XX, l’horror e le donne (tra cui St. Vincent)

Avviso: niente trama, niente spoiler.

XX, antologia horror di 4 storie a firma di 4 registe, emergenti e non: THE BOX (Jovanka Vuckovic), THE BIRTHDAY PARTY (Annie Clark aka St. Vincent), DON’T FALL (Roxanne Benjamin), HER LIVING SON (Karyn Kusama) plus Sofia Carrillo a cucire gli interludi con le animazioni in stop-motion.

Presentato in anteprima al Sundance Film Festival lo scorso 22 gennaio ma distribuito sulle piattaforme on demand e nelle sale proprio ieri, si tratta innanzitutto di una produzione indipendente a marchio Magnet Releasing – figlia della più famosa Magnolia Pictures – e specializzata in film di avaguardia in horror, azione, commedia e cinema asiatico. Insomma, uno di quelli che un tempo avremmo chiamato film di culto.

THE BOX, primo capitolo, è tratto dall’omonimo libro di Jack Ketchum, conosciuto nel mondo della Dark Fantasy e dell’Horror grazie ai numerosi Bram Stoker Award vinti. Roba per veri aficionados del genere, insomma.

Jovanka Vuckovic – riconosciuta come una delle donne più influenti nel mondo dell’horror – scrive, dirige e produce l’intera storia, mantenendo sempre una certa sobrietà nell’uso di sangue&tette (accostamento tipico nella produzione americana). De facto, il suo è un subdolo thriller psicologico – non a caso vanta anche una laurea in Antropologia Fisica – con qualche spruzzata di flussi ematici dove serve.

Peyton Kennedy, Natalie Brown, Peter DaCunha e Michael Dyson in The Box. Foto: Magnet Releasing

A seguire c’è THE BIRTHDAY PARTY ovvero l’esordio alle cineprese di Annie Clark (aka St. Vincent), la versione moderna ma soprattutto donna del più che rimpianto David Bowie.

La sua prova del nove è decisamente superata: Clark mantiene quel concentrato di tensione queer, ingenuità autoironica e attitudine rock, anche quando non scrive musica ma sceneggiatura e regia. E lo dimostra il sottotitolo, The Birthday Party, or, The Memory Lucy Suppressed From Her Seventh Birthday That Wasn’t Really Her Mom’s Fault (Even Though Her Therapist Says It’s Probably Why She Fears Intimacy). Nelle scene è presente un’attenzione leggermente superiore agli effetti, sia video che audio e il tocco alla David Byrne – quella estrosa tendenza a sperimentare, pur curando ogni dettaglio – si sente. Il suo, inoltre, potrebbe passare benissimo per un video musicale con qualche dialogo in più (una delle sue canzoni, The Party, è stata inoltre suonata al Sundance). In realtà, come lei stessa dichiara, si tratta di una sorta di commedia nera: c’è un morto ma non fa paura se vestito da panda. I costumi, infatti, sono parte fondamentale nel racconto: è una festa di compleanno in maschera (d’altronde il Carnevale è vicino) e tra i tanti c’è anche il gabinetto da lei indossato durante un concerto a New York, in cui cantava “You’re the only motherfucker in the city who can stand me”.

Tra le influenze citate, ricordiamo Paris, Texas di Wim Wenders, Toilet Paper Magazine – il progetto editoriale di fotografia surrealista del nostro Maurizio Cattelan – e l’esperienza biografica di un suo amico, da cui la storia (vera) è tratta.

Roxanne Benjamin firma invece il terzo capitolo, DON’T FALL, forse l’esempio più horror di tutta l’antologia (ma anche quello più convenzionale come storia e ambientazione). Come lei stessa ha dichiarato: “Volevo fare qualcosa che fosse più un giro sulle montagne russe, che tornasse a dare ascolto al vero horror da quattro soldi”. Impossibile non pensare al Maestro del brivido, Dario Argento, che passa dalla descrizione del quotidiano infilandoci schizzi di sangue e suspense.

Infine c’è Karyn Kusama, la più “vissuta” tra le registe: ha lavorato con Charlize Theron, al fantascientifico Æon Flux (2005), e con Megan Fox in Jennifer’s Body (2009). In HER LIVING SON, quarto e ultimo capitolo dell’antologia, Kusama mette in scena “il dramma della maternità”, ovvero tutto il peso delle paure e delle incomprensioni che una madre attraversa nel veder crescere il proprio figlio maschio. Qui è possibile “sentire” l’influenza della scuola coreana: violini, sangue, il filone psicopatico e alcune scene a velocità raddoppiata.

A cucire le quattro storie ci sono bambole voodoo di porcellana in stile vittoriano, un gradevole interludio (che fa anche da cornice) a cura di Sofia Carrillo, già nota per il cortometraggio “La Casa Triste”, la storia di una famiglia attraverso “gli oggetti da mercatino delle pulci” nella loro casa.

Fin dalla prima fase del progetto XX, l’idea era – come ha dichiarato la co-regista Vuckovic – portare le donne davanti allo schermo (e dietro le cineprese), per aprire loro uno spazio, soprattutto nel mondo dell’horror, che è ancora troppo maschile. Un gap di genere non facile da destituire: solo il 7 % dei registi in attivo, infatti, sono mujeres.

L’obiettivo, grazie anche al prezioso contributo del produttore Todd Brown, sembra riuscito: in programma c’è già un secondo round di registe emergenti e non, a mò di franchise. Un modello che decisamente vorremmo si riproducesse a livello globale.

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