10 Luglio 2012
Sherwood Festival, Padova
Si è tenuto ieri sera a Padova quello che era senza dubbio uno degli eventi musicali più attesi per questo afoso mese di luglio. Direttamente da Oklahoma City sono giunti in Italia per la prima data i The Flaming Lips, una delle più apprezzate band psych-rock di questi anni nonché un gruppo celebre per la spettacolarità delle uscite live. Ad aprire la serata sono, nonostante la già avvenuta conclusione del tour di presentazione del loro nuovo disco, i Verdena, ben felici di suonare assieme ai loro celebri colleghi americani. Ma visto che queste sono tutte informazioni inutili che si possono ben dedurre dal titolo dell’articolo passiamo avanti e parliamo di com’è stato. Anzitutto il concerto, a causa di norme stringenti sulla musica amplificata dopo la mezzanotte, è dovuto iniziare alle nove spaccate, con una platea semivuota e la gente che ancora faceva la fila per poter consumare una cena frugale. Tra i banchetti ed i punti di ristoro si aggirava una buona fetta della scena musicale indipendente del nostro paese, a testimonianza dell’interesse suscitato dall’evento anche e soprattutto tra gli addetti ai lavori. Un laconico Ferrari sale sul palco ed attacca subito con Sorriso da spiaggia, prima e seconda parte. Il quartetto si presenta rilassato e ben conscio della propria abilità in versione live, che da molti mi era stata preannunciata; al termine di ogni canzone Roberta si profonde in ringraziamenti verso il pubblico e l’impressione che si ricava dai loro volti e dai loro movimenti è di divertito entusiasmo. Il loro set, nonostante qualche breve sbavatura fonica, procede egregiamente, tra momenti carichi ed altri più quieti, tra brani vecchi e nuovi ma sempre amati dal pubblico che in breve tempo si accumula sotto il palco creando una calca più che giustificata. Per un’oretta scarsa i bergamaschi ci deliziano con tredici tracce tra le quali mi pare giusto ricordare la splendida Scegli me, una Muori delay estremamente partecipata, Miglioramento e la sentitissima chiusura con Isacco Nucleare, dalle cui note tutti vengono conquistati.
Alle dieci precise la prima parte della serata si conclude in modo un po’ tronco ed amaro, ma necessario alla preparazione del palco per l’arrivo del gruppo headliner. Possiamo così assistere ad una trasmutazione scenica esaltante: sul palco viene montata la strumentazione in tinta panna della band d’oltreoceano, il semicerchio retrostante si illumina e si prepara a trasmettere psichedelia e non solo. Tutti coloro che si trovano sulla pedana, anche le operatrici per le riprese, sono vestiti con abiti secondo un tema che richiama Il mago di Oz. Visibilmente esaltato, Wayne Coyne si aggira tra tutto ciò in camicia e collo di pelliccia suscitando il clamore del suo pubblico. Infine la partenza; alle dieci e mezza precise il frontman indossa dei guanti a zampa leonina e lo show ha inizio. E’ Race for the prize, traccia di apertura del loro capolavoro The Soft Bulletin, a dare il via alle danze in un tripudio onirico di cannoni sparacoriandoli e di coreografie variopinte; uno splendido delirio, con Coyne che spara stelle filanti sul pubblico da degli strani fucili ad aria compressa e la musica sotto che cresce in modo gioioso e maestoso. Senza dubbio un incipit fenomenale che ha lasciato tutti, me compreso, a bocca spalancata e sorridente. Segue, dopo le dovute presentazioni, un altro loro cavallo di battaglia, The yeah yeah yeah song che riesce, se possibile, a superare per intensità e carica persino la precedente. Dal palco allegri insettoni (che probabilmente stavano crepando dal caldo nei loro costumi in gommapiuma) lanciano sfere colorate di formato extra large che la gente si diverte a far rimbalzare in giro; vengono poi gonfiati e lanciati sulla folla palloni ancora più grossi pieni d’aria e coriandoli che al loro esplodere si propagano nello spazio. Il leader dei Flaming Lips di diverte un mondo a farli scoppiare a tempo di musica col manico della sua chitarra mentre davanti a lui un coro immenso urla yeah yeah yeah yeah. Infine il culmine di questo crescendo lo si raggiunge quando al terzo brano previsto, la cover dei Pink Floyd Out of Run, viene gonfiata la celebre bolla da stage diving all’interno della quale Wayne il folle si diverte a camminare sul suo pubblico, sorretto da centinaia di mani levate al cielo. Dopo questo exploit iniziale i momenti successivi perdono un po’ di intensità e si dipanano con scioltezza sullo sfondo di video psichedelici e primissimi piani del sudatissimo viso del cantante ripresi da una videocamera posta sopra il microfono. Infine, sulle note di una See the Leale per l’occasione dedicata ai Verdena, Coyne indossa due enormi mani da cui fuoriescono laser di varie forme che, proiettati sull’enorme sfera specchiata che sovrasta il tutto, si riflettono su un pubblico in delirio. Dopo ciò la band esce di scena, ma solo per farsi richiamare per ben due volte dalle grida dei fan; il primo encore concesso è Ashes in the air, mentre il gran finale è lasciato alla splendida Do you realize?. La chiusura è decisamente col botto, anticipata da una dichiarazione d’amore al suo pubblico da parte del protagonista della serata, e perpetrata tra toccanti cori finali sull’aria del ritornello ed ulteriori piogge di coriandoli e stelle filanti. Alla fine persino il cielo si è concesso di partecipare a quest’ultimo brano illuminandosi con qualche innocuo lampo che ha contribuito ulteriormente al successo coreografico d’insieme.
Al termine del live, superata la paralisi facciale dovuta all’espressione di perenne meraviglia e quella sensazione di ritorno all’infanzia e di allegria imperante, la domanda che uno spontaneamente si pone è: il successo del concerto sarebbe stato lo stesso senza tutto quel tripudio di colori, effetti speciali, luci, sfere e simpatia? E ancor più importante: non è che la musica si è ritrovata sacrificata e soffocata da tutto questo insieme di fattori visivi? Io ci ho pensato a lungo il giorno seguente e sono giunto alla mia personale risposta. Senza dubbio sarebbe sciocco da parte mia affermare che senza l’impianto di contorno l’effetto dell’evento sarebbe stato il medesimo; tutto ciò che è accaduto sul palco ha avuto un’importanza determinante nel rendere questa serata un’esperienza unica e memorabile. Sono certo però che anche in una versione nuda e spoglia la musica dei Flaming Lips sarebbe risultata qualitativamente di livello e non avrebbe deluso gli ascoltatori. La loro capacità musicale, anche dal vivo, non si discute; ad essa però si aggiungono tutte quelle fanciullesche trovate che, unite all’esplosivo carisma del vocalist, arricchiscono in modo decisivo la partecipazione ai loro concerti. Terminata questa breve pausa di lucidità riflessiva torno dunque a fissare sorridente il vuoto nell’attesa che passino i postumi di un concerto capace di proiettare gli spettatori in un mondo di zucchero e follia.