Siamo sicuri che aspettare sia davvero la scelta giusta, ed è quello stato fra la tempesta e il ritorno, e si farcisce di quei minuti prima di salire sul palco, quando la tensione ti spezza pure il fiato. E, un po’, i Waiting devono averla sentita nel release party del loro ep W, che vi abbiamo lanciato in anteprima sulle nostre pagine. Ma si rischia sempre di apparire cattivi quando si critica qualcuno così carico e che viene acclamato dal pubblico, tanto da metterlo in crisi quando gli si chiede un bis e le canzoni sono finite, anche se cerchi di dare solo dei consigli più o meno buoni, e questo è il tentativo. Partiamo però dall’inizio. W dei Waiting è quello che deve essere, un ep di esordio che cerca la propria strada e, appunto perché questa non è ben definita, butta dentro tutte le influenze che caratterizzano ogni componente del gruppo. Non c’è da stupirsi, quindi, se ritrovi dentro tanti aspetti già sentiti e la sperimentazione un po’ ne risente, o se la formazione sul live paga il pegno dello studio prima che delle ossa e del sudore che servirebbe come punto di partenza. Lasciamo stare questi limiti iniziali, e gli errori sul palco, quelli si possono recuperare con la buona volontà e una giusta dose di fatica e di viaggi qua e là nelle situazioni più difficili e meno fra le mura amiche. Teniamo per buoni gli spunti su cui lavorare, che inevitabilmente in ogni organismo in formazione ci sono, quindi l’uso della voce, i ritmi del synth e la cura per la presenza scenica.
Il rischio è quello, appunto, di sempre davanti a un esordio e un concerto fra le acclamazioni dei conoscenti a volte è più che abbastanza per smettere di chiedersi qualcosa di più o, peggio, di domandarsi se quello che si sta facendo sia effettivamente il meglio che si può ottenere da se stessi. Questo non significa, ovviamente, che ci fossero solo amici o parenti, e lanciarsi così, prima di una serata che attira sempre tante persone, è uno spunto di coraggio interessante. Bisogna lanciarsi, dopotutto, per poter capire la distanza che c’è fra la terra e il cielo, o fra le attese e la realtà. La musica, quella buona, proviene anche da lì, da quella fame che non si risolve mai per davvero. Allora devi prestare attenzione anche alla gente appoggiata al muro, a quelli che se ne vanno via ma anche a quelli che ti acclamano, e chiederti perché succede, se effettivamente siano loro il problema o la musica che suoni e cos’abbia davvero che non li coinvolga. Perché non sei mai davvero arrivato e se vuoi fare musica, o qualsiasi altra cosa, devi chiederti come arrivare a far sentire quello che vuoi tu a più persone possibili. Non si tratta di abbandonare la componente pop melodica di cui i testi si infarciscono, semplicemente lavorarci bene prima di proseguire nelle sale più buie e frequentate della tua città. Se chiedi di essere osservato, poi, devi aspettarti che avvenga e devi limare ogni cosa fin quasi alla tossicodipendenza da particolari. In definitiva, si può puntare sempre a qualcosa di più, abbandonare i propri idoli e cercare la propria dimensione, se si vuole fare questo nella vita. Provarci non è mai sbagliato si sa, ma non basta comprarsi degli strumenti belli, delle belle maglie e delle belle luci per poter pensare di aver fatto il salto di qualità, quello è un plus interessante, sì, ma di secondo piano. La strada è ancora lunga, bisogna rifletterci su, e poi lasciare che gli altri aspettino. Chiedersi qualcosa di più non è mai davvero un peccato.