Il sintetista francese Pascal Arbez-Nicolas, alias Vitalic, è solito lasciar trascorrere qualche anno tra i suoi lavori, con l’evidente obiettivo di concedere ad ogni stilla della propria ricerca musicale il tempo di percolare attraverso i giusti canali ed adagiarsi nelle appropriate scalanature, dando modo a ciascuna di armonizzarsi con quella precedente, senza fretta. Con Voyager, il suo quarto album, a dire la verità il periodo di incubazione pare dilatarsi a dismisura, assumendo dimensioni stimabili in decenni, considerando la deriva musicale esplorata: lo stesso producer definisce il disco come “un’odissea cosmica”, traducibile in un’analisi retro-futuristica che affonda le radici nei toni dei primi synth e nelle texture utilizzate dai pionieri del genere Jean-Michel Jarre e Giorgio Moroder. Il risultato, come testimoniato dallo stesso comunicato stampa che presenta il lavoro, è forse la sua “produzione più “disco”, nonostante sia partito dall’idea di fare qualcosa di poco ballabile ispirato alla musica elettronica degli anni ’70”; una fusione fra pop, techno e discoteca, gestita con destrezza e mano ferma e guarnita con una sottile spolverata di umorismo.
Il minuto e mezzo di intro di El Viaje rappresenta il perfetto preludio di quanto ci si trova ad affrontare lungo tutto il percorso, ossia un costante lavoro di cucitura tra le vibrazioni dei synth vecchia scuola e i beat futuristici più aggressivi. D’altra parte è difficile mettere in dubbio l’abilità nel districarsi tra i generi di colui che ad inizio millennio non ha avuto alcun problema a calpestare i confini fra electroclash e techno, uscendo con pezzi del calibro di Poney, La Rock 01 e Trahison. Con apparente semplicità, Vitalic è in grado di miscelare una voce da opera femminile a dei battiti motorik in Eternity, o di proporre un trittico da distruzione del dancefloor con Levitation, Use it or Lose it e Lightspeed facendolo precedere dalla più melodica traccia Waiting for the Stars, dal retrogusto amaro e malinconico. Il tutto senza perdere in coerenza e continuità, come ingredienti naturalmente abbinabili in un unico piatto.
Anche la scelta delle collaborazioni appare allo stesso tempo convincente: oltre a David Shaw nel sopracitato singolo e a Mark Kerr, vi è la partecipazione di Miss Kittin (già spalla di un altro maestro francese della techno, The Hacker) protagonista di un duetto vocale con una voce robotica nella distopica Hans is Driving, un triste lamento proveniente da un mondo privo di esseri umani. Infine c’è ancora spazio per i bassi violenti di Nozomi, altro pezzo da club, per un’umoristica e conturbante ode (Sweet Cigarette) e per l’elettro-ballad Don’t Leave me Now, cover-omaggio ai Supertramp. In calce, un plauso particolare va certamente alla copertina dell’album: due Cosmos Ladies a specchio, incappucciate, con grafica retrò, vera e propria gioia per gli occhi.
Voyager, quasi ironicamente, non ha alcuna pretesa di condurci dove non siamo mai stati, ma, facendoci rivisitare i luoghi preferiti di Vitalic, ci offre scorci noti e rassicuranti, raffinatamente osservati da angolazioni differenti. In un momento in cui l’elettronica, dopo un 2015 ed un inizio 2016 di forti contenuti, sembra essersi presa una pausa dalla sua sperimentazione più estrema e riuscita, e i tentativi di taluni ̶J̶u̶s̶t̶i̶c̶e̶ di modificare il proprio sound sono stati miseri flop, issare delle vele leggere e colorate per una navigazione tranquilla pare essere la scelta preferibile, in attesa di un nuovo vento forte che ci faccia viaggiare veloci.