Vivienne Westwood: Punk, Icona, Attivista

Qualche anno fa, ho incontrato Vivienne Westwood alla British Library di Londra per una conferenza sull’importanza della lettura. In questo contesto, quando le era stato chiesto un commento sulla sua esperienza punk, sul volto della fashion designer era calata un’ombra: “Non la ritengo una domanda intelligente, sono qui per parlare di altre cose”. È quella stessa ombra ad annebbiare lo sguardo della Westwood quando, nel documentario Punk, Icona, Attivista di Lorna Tucker, le viene fatto il nome dei Sex Pistols: “Non ho alcuna intenzione di parlarne. Johnny Rotten dice sempre le stesse cose, no?”.

Del punk la fashion designer sembra non volerne più sapere. Ma se le borchie e le svastiche scompaiono dagli abiti, dello spirito di ribellione è impossibile svestirsi. Il punk ha lasciato tracce incancellabili nella Westwood: è nei suoi gesti, nelle sue linee di abbigliamento e nelle campagne a favore dell’ambiente. Sfortunatamente, i reduci da quel periodo senza futuro odiano viaggiare nei loro ricordi. Non ci stupiamo quindi, quando la Westwood si dimostra tutt’altro che felice nel raccontare la sua storia alla Tucker: “È meglio se mi fai parlare, così finiamo velocemente. Ti racconterò, ma è così noioso”.

Noioso non è esattamente l’aggettivo con cui verrebbe da descrivere la vita della Westwood. Dopo il folgorante inizio a King’s Road, Vivienne si è reinventata in una delle stiliste più famose al mondo, ha ricevuto un OBE presentandosi a Buckingham Palace priva di underwear ed è apparsa sulla copertina del magazine britannico Tatler, acconciata alla Margaret Thatcher. Certo non è facile raccontare una vita così fuori dagli schemi attraverso la stabilità di un’inquadratura e la Tucker sceglie il metodo più semplice, servendosi di un montaggio chiaro e lineare.


A comparire per prima, come suggerisce il titolo, è Vivienne la punk. La futura stilista arriva a Londra negli anni ’60, quando la capitale è nel suo splendore swinging, Carnaby Street pullula di vestiti colorati e le strade sono invase dalle minigonne di Mary Quant; è l’atmosfera che stava cercando. Vivienne è però limitata dal matrimonio con Derek Westwood (del quale manterrà il cognome): “Stavamo vivendo l’american dream, ma il sogno finiva con me in cucina. Ho lasciato Derek perché sentivo di non poter realizzare il mio potenziale”. I due divorziano nel 1965, lasciando la Westwood con il figlio Ben.

È nel misero appartamento dove Vivienne vive con il fratello, che avviene l’incontro decisivo con Malcolm McLaren: “Non volevo Malcolm, è successo per sbaglio, ma poi ho pensato, posso imparare molto da lui, non devo lasciarmelo sfuggire”. La Westwood, assetata di conoscenza, cerca di assimilare tutto quello che McLaren può offrire; il loro è un connubio guidato da un sentimento di scambio creativo, più che sentimentale.

Attraverso immagini di repertorio, la Tucker mostra il tramutarsi del celebre negozio di abbigliamento al n. 430 di King’s Road, che lancia la carriera dei due: Let it Rock diventa Too Fast to Live Too Young to Die, Sex poi The Seditionaries.

Malcolm McLaren e Vivienne Westwood al Let It Rock, 430 King’s Road, 1971

In questo clima anticonvenzionale, il rock ‘n’ roll degli anni ’60 è fin troppo composto; serve qualcosa di più immediato, una voce infuriata che abbatta il sistema. Nascono i Sex Pistols, guidati da Johnny Rotten e ideati da Mclaren. La Westwood è autrice delle parole di alcune canzoni, ma soprattutto della famosa maglietta strappata con su scritto Destroy indossata da Rotten, ora conservata al Victoria & Albert Museum. È il 1977, la regina festeggia il Silver Jubilee e i punk protestano. A bordo della Queen Elizabeth che percorre il Tamigi, i Sex Pistols suonano i loro pezzi al grido ironico di God Save the Queen. Con le immagini della polizia che interrompe la festa, la Tucker chiude il periodo punk. Di Sid Vicious, si intravede solo la sagoma.

Cambio di scena, è il momento di Vivienne la fashion designer. Dopo le spille sugli abiti e i capelli coup sauvage (che renderà noti David Bowie con il personaggio di Ziggy Stardust), la Westwood perde fiducia in un movimento che è sempre più incorporato nel mainstream: “Non stavamo veramente andando contro il sistema, perché il punk ormai ne era parte. Se ne erano impossessati”. Con lo scioglimento dei Sex Pistols, Vivienne cerca nuove forme per sovvertire l’establishment.

Vivienne Westwood e Malcom Mclaren

La prima collezione che McLaren e la Westwood portano sul catwalk è Pirate del 1981; due ex-punk rocker alla settimana della moda. Il sistema non sarà abbattuto, ma inizia ad accorgersi del talento della Westwood (anche se non lo riconoscerà formalmente fino agli anni ’90).

Nel 1982, Malcolm e Vivienne si separano: “Avevo perso interesse in Malcolm, non potava darmi più niente”. McLaren tenta la via di produttore hollywoodiano e Vivienne è ancora una volta sola, con due figli e una compagnia di moda da lanciare. Attraverso le testimonianze e i volti dei collaboratori della stilista (il manager Carlo D’Amario, l’assistente Peppe Lorefice), assistiamo alla crescita del marchio Westwood, tra le inevitabili difficoltà e i grandi successi. Indispensabile è il supporto del compagno e direttore creativo della compagnia, Andreas Kronthaler, incontrato negli anni ’80, quando la Westwood insegnava moda in Europa.

Alle sfavillanti immagini di Vivienne la designer, si sovrappongono quelle dell’attivista ed è qui che arrivano i problemi del lavoro realizzato dalla Tucker. Dando troppo spazio alla carriera nella moda, la regista non approfondisce a sufficienza l’attività focalizzata sull’ambiente, di cui Vivienne si occupa da sette anni. All’uscita del documentario, la Westwood se ne lamenta, distaccandosi dal prodotto.

Condensare una vita come quella di Vivienne Westwood in un documentario di poco più di un’ora, non era certo impresa facile. La Tucker sceglie di concentrarsi su certi aspetti, sacrificandone altri. Ad uscirne dominante è Vivienne, la fashion designer. Per l’attivista e la sua Climate Revolution, l’analisi è rimandata.

Exit mobile version