Vivere e morire – nonostante

Forse allertati dall’essersi trovati a fare i conti con una serie di suicidi eccellenti o sensazionali, forse semplicemente per uno di quei sensi civici che colgono una società organizzata, negli ultimi giorni gli articoli che parlano di come prevenire il suicidio e i suoi tentativi, pronti a smontare quell’aura di mito intorno al gesto che potrebbe spingere all’emulazione, diventano sempre più numerosi, corredati da salvifici numeri di telefono a cui rivolgersi nel caso vi troviate anche voi in preda a quei terrificanti fantasmi contro cui combattere, nel caso vi troviate in quella situazione che David Foster Wallace in Infinite Jest definisce come un salto nel vuoto senza scelta per scampare le fiamme, che si conclude con un lungo sonno e la dimenticanza. DFW stesso scelse quella strada, e negli ultimi mesi lo chef Anthony Bourdain, la stilista Kate Spade, o il producer Avicii, hanno preferito quel salto nel vuoto per spegnere quei pensieri dolorosi, le proprie ossessioni, premere off sul cervello. Per quanto potessero apparire come degli “scampati” al duro delirio delle ossessioni contemporanee e non, la Cosa sembra dimostrare che nessuno di noi può dirsi veramente salvo da quell’irrequietezza irrefrenabile, dal dolore, dalla pena, dalle ansie, dalla nostra speciale dose di umanità che è il sentire comune – in fondo. E così quando Wallace parla di suicidio sembra rivolgersi all’intera umanità in modo umanissimo, e a quei pensieri che potrebbero affondare nella carne e nei sentimenti di tutti, anche solo per un attimo.

Anthony Bourdain aveva 61 anni, gli stessi di Hemingway al momento del suicidio, e avrà immaginato che fosse la migliore delle opzioni possibili: semplicemente è saltato alla larga dalle fiamme. Nell’immaginario popolare Bourdain aveva costruito la figura di un viaggiatore, un curioso, un irrequieto per natura, aveva collezionato foto in tutto il mondo, scritto libri, ma tutto questo non contraddice che dall’irrequietezza a un certo momento non si possa voler scappar via per trovare pace. Al di là dei dati, delle statistiche, dei tassi di suicidio per paese, dell’influenza di fattori ambientali, sociali, culturali, economici, morali, religiosi, persino climatici, il suicidio è davvero l’infinite jest di un’umanità che aspira a trovare un modo veloce per stare meglio o liberarsi di un peso. E così non sorprende se tra coloro che hanno finito per scegliere questa strada ci siano anche personaggi popolari, e quanto tutto questo abbia a che fare con un’irrequietezza mentale difficile da frenare. Quanto tutto questo abbia a che fare con la nostra dose speciale di sentimento, totalmente umano e assurdo.

Barack Obama e Anthony Bourdain bevono una birra in Vietnam

 

C’è una parola che in queste giornate è tornata a far da sfondo a un certo immaginario intorno al racconto dello chef americano, quella abusata di rock. Non che sia la prima volta, anche David Foster Wallace è stato per qualcuno lo scrittore rock. Immediatamente la parola rock, oltre ogni equivoco, evoca una certa forma di contestazione, e del resto sul matrimonio tra rock e suicidio si sono alimentate diverse leggende più o meno popolari, e intorno al rock si è creata una mitologia dell’irrequietezza individuale che sussulta sin dai tempi di Like a Rolling Stone di Bob Dylan, della ragazza che rotola come una pietra senza una direzione, e attraverso quel famoso club 27 che nella realtà ha pochissimi martiri. Tuttavia parlare semplicemente di rock rischia di equivocarci ed essere riduttivo, perché quello su cui si cerca di mettere l’accento in realtà è un certo disagio provocato da un’irrequietezza interiore che ha riguardato un’intera umanità nelle sue diverse epoche o esperienze – questa odissea di irrequietezza e contestazione individuale non è certo nata con il rock’n’roll.

Allo stesso modo il suicidio si porta dietro da secoli tutta una serie di contraddizioni e agitatissime condanne morali: vediamo Didone mettere fine alla propria vita senza grandi sentimenti di compassione solo perché è lontanissima da noi, e un intero girone dedicato ai suicidi in un canto dell’Inferno, che seguiva lo schema imposto dalla religione cristiana dove togliersi la vita voleva e vuol dire negare la perfezione della creatura divina, peccare. Per fortuna poi è arrivata la psicanalisi a dirci che non siamo solo esseri umani vittime di malattie fisiche, quanto sia importante prendersi cura della salute psicologica, dei nostri mali oscuri, per questo non ci stupiamo nell’immaginare Virginia Woolf affondare con le sue pietre, Ian Curtis stringersi una corda al collo per respirare, Pavese invocare una morte che ha gli occhi di qualcuno, la generazione grunge bruciarsi anche se circondata di amore e denaro. E così morti come quelle di Bourdain ci ricordano quanto siamo assurdamente irrequieti in questa faccenda in cui siamo compromessi, la vita. Siamo esseri umani capaci di creare deliziose ricette, scrollarci di dosso tutta la disperazione possibile, fare l’amore, bere una birra – fosse pure con Barack Obama, ma al fondo di questa disordinata faccenda è sempre all’erta dentro di noi l’umanità che grida. La stessa che ci rende straordinariamente capaci di abusare di compassione per chi invece desidera ostinatamente – e nonostante tutto – vivere, anche con il pericolo delle fiamme alle costole. Dicono che la vita sia sacra, senza altre qualità che in se stessa soltanto, come puro movimento, che si agita nel vivere e morire nonostante, eppure nulla ha impedito a questo movimento-vita di essere calpestato nella sua dignità tutta umana, persino dall’umanità stessa. “All the very best of us string ourselves up for love”, cantano i National in Vanderlyle Crybaby Geeks – il fatto che alcuni di noi abbiano deciso di lasciarci qui e andarsene, qualunque sia la ragione, non dovrebbe promettere bene, e nonostante le condanne religiose, gli appelli morali e i manuali per prevenire le nostre ossessioni, siamo abbastanza certi che ricapiterà, così come tornerà la ferocia con cui ci accaniamo su dignità e libertà di uomini e donne. Eppure potrebbe essere più rilassante per tutti se iniziassimo davvero a rispettarla, qualche volta, quella dignità e libertà.

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