E’ sicuramente uno degli esordi più attesi del 2015, tanto che già sul finire dello scorso anno s’è parlato un gran bene dei Viet Cong. Adesso ci siamo e l’album omonimo non delude certamente le aspettative.
Il fragile e perfetto equilibrio tra noise e post-punk rende il debutto della band canadese un viaggio in bianco e nero dove i sentimenti hanno il ritmo di macchinari freddi e l’atmosfera che si respira è quella di uno scenario post-industriale dove è possibile trovare ancora un brandello di umanità.
I Viet Cong si formano a Calgary nel 2012 da un’idea di Matt Flegel e Mike Wallace, due ex membri degli Women, Scott Munro e Daniel Christiansen. La sezione ritmica è una solida base su cui poggiano gran parte dei brani di Viet Cong, è il caso di Bunker Buster più lineare di Pointless Experience ma accattivante alla stessa maniera. Silhouettes è forse il brano più bello del disco col suo cantato frenetico e la sua forma camaleontica e affascinante. Continental Shelf è una coltre di nebbia dalla quale emerge la voce di Matt Flegel con tutta la sua disperazione alternata ad una dolcezza quasi estraniante. Death chiude il disco e lo fa con una vera e propria suite di undici minuti in cui la cifra stilistica dei Viet Cong viene fuori senza fronzoli.
Il debut album dei canadesi è un nervo scoperto, un’emozione sepolta svariati chilometri sotto terra. E’ un lavoro che ti arriva dritto allo stomaco ma dietro tutta questa freddezza, in fondo a questo groviglio post-punk, c’è una piccola sfumatura di sentimento e non appena lo si scopre si ha la sensazione che gli agguati dei Viet Cong abbiamo un retrogusto romantico e decadente.