma la magia torna tra le viuzze di Castelbuono e le performance sono all’altezza dell’umore di chi è intervenuto.
Giorno 2
Nella tradizione dei festivals il venerdì è il giorno in cui si entra nel vivo della manifestazione, raggiunti anche da chi può raggiungerci solo nel week-end. Gli esordienti oggi si spostano nella solita collocazione pomeridiana sul palco Ypsi & Love al Chiostro di San Francesco: è la volta di Rbsn e Gold Mass. Dopo la “bicicletta” di rito, un cocktail a base di prosecco, vodka e granita al limone che è un classico delle serate ypsine, ci si sposta al castello per le tre band che si esibiscono sul palco principale. La prima, Camilla Sparksss, pseudonimo della musicista e visual artist svizzero-canadese Barbara Lenhoff, è giunta a Ypsigrock attraverso il network European Talent Exchange Program che raccoglie le più interessanti realtà musicali giovani europee. La serata comincia energica e potente sull’elettronica vibrante del primo set, già appare difficilissimo rimanere seduti nella propria posizione come è richiesto dalle norme, eppure ognuno cerca di fare del suo meglio.
Per fortuna che a seguire, a placare gli animi, ci sono le quiete melodie nordiche di Ásgeir, che ci trascina in mondi che possiamo solo immaginare immersi nell’afa della temperatura locale, destinata a salire vertiginosamente nelle sere successive.
Chiude magnificamente il ricchissimo set di Dardust, eterogeneo nell’abbinamento di struggenti melodie al piano che si intrecciano a improvvise basi elettro-dance a una performance dal grande impatto visivo che non sempre impressionano positivamente il pubblico di Castelbuono, come scopriremo dal mormorio del giorno successivo. Le nostre menti viaggiano e in più di un’occasione i nostri corpi vorrebbero seguirle nei momenti più scatenati, ma a niente vale la richiesta del produttore Dario Faini, vero nome dietro il progetto, di poter lasciare alzare per gli ultimi sei minuti i suoi ascoltatori, i vigili non si lasciano commuovere e tutto procede secondo direttive.
Giorno 3
Il sabato è sempre il giorno più atteso tra gli Ypsini. Fin dalla prima serata il nome dei bielorussi Molchat Doma ha circolato nella piccola folla che si sposta per le stradine di Castelbuono fermentando nei discorsi che si tengono in piazzetta tra una granita con la brioche la mattina e un’arancina o un panino alle panelle alla sera. La curiosità cresce esponenzialmente mentre si approssima il momento della loro esibizione, l’hype della piccola folla accorsa al festival cresce mentre al Chiostro di San Francesco i posti a disposizione si riempiono rapidamente di fronte al palco su cui Marion Moroder ci introduce la sua testimonianza di un indie che riverbera tra le valli altoadesine vestendosi di sonorità che passano dal post-rock al folk avvolgendosi intorno alla sua voce delicatissima. Segue il peculiare duo Apocalypse Wow, che abbina contenuti politici al beat ossessivo e penetrante dei synth celandosi dietro inquietanti maschere di maiale.
I cancelli del Castello si aprono di nuovo alle 8.45 per The Sound of This Place, il progetto più ambizioso e originale di questa edizione, filiazione diretta di Ypsigrock in quanto saggio conclusivo di una residenza internazionale per artisti che ha accolto per circa dieci giorni Alec Ounsowrth/Clap Your Hands Say Yeah e Barbara Lehnoff/Camilla Sparksss, che si sono già esibiti entrambi nelle serate precedenti da soli, insieme alla sound designer italiana di base a Berlino Andrea Noce aka Eva Geist, l’architetto tedesco Gustav Dusing e il light designer Julien Dufour. La performance inedita è stata allestita dai cinque artisti lavorando insieme sul territorio di Castelbuono, una performance esclusiva dall’impatto visito e sonoro decisamente importante che li ha visti per la prima volta insieme sullo stesso palco in una situazione alquanto originale nel nostro paese.
Piace molto, a seguire, la band tedesca elettro-pop Coma, abilissimi a riscaldare la piazza preparando l’arrivo trionfale di Molchat Doma che infiammano gli spalti e provocano non pochi momenti di delirio tra i giovanissimi, fino a quel momento forse i grandi assenti dalla manifestazione e a sorpresa accorsi proprio in occasione di questa esibizione. Impeccabili nell’allestimento di geometrie sonore post-punk e synthwave, il trio da vita a un’atmosfera industrial alternando suoni metallici e taglienti a glaciali “spasiba” a fine performance che ci riporta in piena nostalgia post-sovietica.
Giorno 4
La domenica è già il giorno dei saluti, e come si dice da queste parti, “il futuro è già nostalgia”.
Anche questa edizione di Ypsigrock si è conclusa veloce e si ha la sensazione che i quattro giorni siano passati in un lampo. In un’ultima passeggiata per contemplare le cime delle Madonie che spuntano tra i palazzi nella pausa tra i due set del pomeriggio e della sera, Alessia e io ci perdiamo nei vicoletti alla ricerca del castello e ci ritroviamo sorpresi circondati da affettuosi asinelli a contemplare da un belvedere l’intera schiera dei monti al tramonto. Facciamo giusto in tempo ad arrivare per l’apertura del primo gruppo in cartellone. La magia di Castelbuono chiaramente non si esaurisce sui palchi del festival. Intanto, al Ypsi & Love Stage, la voce calda e melodica di Yuman conclude la rassegna degli esordienti, che anche quest’anno si sono segnalati per la qualità delle scelte della giuria in cui ha figurato per la prima volta anche il duo che anima La rappresentante di Lista.
A seguire, il palco del castello ha accolto altri due nomi del programma European Talent Exchange Program che ha introdotto Camilla Sparksss: Kristin Sesselja ha arricchito il già folto roster islandese ormai consolidato dalle parti di Castelbuono con una voce delicatissima e sofisticati ricami pop, ma è la portoghese Pongo la vera sorpresa della serata, capace di coinvolgere il pubblico nella sua incontenibile, esplosiva performance, confezionando il live di maggior impatto dell’intera edizione, salutato da un applauso che procede ininterrotto per alcuni minuti.
Nell’ultimo slot della manifestazione Interviene a ricomporre la folla la fredda compostezza dell’artista certamente più atteso di questa edizione, Iosonouncane, mattatore dell’estate con i suoi rapidissimi sold-out e ispiratore di una ridefinizione radicale delle regole del nostro indie che troppo spesso appare asfittico e povero di idee nuove. È la chiusura perfetta che tutti si auspicavano, come l’ultima volta con Spiritualized: il buio e il silenzio calano sul palco e tra gli ascoltatori, molti si sdraiano sugli spalti del castello a contemplare le luci delle case in collina o cercano con gli occhi nel cielo qualche prematura stella cadente. All’improvviso la magia si dissolve con l’ultimo brano, lasciamo il castello incapaci di commentare e procediamo con ordine verso il mondo che anche a questo giro ci aspetta fuori da Ypsigrock.
Da qualsiasi parte la si guardi, soprattutto in considerazione delle condizioni sanitarie ed economiche, Ypsigrock si conferma una realtà solida e dotata di prospettiva. Non è stato facile per il festival reggere alle sfide poste dai finanziamenti sempre più ridotti, negli anni, uscendone a testa alta come una delle poche realtà del nostro paese capace di offrire un festival vero e proprio attraversando la pandemia e le limitazioni da questa circostanza imposte senza cedere al panico e all’incertezza. Non era neppure immaginabile, fino a qualche giorno fa, l’idea di poter essere impeccabili con le norme di sicurezza come è successo, una macchina perfetta di cui il merito va anche al pubblico che è stato al gioco, collaborando senza rinunciare a divertirsi, emozionarsi ed entusiasmarsi, lasciandosi andare senza infrangere le regole che hanno permesso a tutti di fruire di uno spettacolo in tutta sicurezza.
Di fronte a questa prova ci rendiamo ancora una volta conto che passano gli anni e cambiano i nomi delle band coinvolte, cambiano le facce del pubblico – quelle nuove e quelle che ogni anno esibiscono una rughetta e un capello bianco in più – ma Ypsigrock si rivela insostituibile nel fornire alla popolazione locale un momento di aggregazione, incontro, musica che non si riduca ai soliti nomi che appaiono tradizionalmente nei cartelloni degli eventi nazionali. É confortante e lascia sperare che dal 1997 ci sia chi continua a insistere, a investire, a scommettere su realtà sconosciute convincendoci che anche in Italia si possa tener viva una scena indipendente che incoraggi l’apertura mentale e gusti musicali non omologati piuttosto che riproporre le solite realtà che ormai hanno poco da dirci. Succede a Castelbuono, un paesetto incastrato tra le montagne a una novantina di chilometri da Palermo, lontano dai grossi centri culturali del nord e dai grossi capitali. E noi continuiamo a crederci e a sognare con chi porta avanti questa meraviglia, piccola, certo, ma sempre più necessaria.