foto di Miki Marchionna
In questi tempi difficili – in cui i ponti crollano e i barconi affondano – la musica continua ad essere per noi l’unica àncora di salvezza a cui aggrapparsi insieme. Per questo, il tema della quattordicesima edizione del Locus Festival di quest’anno potrebbe suonare quasi rivoluzionario: gli intrecci culturali (“cultural weaves”) sono le radici di questo nostro Paese in cui cibo, musica, arte e letteratura hanno inciso – e continuano a farlo – la storia del mondo. Il Locus Festival in questo senso non manca di ricordarcelo fin dal 2005, avendo ospitato artisti che sintetizzano al meglio il suo messaggio glocal: da David Byrne a Franco Battiato, da Mulatu Astatke a Kings of Convenience passando per Gil Scott-Heron, Stefano Bollani e tanti altri.
Siamo andati dunque a Locorotondo, borgo nel cuore della valle d’Itria tra trulli e uliveti, che abbraccia nella sua forma circolare gli eventi in programma: ci sono concerti a ingresso libero nella piazza principale (Ghemon, Kamaal Williams, Rodrigo Amarante, Gogo Penguin, Moses Sumney e The Comet is Coming), incontri con gli scrittori e i fumettisti di nostra conoscenza a Largo Mazzini (Simon Reynolds, Francesco Bianconi, Squaz, Nicola Gaeta, Geoff Dyer, Maicol & Mirco, Dr. Pira), i dj-set al Lullabay (Habibi Funk, Bradley Zero, Dengue Dengue Dengue), le mostre organizzate da XL e, last but not least, i gloriosi live alla masseria Mavù (R+R=NOW con Robert Glasper, Baustelle, James Holden + Animal Spirits, Cosmo, Ben Harper, Floating Points).
“Alla fine della scorsa edizione, si ragionava subito della linea da seguire per il 2018 e spuntò il nome di Alan Lomax e dei suoi straordinari viaggi per raccogliere suoni e canti di tutto il mondo, dalla Spagna alla Gran Bretagna al sud America”, ci racconta Gianni Buttiglione di Bass Culture, organizzatori del festival, “e scoprimmo anche che soggiornò a Locorotondo, ci sono delle tracce fotografiche”. Da qui l’idea di fare un viaggio al contrario, riprendendo il filone della Black Music, protagonista delle passate edizioni, e intrecciandolo con alcune delle più interessanti proposte della musica nazionale e internazionale. Il risultato è un festival d’avanguardia – competitivo quanto quelli europei come pochi in Italia – che coinvolge diversi sponsor, media partner e promotori (tra cui anche la Regione Puglia) e una partecipazione sempre più ampia: “negli ultimi anni, continua Gianni, abbiamo rafforzato soprattutto la rete con alcune associazioni e privati locali, e nei quattro weekend del Locus ci si accorge che tutti – noi organizzatori, commercianti, pubblico e artisti – vivono questa esperienza come propria e in maniera particolarmente sentita”.
Quello che segue, dunque, è il racconto di alcune delle tappe di questo viaggio musicale in terra pugliese.
27 Luglio: Diodato + Rodrigo Amarante
E’ la notte dell’eclissi totale di luna più lunga del secolo, un evento più unico che raro a rendere magica l’atmosfera; prima del concerto, passeggiamo tra le vie del centro, al mercato creativo, tra bancarelle e bambini che giocano con la vérruzz (il gioco della trottola con la corda), con un panzerotto in una mano e la birra nell’altra. Ad aprire il live è Diodato, cantautore tarantino (che avevamo intervistato qui) che si è fatto conoscere dopo aver vinto con il brano Babilonia il premio della giuria a Sanremo nel 2014. Il pubblico è molto giovane, tanti i ragazzi in camicia hawaiana e le ragazzine che sanno a memoria le sue canzoni. Suona anche una cover di De Andrè, Amore che vieni Amore che vai (con cui ha vinto il premio De Andrè) che mette d’accordo un po’ tutti, giovani e meno.
E’ poi la volta del nome principale della serata: Rodrigo Amarante sale sul palco all in white, completo, scarpe, chitarra e calice di vino. Il musicista brasiliano ha raggiunto la fama “mainstream” grazie alla canzone Tuyo – sigla fortunata per la serie Narcos a marchio Netflix – ma la sua carriera è molto più stellare: dai tempi di Los Hermanos a quelli dei Little Joy (con Fabrizio Moretti degli Strokes) fino alle collaborazioni con Gilberto Gil (simbolo della musica brasiliana) e Devendra Banhart (ormai diventato il santino degli hipster). Amarante comincia subito la sua setlist di emozioni tratte dall’ultimo album “Cavalo”: Irene, Nada em Vao, Mon Nom, Tardei sono suonate solo voce e chitarra e riscaldano l’aria sotto lo spettacolo della luna che si tinge di rosso.
Il pubblico canta molte delle sue canzoni, anche se non manca un momento di imbarazzo quando comincia a chiedere la hit che lo ha reso famoso; a sorpresa, arriva anche Natalie Bergman – del gruppo Wild Belle, una delle performer Americane più interessanti del momento – con la quale duetta un paio di canzoni. Rodrigo chiude con una versione al pianoforte di Evaporar, il brano dei Little Joy a suo nome e saluta il pubblico felice alzando il suo calice. Lo incontriamo nel backstage per un altro bicchiere di vino, ci racconta che ha attraversato tutta l’Italia, da Nord a Sud, in auto per le altre tappe del suo tour. Lo ringraziamo tutti contenti per la musica e lasciamo Locorotondo solo momentaneamente.
3 agosto: Technoir+Moses Sumney
Aprono i Technoir, duo che mescola diverse sonorità soul, jazz ed elettronica e che meglio rappresenta gli intrecci culturali di cui sopra, coi suoi componenti: Alexandros (chitarre e sintetizzatori) ha origini greche ed è cresciuto tra l’Italia e l’isola di Kerkyra, mentre Jennifer (voce, effetti) di origini nigeriane e ghanesi ma è stata cresciuta da genitori italiani. Sono la perfetta introduzione per l’ospite che segue, il ghanese (californiano di adozione) Moses Sumney. La sua performance sembra per un attimo trasferirci in uno spazio-tempo che non è certamente quello di una sera d’estate in Puglia, ma più un bosco popolato da animali fantastici e atmosfere surreali; la sua voce è il suo vero strumento musicale e lo modula dai falsetti più alti ai toni più grevi. Grazie a questa sua unicità – un omone di quasi due metri che canta in falsetto pezzi soul e jazz è abbastanza raro – Sumney si è guadagnato in pochissimo tempo il rispetto della critica, l’entusiasmo del pubblico e la stima di suoi colleghi, tra cui Sufjan Stevens (col quale ha suonato nella notte degli Oscar), Solange, Erykah Badu e David Byrne. A Locorotondo Sumney suona anche il brano appena pubblicato, Rank & File.
4 agosto: James Holden & Animal Spirits + Cosmo
La serata è carica di aspettative e di energia da scaricare per i live di James Holden e di Cosmo alla masseria Mavù, poco distante dal centro di Locorotondo. La location è davvero suggestiva e sembra perfetta per ospitare un evento così “trascendente”.
Il primo ad avviare le danze è il guru inglese dell’elettronica, accompagnato dalla carovana degli Animal Spirits: c’è Holden sul suo altare di laptop e sintetizzatori, dal quale guida tutta l’orchestra strumentale composta da Tom Page alle percussioni, Etienne Jaumet al sax, il cornettista Marcus Hamblett, Liza Bec alla Rhaita e Lascelle Gordon del gruppo jazz Woven Entity. È un tripudio di suoni quasi extraterrestri, con influenze che mescolano i ritmi nord africani – Holden è stato di recente in Marocco e da lì è partito il concept dell’album Animal Spirits – a elementi di krautrock, folk ed elettronica. L’effetto è rivelatorio e canzoni come Each Moment Like The First, The Beginning & The End Of The World, Thunder Moon Gathering, sembrano state scritte per accompagnare viaggio nello spazio.
Finita la trance degli Animal Spirits, è salito sul palco il nostrano Cosmo accompagnato dai suoi due batteristi. Il Locus è una delle ultime date del suo estenuante Cosmotronic Tour, di cui vi avevamo parlato già qui e qui.
Cosmo non delude, tira fuori tutta l’energia del pubblico e mette su un live in cui tutti si ritrovano a ballare e cantare senza sosta; è il suo tratto caratteristico, unire musica da club a testi da cantautorato. Tutto molto bello, tranne quando i partecipanti tirano fuori i cellulari e cominciano a scattare foto e video incessantemente, trasformando la scena molto grottesca; Cosmo – in arte Marco Jacopo Bianchi – si innervosisce, sembra quasi si senta un animale allo zoo, e minaccia di nascondersi nel backstage fin quando non li mettono via: “Lasciate sti cazzo di cellulari e godetevi il concertoo!!!”
Il concerto, comunque, è letteralmente esplosivo anche se non a tutti sembra essere piaciuto: “A un certo punto ho pensato che tutto fosse stato voltato a djset. Lui, poi, piuttosto scostante, eh!” sentiamo di passaggio nella folla del pubblico.
10 agosto: Ben Harper
E infine andiamo a vedere quello che è uno degli ospiti più attesi di tutto il festival: Ben Harper, infatti, ha deciso di partire proprio da Locorotondo per il suo tour italiano in solitaria. Sale dunque sul palco e si siede accerchiato da un trono di chitarre; comincia quello che è uno dei concerti più emozionanti tra quelli a cui abbiamo partecipato. 2 ore e 30 di spettacolo che si può dividere in due lati (come la sua produzione): quello politico – con canzoni come Excuse me Mr, No Mercy In This Land, Amen Omen, Power of the Gospel – e quello romantico – con Diamonds On The Inside, Masterpiece, Woman in You, I’m Trying Not To Fall In Love With You. In entrambi i casi, ascoltare Ben Harper suonare per te in masseria è un’esperienza: c’è un’atmosfera magica, la serata è serena e si vedono anche le stelle dai trulli. Ci si dondola abbracciati a se stessi o alla persona accanto e sembra che non ci sia più nulla di cui preoccuparsi al mondo. Harper stesso sembra davvero molto emozionato e non fa che ripetere di quanto si sia innamorato di questa regione – e in particolare di Locorotondo – che prima non conosceva. L’emozione deve essere pure troppa, se durante l’assolo prima dell’ultimo ritornello di Don’t Give Up On Me Now, sbaglia l’accordo: “oh f*ck, state pagando troppo per questo, rifacciamola!”
Torniamo a casa – cantando ancora “It’s not what we do/It’s what we do with what we feel” – con la stessa consapevolezza con la quale siamo partiti: la musica non ha confini che tengano ed è davvero l’unica cosa a cui non possiamo rinunciare in tempi così strani.