Viaggio nella Bologna di Andrea Pazienza

 

 

 

Intro

Tempo di lettura: Robespierre di Offlaga Disco Pax

«La Bologna che fa da sfondo alle straordinarie avventure di Penthotal

non è una Bologna fantastica, ma una Bologna storica fantasticamente immaginata

 da Andrea Pazienza, prima che la storia accadesse,

mentre la storia si avviava a essere» – Oreste del Buono, scrittore

 

La Bologna che vi vogliamo raccontare oggi è quella degli anni Settanta, una Bologna tumultuosa e polivalente, inserita all’interno di un contesto storico-culturale cruciale nel percorso dell’Italia (come nel resto del cosiddetto “blocco occidentale”).

Erano gli anni del terzo governo Andreotti – detto anche della “non sfiducia” per quella famosa astensione passivo-aggressiva di Enrico Berlinguer – era da poco passato il referendum sul divorzio promosso dalla buonanima di Marco Pannella e gli italiani avrebbero smesso di lì a poco (proprio nel ’77) di guardare il Carosello prima di andare a letto.

Nelle piazze di molte città echeggiavano i megafoni dei sindacalisti che sfruttavano il vento favorevole proveniente dalla Francia, fomentando quella rabbia generazionale che in realtà accomunava un po’ tutti, dai figli degli operai Fiat alle ragazze in minigonna – pessimo il riferimento, lo so, ma obbligatorio – fino ai siciliani di Cinisi.

Quale migliore storia da raccontare, se non quella di un ragazzotto del Sud, talento precoce del disegno, che si ritrova testimone, suo malgrado, di tutto quello che passava dentro e fuori i banchi del DAMS di Bologna?

capitolo I: il DAMS

Tempo di lettura: Mamma dammi la benza dei Gaznevada

 

I fumetti di Umberto Eco

Il DAMS – Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo – fu in quegli anni (e lo è ancora) la mecca per i giovani creativi da tutta Italia. Un necessario punto di riferimento da quando, anche nel nostro Paese, erano arrivati gli studi sulla semiotica e le comunicazioni di massa. A questo punto della storia – della nostra storia – entra in scena un altro personaggio, uno di quelli il cui nome è da portare su coccarda ogni volta che un italiano va all’estero (o dimentica da dove viene): Umberto Eco.

<<Penso che il problema del mito e dell’immagine non è soltanto un appannaggio delle epoche primitive e classiche. Ho in armadio due o trecento copie degli albi originali con le storie a colori di “Superman” e penso che in fondo è un mito del nostro tempo, non esprime una religione ma una ideologia… (…) E proprio in quell’anno leggo “L’esprit du temps” di Edgar Morin, il quale dice che per poter analizzare la cultura di massa bisogna segretamente divertirvicisi, non puoi parlare del juke box se ti fa schifo infilarci la monetina… Perché allora non usare i miei fumetti e i miei libri come oggetto di lavoro?>>

Dalle pagine di Apocalittici e integrati (1964) di Umberto Eco, il fumetto acquisiva per la prima volta lo status di forma d’arte, fin ad allora negato dalla classe intellettuale dell’epoca. Non passò molto tempo per vedere la fondazione del primo corso di laurea interamente dedicato alle arti, dal cinema alla danza, dal teatro alla musica. Il DAMS appunto, aperto nel 1971 all’interno della facoltà di lettere dell’università di Bologna, contribuì a nutrire quell’humus che avrebbe reso “la Dotta, la Grassa, la Rossa” il polo culturale d’Italia anche negli anni a seguire.

Nel 1974 Andrea Pazienza arriva in città, per frequentare il DAMS appunto, che non riuscirà a terminare per aver sempre sfuggito l’ultimo esame di estetica proprio con il professore Umberto Eco. Si può immaginare che quel muro d’angoscia attorno al traguardo finale sia stato reso consapevolmente nelle vignette su Enrico Fiabeschi che va a dare l’esame di semiotica; coloro che non dovessero trovare le tavole originali, possono consultare la splendida reinterpretazione di Max Mazzotta in Paz! (2002), con regia di Renato De Maria:

Il caso Alinovi

A Bologna Andrea conosce Francesca Alinovi, curatrice di mostre e ricercatrice al Dams (tristemente nota alle cronache nere per essere stata ammazzata con 47 coltellate dal suo fidanzato nel 1983). È lei una delle fautrici più convinte dei movimenti d’avanguardia che, dagli angoli “taggati” del Lower East Side e del South Bronx a New York, è riuscita a portare nelle gallerie più importanti d’Italia. Proprio quest’anno è uscito un promettente documentario su di lei a cura di Veronica Santi: I Am Not Alone Anyway (2017), il cui trailer potete vedere qui.

Nel 1982 Pazienza partecipa alla mostra curata da Alinovi alla Galleria comunale di Arte Moderna del capoluogo emiliano; l’evento si intitola “Registrazioni di frequenze” ed è il primo a esporre fumettisti come artisti veri. Non solo Pazienza, ma anche Giorgio Carpinteri, Marcello Jori – fondatori del gruppo “Valvoline” – Nicola Corona e Massimo Mattioli.

Keith Haring a casa di Paz

“Qui ha vissuto Andrea Pazienza”, via Emilia Ponente 223. Foto di Micol Gelsi

Ed ecco uno dei tanti aneddoti leggendari che costellano quegli anni bolognesi di Andrea: si dice che Keith Haring – uno dei migliori amici di Francesca Alinovi – conosce Pazienza proprio in occasione di questa mostra. Ed è a casa di Andrea, quella in via Emilia Ponente 223, che venne realizzato dal noto writer statunitense il disegno di due coniglietti che si annusano. Il pennarello fu regalato ad un’amica di Andrea, una certa Patrizia, la quale a sua volta lo diede ad un collezionista del Triveneto. A Trieste, infine, venne acquistato dall’attuale proprietaria che ha poi riportato sul sito questa storia inaspettata (tuttavia non ancora confermata).

capitolo II: Pentothal

Tempo di lettura: Here come the warm jets di Brian Eno

 

Prima di ascoltare il racconto di Bologna nella stessa voce di Andrea Pazienza, ci sono ancora altre cose da dire.

La mia prima volta col suo inconfondibile segno è stata sulla copertina di XL Repubblica di agosto 2008. Raffigurava una bellissima donna nuda, con lunghi ricci sulle spalle e sul seno, seduta su uno squalo. Il tutto sull’incredibile sfondo blu del mare. Avevo quindici anni e fu amore a prima vista.

Qualche anno dopo, quando fu il momento di scegliere quale strada intraprendere, decisi di andare a studiare a Bologna ed unirmi alla grande comunità degli studenti meridionali fuorisede (anche io pugliese). All’epoca sapevo benissimo che il mio fumettista preferito aveva bazzicato quegli stessi portici, bevuto nelle stesse osterie e scorazzato col motorino su quegli stessi viali. Ma non immaginavo che la città trasudasse ancora la sua traccia.

Una fabbrica dei sogni nel centro di Bologna

Per questo ho iniziato a cercarlo anche io; parlavo di lui a chiunque non lo conoscesse, chiedevo di lui a chiunque lo avesse conosciuto; incontrai Roberto Freak Antoni (Skiantos) poco prima che morisse, era piuttosto acciaccato ormai ma non si esimeva mai dal parlare di Paz: “un uomo con un eterno spirito da bambino”, mi disse.

Incontrai anche Filippo Scòzzari, detto Scòz, un punto fermo nella vita bolognese di Andrea, co-fondatore insieme a lui delle riviste underground – tra le più importanti  esperienze editoriali di quegli anni – Cannibale e Frigidaire.

Con Scòz – che non mi disse nulla, se non di andarmi a leggere il suo libro “Prima pagare, poi ricordare”  cominciò dal ’77  il periodo della Traumfabrik, un appartamento in via Clavature 20, a due passi da piazza Maggiore, che lui e Giampiero Huber (Gaznevada) avevano occupato durante una manifestazione. Divenne il centro di gravità permanente per tutta la comitiva di “smandrappati” (cit. di Roberto Freak Antoni) della zona: Paz, Scòz, Freak, Giorgio Lavagna (Gaznevada), Bifo, lo stesso regista Renato De Maria.

 

Andrea, Roberto Freak Antoni e Nicola Corona nella Traumfabrik/ foto tratta dal sito andreapazienza.it

 

Stando ai racconti riportati negli anni da tutti i suoi assidui frequentatori, alla Traumfabrik ci si fumava spinelli e si disegnava per ore. E difatti, molte delle vignette contenute in Pentothal  portano rigorosamente il bollino “Traumfabrik Production”. Era la loro Factory di Andy Warhol, il Paese dei Balocchi ma anche luogo di esplorazione, diciamo così, “psichedelica”. Lo stesso Scòz ha rivelato di aver visto Andrea “perdere la verginità sui gomiti” proprio lì; erano gli anni dell’eroina e portare una siringa nel taschino era un po’ come l’orologio a cipolla nell’Ottocento: uno status symbol. Oggi sappiamo che si trattò di una vera e propria strategia – “Operazione Bluemoon” – orchestrata dai servizi segreti americani per ammollire i movimenti di opposizione: non è la solita tesi complottista, ve lo spiega Giovanni Minoli in un documento Rai che potete vedere qui.

Ad ogni modo, per loro quell’appartamento fu un rifugio dal mondo, da quella Bologna violenta e ribelle, dove nelle piazze si sparava e si uccidevano i militanti.

E l’eroina non era l’unico amore folle nella vita di Andrea.

 

La sofferenza dell’abbandono

Tempo di lettura: Albachiara di Vasco Rossi

 

Fernando Pellerano ha visto nascere le vignette di Pentothal a casa sua. All’epoca abitava in via Solferino e conobbe Andrea quando aveva quattordici anni alla Trattoria da Trebbi. Lo incontro per scambiare due chiacchiere sotto i portici e mi racconta un po’ come è andata.

<<Era una trattoria degli anni Settanta, molto “pop”, frequentata da anziani e residenti del quartiere. Si trovava su una strada (via Solferino appunto, ndr) abbastanza popolare… dopo è diventata fighetta. C’era di tutto: molti studenti fuori sede, che andavano lì piuttosto che andare in mensa, spendevano di più ma poi mangiavano decentemente; era una trattoria molto “alla vecchia”, dove arrivavi, ti mettevano a sedere con chiunque.>>

Quel giorno Fernando si sedette a tavola con i nostri Scòz, Paz, Tamburini, Mattioli, i flippati, e ovviamente fu un incontro importante.

<<Io chiacchiero con loro, poi ero abituato a stare con gente più grande perché mia sorella aveva quattro anni più di me. Niente, parlando così…cosa fai…niente, mangio, abito in questa casa…adesso arriva anche mia sorella… e a un certo punto arriva e chiaramente l’attenzione passa su di lei.>>

Elisabetta Pellerano, detta Betta, da lì a poco diventerà la ragazza storica degli anni bolognesi di Pazienza. Compare spesso sulle pagine di Pentothal (si dice che anche la ragazza sullo squalo sia lei), fin quando non deciderà di lasciarlo nel 1983 a causa della sua dipendenza sempre più stringente; continua Fernando:

<<Ma diciamo che per Andrea il percorso di sostanze – per quel che ne ho vissuto io – è abbastanza lineare, di sperimentazione di interesse e piacere, che ha preso il sopravvento con le sostanze più pesanti, non nel ’77, non nell’80, un pochino dopo sì. Quando lasciò Bologna nel 1984 era alla fine, di grandi sofferenze… Come si diceva un tempo, era un po’ “a ruota”. Mia madre chiamò sua madre: “guarda, o vieni o, se no, non viene lui”.>>

Da bolognese doc, Pellerano sa benissimo qual è l’eredità lasciata dal suo amico nella sua città: da una parte il suo nome attira ancora di più fumettisti a studiare o lavorare per case editrici e riviste specializzate; dall’altra, ammette che non è stato celebrato come tanti personaggi bolognesi o bolognesi d’adozione – <<con tanto di Nettuni d’oro e Archiginnasi>> – pur avendo sedimentato molto, e non solo a livello underground, la storia di Bologna degli ultimi quarant’anni.

<<Bologna è stata raccontata e disegnata molto bene da lui, non troppo, quel poco molto bene, e ha lasciato il segno. Quel segno appunto di Andrea.>>

Una volta mollato da Betta, Andrea scappa da Bologna, travolto da “storie drogherecce”, dalla dipendenza e dal cuore spezzato.

Si trasferisce a Montepulciano e lì, dopo un anno, conosce la donna della sua vita, sua moglie Marina Comandini. È lei a dirmi come ha vissuto il suo rapporto con la città una volta averla abbandonata:

<<A Bologna ci siamo ritornati insieme, sicuramente l’amava moltissimo ma in qualche maniera aveva avuto un epilogo molto pesante, non era un rapporto sereno dopo. Forse non ce l’ha mai avuto perché se tu pensi a Pentothal e come si racconta fuori dalle righe il Movimento rispetto agli altri, questo suo distacco gli ha permesso di raccontare anche meglio queste generazione di cui poi faceva parte anche lui.>>

Pur non avendo conosciuto Andrea nel suo periodo bolognese, Marina è consapevole dei tormenti di quegli anni, dalla “sindrome dello studente fuori sede” alla rottura con Betta per Marcello Jori, altro amico di comitive e gallerie, fino al confino su nella campagna toscana. C’è un’intervista molto bella e dolorosa di Red Ronnie – la voce radiofonica degli anni Settanta – in cui lui stesso racconta, mentre disegna col pennarello, com’è stata la partenza da Bologna. È un po’ come parlare con un vecchio amico e si capisce subito che straordinario tipo sia lui.

<<Infatti quando in Pompeo c’è l’epilogo in cui dice “pensavo di essere un genio e invece sono solo un fesso, che però distrugge il 90% dei vostri.” Ecco in qualche maniera questo riassume il suo rapporto con se stesso rispetto alla sua arte e con gli altri.>>

L’epilogo di cui parla Marina è una sorta di testamento di Andrea, avente lei raffigurata sulla cornice di una poesia di Majakovskij. Pompeo è il diretto sequel di Pentothal, una terapia di disintossicazione disegnata, che aveva attraversato nei suoi anni lontano da Bologna.

Andrea Pazienza era una persona che aveva riversato tutta la sua passione nel disegno perché era il modo più veloce (e naturalmente facile per lui) di incanalarla per liberarsene. C’è davvero tanto ancora da scoprire della sua arte, e per la prima volta alcune delle sue opere sono state pubblicate anche all’estero. Non solo, ma è possibile trovare gruppi Facebook, siti e scuole di fumetto interamente a lui dedicati.

 

capitolo III: in viaggio con Paz

Tempo di lettura: Paz di The Gang e la registrazione

 

 

<<Pazienza è riuscito a rappresentare in vita, e ora anche in morte, il destino, le astrazioni, la follia, la genialità, la miseria, la disperazione di una generazione che solo sbrigativamente, solo sommariamente chiameremo quella del ’77 bolognese>>  –  Pier Vittorio Tondelli, scrittore

 

Sono passati esattamente quarant’anni da Le straordinarie avventure di Pentothal (1977), esordio su Alter Alter per le tavole di Andrea Pazienza. Si tratta dell’istantanea di quello che lui stesso pensava “fosse uno sprazzo, era invece un inizio”. Quei disegni a pennarello furono infatti realizzati nel febbraio ’77, ovvero ben prima del marzo caldo in cui il Movimento raggiunse la sua massima espressione.

Se potessimo fare un paragone nella musica con l’importanza dell’opera per il suo periodo storico, allora diremmo che Pentothal di Pazienza è un po’ come Nevermind dei Nirvana (non mi viene in mente nessun altro nome). Portavoce di una generazione ma con una voce tutta sua, il risultato di tutto quello che l’autore, come un vero Zelig, aveva captato a Bologna proprio nei mesi precedenti.

Ci sono state diverse querelle su quanto l’opera rispecchiasse i fatti di Bologna, se la narrazione fosse biografica o meno, sullo stile dadaista e persino sull’impaginazione stravagante. Per quanto riguarda il primo punto, ci sono principalmente due voci opposte; da una parte Scòzzari, che ha definito “Pentothal un eterno tentativo di imitare Moebius” – all’anagrafe Jean Giraud, fumettista francese – ma “fasullo” nel rappresentare la sua Bologna e quella del Movimento (ma non da meno per segnare la nascita del fumetto italiano). Dall’altra c’è Bifo – uno dei leader del Movimento e co-fondatore della mitica Radio Alice – che invece sostiene che quelle vignette rendano bene il centro di Bologna (“dove non si perde neanche un bambino”).

In realtà resta poco da spiegare e l’ultima parola la lasciamo volentieri al suo autore, che, dagli archivi della Rai, abbiamo deciso di portare di nuovo alla luce. Si tratta della prima di cinque puntate trasmesse su Radio Tre, a titolo “Cento lire. Guido Piccoli viaggia con Paz”. Riascoltarla sarà, di nuovo, come parlare con un vecchio amico, quello che abbiamo avuto la sensazione di conoscere da sempre, e invece no, c’è un mondo di avventure dietro.

E allora buttiamoci nel favoloso mondo di Andrea, in quel segno di una resa invincibile. Senza mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa.

 

*Un ringraziamento speciale a Marina Comandini, Giovanni Celsi e Rai teche per il contributo a questo reportage.

 

La registrazione della prima puntata trasmessa su Radio Tre, "Cento lire. Guido Piccoli viaggia con Paz". Per gentile concessione dagli archivi Rai

 

 

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