Fotografie di Alessia Naccarato
Alla fine dello scorso anno usciva Tourismo, secondo disco della band emiliana composta da Danilo Incerti e Alessio Artoni, lavoro connotato dal dream pop che caratterizza il loro sound e da un rinnovato utilizzo di una strumentazione di tipo analogico che li ha portati ad esplorare suoni e ritmi propri della dance, completamente diversi da quelli del precedente Yes/Sun. Lo raccontano e suonano con lo stesso orgoglio e soddisfazione con cui lavorano da ormai otto anni, tra gli altri impegni, all’Handmade Festival di Guastalla.
Dopo Yes/Sun, del 2011, Tourismo è il vostro secondo disco , vi siete sentiti caricati di aspettative su questo lavoro?
A: Guarda in realtà no.
D: Nel senso che le aspettative secondo me ce le avevamo più noi di fare qualcosa di diverso, non tanto per dire “facciamo una cosa che la gente si aspetta”.
A: Sì perché noi siamo abbastanza egoisti.
D: Noi volevamo fare qualcosa che fosse un po’ di più di quello che era Yes/Sun, ma non stravolgendolo. La mia era di concentrarci su quello che ci è sempre piaciuto fondamentalmente di base, che è il pop, l’idea era di fare un bel disco pop, una cosa che sia dal punto di vista dei suoi che delle canzoni ci facesse star bene e ci appagasse. I limiti di Yes/Sun stavano un po’ nella registrazione, magari i pezzi a noi piacevano molto ma a riascoltarli adesso ci sembrano registrati veramente col walkman, cosa che alla fine non ci dispiace neanche, però non volevamo tornare lì, anche per puro gusto personale.
A: Andare in studio ci ha dato anche lo stimolo in più per sperimentare diversamente rispetto a quello che facciamo in sala prove.
D: Ci siamo appoggiati a Suri dell’Alpha Dept. che ha già lavorato con Drink To Me, M+A, i Cani etc etc ed effettivamente è stato un ottimo aiuto, fondamentale.
Tourismo suona più movimentato e allegro rispetto a Yes/Sun, più dance, cosa è cambiato nel frattempo per portarvi a questo risultato?
A: È una cosa a cui non avevo mai pensato, ci hai preso alla sprovvista, ma ci sta, ci sta assolutamente, anzi!
D: Non so perché. I pezzi sono nati bene o male nei due anni in cui abbiam girato, alcuni sono anche molto vecchi. Però è vero, sono più ballabili anche perché ci son stati degli ascolti più dance. Se devo dirti le influenze di Tourismo ci sono degli ascolti che facevamo quindici anni fa, perché c’è roba anni ’90, house semplicemente ripresa e che hai un po’ dentro. Tanto per dire, per me in Something Great c’è tutta la house anni ’90 che ho sempre adorato ai tempi, da Black Box a F.P.I. Project. È venuto fuori così, non ci siamo prefissati nulla. Anche con la strumentazione presa ultimamente per Tourismo ci siamo trovati a far entrare quei suoni lì che prima non avevamo. Yes/Sun era stato costruito con poca roba, Tourismo con molta di più, molti più synth.
Quando avete cominciato a lavorarci?
A: A metterci a lavorare sul disco effettivamente è stato quasi un anno prima di entrare in studio a maggio, quindi in quel lasso di tempo lì abbiamo deciso quali pezzi portare sul disco, le demo sono diventate quasi canzone, abbiamo registrato tutto il disco in studio da noi, poi dato che i beat non ci soddisfacevano siamo andati da un produttore, nostro amico di Reggio, a rifare tutte le batterie. Quindi noi avevamo tutto il disco registrato con tutte le parti e arrivati a Bologna l’abbiamo completamente riregistrato strumento per strumento, perché suonando ora con vari strumenti non aveva senso prendere alcune cose e altre tenerle un po’ per pasta del suono. Quindi abbiamo riregistrato tutto da Suri e poi limato dove c’era da limare.
Quando avete capito che avevate pronto il materiale che avrebbe potuto entrare in un nuovo disco?
A: Il giorno prima di entrare in studio! Non abbiamo “costruito” l’album, ma pian piano delle varie demo dei pezzi che avevamo abbiam portato avanti quello che ci soddisfaceva di più senza pensare a un’idea di album, infatti poi fare la scaletta del disco è venuta anche quella in studio dopo aver registrato, dopo aver ascoltato. Non avevamo il disco intesta, è stato un po’ un divenire e quando è venuto il momento abbiamo detto “questo è il disco!”.
Come mai la scelta di aggiungere una voce femminile in Love is a mirror e Falling?
D: Secondo me quei pezzi lì erano adatti ad una voce femminile, quando li abbiamo fatti me li ero già immaginati così. A me è sempre piaciuta l’idea di poter collaborare con tante persone, di riuscire a fare intervenire qualcuno nelle nostre canzoni per metterci dell’altro. Forse in base ai nostri ascolti che avevamo fatto nell’ultimo periodo. La voce femminile mi è sempre piaciuta molto, e quindi conoscevamo Sara (Loreni), con cui avevamo suonato insieme un paio di volte e che a settembre partirà con un progetto solista. È bravissima, ha fatto tutto da sola ed è veramente molto innovativa. Quindi abbiamo pensato di provare a contattarla e vedere cosa ne sarebbe uscito fuori. Secondo me è proprio perché mentre facevamo i pezzi mi era sembrato figo poter fare una cosa così, e si ricollega molto agli ascolti che avevamo fatto negli ultimi due anni, Disclosure in primis, uno degli ascolti maggiori del periodo dell’album, Jessie Ware, Sbtrkt.
Avete parlato di influenze che arrivano dagli anni ’90, per quanto riguarda invece gli ascolti di uscite più fresche che riferimenti avete avuto?
A: Secondo me, anche se non è più freschissimo, Blood Orange, anche Chvrches ho ascoltato parecchio, che nella loro semplicità hanno un bel tiro.
D: A me è piaciuto moltissimo Caribou, lì ci trovo davvero tantissima roba anni ’90. È un sunto indie dell’italo disco anni ’90, anche Damon Albarn mi è piaciuto tanto.
Avete ascolti similari per cui in studio vi trovate sulla stessa lunghezza d’onda oppure vi integrate con suggestioni diverse?
A: Bhè sì, assolutamente sì, su qualsiasi cosa.
D: Io penso di essere più dance, ho fatto il dj, mi piace l’elettronica, l’house, la deep house, ma anche mega commerciale eh! Mi piace anche la roba tamarra!
A: Anch’io però diciamo che forse nel mio passato ho sempre prediletto più il lato pop, la melodia come espressione, con tutto che l’elettronica e cose disco le ho sempre ascoltate e tutt’ora le ascolto, ti arriva in modo diverso.
Entrambe le canzoni di apertura di Yes/Sun e Tourismo (I’ll be there/Best friend) sembrano essere e si percepiscono come dediche ossessive (sia nel titolo che nel cantato), ripetitive, c’è un motivo particolare o è un caso?
D: È che entrambe salgono piano e poi esplodono, non ci ho mai pensato, però può darsi, hai ragione, direi che la tua visione può essere azzeccata. Le abbiamo scelte entrambe inconsciamente secondo me.
A: Forse perché sono entrambe i due singoli, se vuoi, di entrambi i dischi.
D: Comunque sono sicuramente quelle che, a mio avviso, sento più mie, quando le suono me le sento appiccicate addosso, proprio per il loro crescendo, ci viene dalla musica emo punk, cominciare piano e poi esplodere per poi andare avanti all’infinito. I’ll be there è uno di quei pezzi che quando lo faccio, pur avendolo fatto ottomila volte, potrei non finirlo mai.
A: Ha un’alchimia, qualcosa, che ti verrebbe di portarlo avanti all’infinito.
D: Le prime volte in concerto durava qualcosa come otto minuti, sembrava una rapsodia, c’era gente che aveva cambiato Stato intanto!
A che scenari vi siete ispirati o avete in testa per questo disco?
A: Abbiamo uno studio composto prevalentemente da vetrate che danno su campagna a perdita d’occhio dove vedi passare tutto l’arco della giornata, molto evocativo, quindi ispira già di per sé spazi dilatati.
D: Io penso che il disco, se devo immaginarmelo, quando me lo inquadro ha mille sfaccettature, a cominciare dalla parte più urbana, quindi non so, alcuni pezzi me li immagino bene suonati in un club meraviglioso a Reggio che si chiama Maffia. Altri pezzi me li sento molto più intimi e incredibilmente li sento proiettati in un ambiente ampio come più essere la nostra bassa padana. So che son due cose in contrasto, l’aperta campagna e il club, però è il nostro background fondamentalmente.
Se il contesto cambia, li sentite dei pezzi che appartengono più ad una stagione piuttosto che ad un’altra?
A: È una cosa che mi son posto diverse volte, perché il disco è registrato prevalentemente alle porte dell’estate ma è uscito in inverno, però se dovessi pensare alla nostra musica di certo non penso all’inverno. Però in Tourismo ci sono alcuni momenti dove la nebbia secondo me è presente
D: Io non vedo il disco come eccessivamente estivo, secondo me non lo è.
A: No ma neanch’io volevo dire questo, non è il disco dell’estate, perché se mi immagino quello che mi fa star bene (quello che facciamo), se devo pensare a un periodo dell’anno che mi star bene lo colloco in primavera/estate perché io sto bene in primavera e in estate, e quindi secondo me di per sé che quello che facciamo, che suoniamo, mi piace pensarlo in un contesto che mi richiamo quell’immaginario lì. Diciamo che la mia ispirazione è più col calore, questo non vuol dire che credo che sia un disco estivo, anzi. Come sonorità neanche credo che sia estremamente estivo, forse è anche un suo pregio il fatto di non essere troppo concentrato.
D: Io se devo pensare alla stagione penso che potrebbe essere veramente per tutto, alcuni pezzi me li immagino cantati la vigilia di Natale sotto l’albero con le corna da renna in testa!
A cosa è stata dovuta la scelta di tornare cambiare strumentazione e ampliare quindi anche la formazione live?
D: Abbiamo sempre avuto una gran passione per il tastierame e per Tourismo ci siamo anche lasciati prendere un po’ la mano, questo perché il suono è completamente differente. Yes/Sun fondamentalmente è stato costruito con due o tre tastiere e avevamo finito tutti i suoni che avevamo nei synth!
A: Venivamo da un progetto completamente differente che probabilmente è durato più di quanto dovesse durare, nel bene e nel male, e quindi secondo me ci siamo procurati degli strumenti e dopo senza tanto ragionarci sopra abbiamo cominciato a lavorar con quelli perché dovevamo proprio tirar fuori quella che ci veniva fuori e in qualche mese sono usciti i pezzi di Yes/Sun.
D: Il problema è che usando poca attrezzatura fondamentalmente cadi sempre lì, noi non usiamo mai suoni da computer, primo perché magari non siamo capaci di tirarli fuori al top, secondo perché siamo abbastanza istintivi, azione e reazione, schiaccio il tasto e deve uscire il suono. Avevamo già voglia di prendere tastiere analogiche e scopri veramente del calore e del colore che altre cose non possono dare. In Tourismo sento molto il colore che riesce a dare un suono di tastiera piuttosto che in Yes/Sun, che è sicuramente più sporco, più accattivante, più evocativo, però non sento il colore. Mi piace lo stesso perché mi ricorda il noise, però non sento il colore.
Sara Loreni, Francesco Sgorbani, Danilo Incerti, Alessio Artoni
Oltre a fare i musicisti che lavoro fate?
A: Io lavoro in una azienda di moda, Max Mara, faccio il grafico sostanzialmente, mi occupo di grafica pura, di video, di foto e poco visuals. Il mio ufficio è quello che gestisce tutta l’immagine di questo brand, negozi, eventi, allestimenti.
D: Io faccio l’artigiano meccanico per tante ore al giorno e quando stacco faccio il papà.
Come conciliate queste differenti attività?
D: Dormendo poco.
A: Facendoci un culo così molto spesso, ci vorrebbero due giorni in un uno, e poi forse ne avresti poco lo stesso.
D: Questa è una gran passione, la devi fare ma non ci puoi campare ma soprattutto non c’è solo questo, specialmente quando hai lavori impegnativi e poi anche famiglia.
A: È una valvola di sfogo.
Da pochi giorni è stata resa nota la data del prossimo Handmade Festival, arrivato alla sua VIII edizione, ovvero il prossimo 2 giugno. Cosa significa oggi come oggi metter su un festival in Italia e precisamente a Guastalla e soprattutto farlo senza introiti di ticket e sponsor? Quanto tempo occupa l’organizzazione del festival in tutti i suoi aspetti?
D: Una volta l’Handmade era veramente piccolo e lo gestivi abbastanza facilmente.
A: Una volta con una grigliata e dieci band amiche facevi la giornata, organizzate magari la settimana prima, giusto il tempo per recuperare le salsicce e il pane! Ora è un po’ più impegnativo.
D: Diciamo che per fortuna non siamo solo noi che organizziamo, ma c’è anche Jonathan Clancy e altri ragazzi che ci danno una mano, tutto va studiato nei minimi particolari. Ci si lamenta sempre che non si ha tempo però poi lo facciamo perché ci piace farlo, qualche modo per incastrarlo lo troviamo sempre.
A: Subito dopo l’anno cominci a riattivare il gruppo di whatsapp e poi da lì è un susseguirsi di cose.
D: La cosa figa che mi piace molto è che ogni anno riusciamo a tirar su dei ragazzi nuovi e ti rendi conto che qualcuno ti segue, e non è così scontato. Certe cose nascono e muoiono perché non c’è voglia dietro. All’ottava edizione arriviamo anche questa volta senza un minimo sponsor, lo facciamo come vogliamo.
A: Finché possiamo lo tiriamo avanti così. Poi un’altra cosa figa è che adesso nella bassa è ormai un’istituzione, è una cosa insolita da noi, non ci sono locali dove suonare, quindi per chi si approccia a questa cosa è strano vedersi arrivare pullman da altre regioni o gente straniera. Lungo tutta la penisola ci sono lacune assurde. Quindi per noi è già una grande conquista, quando arriva l’Handmade, riuscire a portare una roba del genere in persone, i compaesani, a cui della musica non puoi fregare di meno, ma che sono comunque affezionati.
D: L’Handmade cresce per chi l’organizza, per chi collabora, ma soprattutto per chi viene, che si adatta a situazioni più spartane perché la gente si rende conto di quello che è. Il grazie più grande va a loro, perché se non scattano delle rivolte per prendere la birra vuol dire veramente che la gente che viene al Festival è meravigliosa, è tutto magico, vorrei continuasse per tanto tempo.
Se doveste descrivere in una o più parole la cifra stilistica dei Welcome Back Sailors, il vostro punto di forza, quale/i usereste?
A: La genuinità, non abbiamo preconcetti, non abbiamo pregiudizi, costruzioni, forse non siamo neanche in grado di pianificare le cose, quindi il fatto di essere spontanei e genuini, nel bene e nel male, direi che è la cosa più importante.
D: Sì, genuinità è la parola che mi piace di più perché dice tutto. Il fatto di venire da un paesino, la bassa, la musica, tutto.