Vi raccontiamo gli M+A a La Cabina 56 di Torre Annunziata (NA)

Gli M+A (Michele Ducci + Alessandro Degli Angioli) sono una delle più recenti e felici scoperte del made in Italy della musica indipendente (per brevità la chiameremo così): i loro sound sono insieme delicati e rinfrescanti, come una bottiglia di prosecco gelata a tarda sera dopo una giornata d’afa. Freschi reduci dal Festival di Glastonbury (quello che è riconosciuto in Europa come il festival del fango e della buona musica, e che quest’anno nel cast raccoglieva – per dire – Arcade Fire e Rolling Stone), li abbiamo visti sabato scorso al Lido Rinascenza di Torre Annunziata, all’interno della rassegna La Cabina 56. L’occasione per sentirli dal vivo diventa quindi ghiotta, perché è la prima data dopo il festival inglese che li ha consacrati a un respiro più internazionale (e – a memoria – la seconda in Campania): siamo in spiaggia per scaricare il caldo di tutta la giornata. Prodotti dall’etichetta londinese Monotreme Records, sul finire dello scorso anno fanno uscire l’album ”These Days” (qui la recensione), un racconto sonoro ricco di influenze che ci ha incuriosito all’esperienza di sentire dal vivo questa band. Del resto se ne parlava bene delle loro performance live.

C’è da dire che si sa che la musica elettronica ha il solito problema di fondo, e cioè che evapora negli spazi aperti e risulta più coinvolgente in quelli chiusi: questo succede soprattutto se sei lontano dal palco. Una questione che ritroviamo viva in molti festival e date, e che se si sente meno con il rock diventa poco più preponderante con certi tipi di sound electro (tanto da sembrare addirittura diversi – o più blandi nel ritmo – rispetto alle registrazioni). Per questa ragione bisogna avanzare verso il sotto palco per riuscire a godere di questi sound anche all’aperto. Quello che scopri è che gli M+A sono davvero coinvolgenti, ridondanti nello spirito pop che mescola influenze di ogni genere fino a sfociare nel caraibico. C’è una caratteristica molto interessante che è bello evidenziare di questo progetto: arriva subito, senza essere pop in senso spregiativo. Pezzi come When o Down the west side godono di una certa immediatezza ricercata, ma soprattutto mancano di alcuni vezzi del sound italiano in crisi d’ispirazione e alla ricerca di se stesso, e che troppo spesso si svela come un ritorno alla commemorazione di un passato ormai distante.

Il live inizia con studiato ritardo sotto le lanterne che hanno preso il volo dalla festa (tunz tunz tunz) del lido a fianco; la scena, che in qualsiasi altro posto risulterebbe banalotta, è perfettamente calata nei forti contrasti che ci circondano: anfiteatro di palazzoni anni ‘70 con un terrazzone imponente proprio dietro le nostre spalle, spiaggia con vista sul Golfo di Napoli illuminato da diversi spettacoli pirotecnici in lontananza di fronte a noi. E così come le costruzioni e i palazzoni si stagliano contro il paesaggio naturale fondendosi e creando una terza cosa, così l’elettronica suonata sul palco si immerge nelle sonorità dall’ascolto facile a creare un qualcosa di estremamente fresco e coinvolgente.

I due sul palco nonostante Glasto non sembrano per niente tirarsela davanti ad una platea che gradualmente va riscaldandosi (forse colpa anche dei tanti Mojito). Al termine della scaletta fanno salire il pubblico sul palco che balla e suona tamburi con dubbio senso del ritmo. Purtroppo però è passata solo un’oretta, per limiti che sembrano esser stati imposti, e visto il calore del pubblico non ci pensano due volte a concedere vari bis (senza neanche la scenetta dell’uscita di palco), fino al punto in cui, finiti i pezzi a disposizione, decidono addirittura (chiedendo scusa al fonico per il protrarsi inaspettato del concerto) di ripetere un brano già suonato (con tanto di nuova salita di pubblico sul palco).

Insomma, se vi capitano sotto tiro, non fateveli scappare.

A cura di Seppino Di Trana e Giovanna Taverni

Fotografie di Michela Rapacciuolo

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