Alla sua quarta edizione, il Nos Primavera Sound di Porto afferma di non avere nulla da invidiare alla ricca versione spagnola del festival, e il segreto della sua bellezza forse sta proprio nella versione ridotta del Primavera Sound.
Trascorsa ormai una settimana dal rientro da Porto mi fermo a raccontare le emozioni rimaste dentro la testa che come un disco non smettono di girare.
La città di Porto accoglie il pubblico nella maniera giusta, la splendida location di Parque da Cidade e la vista mozzafiato sull’oceano, i naturali pendii del parco dove trovi i palchi dei concerti, l’aria di mare, il sole, il profumo di cibo e fiori e il sorriso su tutti i volti incontrati. Tutto non fan altro che dare il benvenuto alle migliaia di fan provenienti da tutta Europa: ragazzi e ragazze di tutte le età, fan, musicisti, appassionati di musica, semplici ascoltatori di buona musica, nostalgici della musica di fine anni Ottanta e Novanta, bambini. É possibile guardare e ascoltare i concerti anche da lontano rimanendo sdraiati sul prato.
Nella mia testa scorrono tantissimi nomi: Giant Sand, Patti Smith, José Gonzàlez, Sun Kill Moon, Belle & Sebastian, Electric Wizard, Spiritualized, Antony & the Johnsons, Foxygen, Xyloris White, The Thurston Moore band, Death Cab for Cutie, Babes in Toyland, Einstürzende Neubauten, Shellac, Ride, Underworld.
È difficile dire quale concerto sia stato migliore oppure quale mi sia piaciuto di più, ogni artista ha avuto il suo percorso e ogni artista ha toccato ciascuna di quelle persone presenti al Parque da Cidade.
È inutile dire che erano anni che rincorrevo Howe Gelb e i Giant Sand che ad ogni accordo ci danno l’impressione di essere in Arizona; che ogni volta che assisto ad un concerto di Patti Smith sento sempre un brivido, lei che celebra a distanza di 20 anni uno degli album più belli della storia “Horses” con la stessa forza della lottatrice a pugni chiusi di sempre e riesce ad emozionare anche chi credeva che a settanta anni si possa smettere di lottare. Invece la signora del rock porta sul palco la sua grinta, e terminato l’album canta finalmente “People have the power” insieme ai suoi fan che non vogliono lasciarla, e al termine del brano scandisce urlando Use your voice! alla folla ormai completamente sua.
E non riuscirò a dimenticare di essermi sdraiata sul prato del palco Super Bock sulle note semplici di José González; di essere stata stupita dal rock ipnotico degli Spiritualized (che non hanno nulla da togliere agli Spacemen3); di essermi concessa in totale silenzio insieme a tutto il pubblico del palco Nos ad Antony Hegarty e i suoi Johnsons che si sono esibiti in un crescendo di magiche emozioni accompagnati dalle immagini di Mr. O’s Book Of The Dead, di Chiaki Nagano, e di essere catturata dalla inestimabile potenza della sua voce; felice di avere rincontrato Jim White insieme a George Xylouris i quali fanno dialogare sul palco dell’Atp raw rock e folklore greco dando il via ad una nuova sonorità sperimentale; di essere tornata indietro nel tempo ascoltando ancora una volta le chitarre di Thurston Moore e di essere esplosa in una danza all’urlo di Bruse Violet delle Babes in Toyland; di essere stata tra i fortunati che almeno una volta nella vita hanno visto esibirsi gli Einstürzende Neubauten dal vivo e assistito ad uno show unico in cui portano sul palco manufatti industriali, gomme, metalli, trapani e sintetizzatori, e la voce di Blixa Bargeld che sovrasta il frastuono prodotto dalla pioggia di oggetti metallici; di essere contenta di partecipare ad ogni concerto degli Shellac ovunque mi trovi; e di avere concluso questo festival in mezzo alla folla danzante sotto al palco del Nos davanti alla performance di Underworld.
Credo che per un po’ vorrò rimanere a secco di concerti e continuare ad assaporare quello che mi scorre in testa del festival di Porto.
Report e foto a cura di Elena Biazzo