Se non avete mai ascoltato i Whitney, rimediate il prima possibile.
Rapida sinossi. Il progetto nasce nel 2015 a Chicago da Max Kakacek, appena uscito dallo scioglimento degli Smith Westerns, e Julien Ehrlich, al tempo batteria degli Unknow Mortal Orchestra. I due cominciano a scrivere canzoni e Ehrlich diventa, quasi naturalmente, la voce principale dei pezzi che creano. Suonano in giro, anche come apertura di artisti come Tobias Jesso Jr, e nel 2016 pubblicano il primo album in studio, Light Upon the Lake (Secretly Canadian), acclamato dalla critica internazionale come una delle 50 migliori uscite dell’anno (vedi The Guardian, NME, Pitchfork, Consequence of Sound e altri). Fatta la stagione dei live e pubblicati nuovi singoli, Ehrlich e Kakacek tornano in studio per registrare il secondo disco, Forever Turned Around.
È importante capire, credo, che quello che i Whitney sono riusciti a ottenere è di suonare da subito come se stessi e non come qualcuno che prova a suonare come qualcun altro. È pur vero che, dovendo circoscrivere il genere, si tratta di un songwriting-folk di cui la musica made in U.S.A. si nutre dai suoi stessi albori, ma i due musicisti, insieme agli elementi che completano i loro set, sanno farsi riconoscere. Sicuramente è possibile dirlo solo dopo aver ascoltato anche questo secondo album, che ha tutto l’aspetto del secondo capitolo di un’unica storia. Niente di più positivo, che comprenda insieme la coerenza musicale di cui ogni band ha bisogno per costruire il proprio documento di identità artistica e la crescita che ogni chapter II prevede. Come a dire che Light Upon the Lake sia servito a presentare rapidamente i personaggi, l’ambientazione e lo stile, mentre Forever Turned Around cominci a entrare nel vivo delle descrizioni.
Bisogna dire, però, che sviluppo formale non è sempre sinonimo di sviluppo qualitativo. C’era qualcosa, in Light Upon the Lake, che in questo secondo lavoro in studio è scomparso. Era come un difetto di fabbricazione, uno strappo sulla pagina, che rendeva il primo album assolutamente irresistibile e di cui si sente la mancanza nei dieci pezzi nuovi di zecca. Probabilmente, a funzionare tanto era il contrasto tra la pulizia della voce e degli strumenti dei Whitney, indubbiamente fra i loro tratti distintivi, e questa “sporcatura” complessiva. Forever Turned Around, invece, ha un suono limpido ed elegante, forse troppo, che fa percepire le canzoni meno come prodotti di autentica espressione artistica e più come esercizi di stile.
Non c’è dubbio che si tratti comunque di un lavoro che si nutre dell’interiorità di chi scrive, usandone sentimenti e stati d’animo come materia prima. Si parla di solitudine, vissuta e superata, di progetti abbandonati, di rimorsi e rimpianti, della ricerca di una maturità individuale e non solo. Tematiche che venivano affrontate anche all’interno dei dieci brani di Light Upon the Lake e che, evidentemente, Kakacek e Ehrlich vivono con grande intensità. Parte del fascino della loro musica deve essere anche la capacità delle loro canzoni, raggiunta forse tramite questa scelta tematica, di proiettare ascoltatori anche molto diversi tra loro in un preciso stato esperienziale. Si tratta, mi sembra, di portarli in quella fase della vita in cui è indispensabile dichiarare di essere adulti e comportarsi come tali, perché non si può più scappare dalla data impressa sui documenti, ma non si è ancora in grado di gestire l’immenso carico di responsabilità che l’età adulta comporta. Tra queste, anche la necessità di fare un’analisi di se stessi e dei propri rapporti personali, con tutto ciò che questa osservazione comporta. Così, nell’altalenarsi tra l’ingenuità adolescenziale e la razionalità di chi sa, prende forma anche Forever Turned Around, seconda parte di un discorso molto coerente.
Sia un passo in avanti o una riconferma di se stessi, forse con qualche piccolo errore, resta il fatto che i Whitney sono una band di qualità che produce musica di qualità. In loro si ritrovano sia la freschezza di un progetto relativamente giovane sia l’esperienza di professionisti che si danno da fare per crescere costantemente. Anche solo l’unione di questi attributi basterebbe a renderli un progetto interessante che vale la pena di restare ad osservare in un processo di sviluppo creativo che, mi piace immaginare, è appena iniziato. Se si aggiunge il fatto che le loro canzoni non sono solo estremamente piacevoli da ascoltare, ma hanno tutto il sapore della colonna sonora ideale (qualcuno potrebbe offendersi, ma per me resta uno splendido complimento), mi sembra impossibile rinunciarvi.