Pare ci sia stata una strana ondata di voci dagli States in questo autunno canaglia. Forse la lettera americana di Bruce Springsteen è quella più popolare, ma il nuovo album del Boss è anche un disco amaro, che celebra vecchie ossessioni e l’eroismo infranto di uomini spezzati che una volta andavano al ritmo di un epico rock’n’roll. A parte il Boss dagli Stati Uniti di nuovi album in questo autunno ne sono usciti un po’, e abbiamo potuto ascoltare cose come le sofisticazioni elettroniche di Sufjan Stevens, le ballate old-rock di Matt Berninger, o le schitarrate incendiarie di un Thurston Moore che ha risvegliato lo spirito ruggente dei Sonic Youth – per la maggior parte belle uscite, con una tensione tra una vena cantautoriale d’altro tempo e azzardi più sperimentali, tra vecchie e nuove voci.
Kevin Morby e Adrianne Lenker
Due voci in particolare – che negli ultimi anni si sono dimostrate tra i compositori più originali del panorama statunitense – sono tornate in questo autunno con un nuovo album. Parliamo di Kevin Morby e Adrianne Lenker. Morby, ex-Woods, ex-The Babies, ormai dal 2013 esplora la musica in versione solista, lo scorso 16 ottobre è uscito il suo nuovo album Sundowner. Adrianne Lenker è la voce-compositrice dei Big Thief, prolificissima al punto che a fine ottobre ha fatto uscire due dischi solisti: songs e instrumentals. Entrambi i musicisti hanno tirato fuori dei lavori che – anche nell’omaggiare per forza di cose grandi cantautori del passato, vecchie voci di ieri – ci mettono sempre un po’ di originalità e ricerca. Così nel lo-fi affabulatorio di Adrianne Lenker c’è sempre una tensione tra l’evocazione di spiriti magni come quelli di Joni Mitchell e Bob Dylan, e un’esplorazione di sotterranei più inediti. Che componga per i Big Thief o per lei sola da solista, Adrianne pare una macchina letale sforna-canzoni, una di quelle menti creative che basta lasciare sotto un albero con una chitarra per aspettare che se ne torni a casa con un disco o un’intuizione. Stavolta se ne è tornata a casa addirittura con due album, uno di canzoni e l’altro di pezzi strumentali (si tratta appena di due lunghissimi brani dentro cui lasciarsi andare e staccare il cervello). Songs non ci dice di più delle qualità di Adrianne Lenker di quanto ci abbiano detto i due bellissimi album dei Big Thief dello scorso anno, è solamente un lavoro più scarnificato e ridotto all’osso dove la sua voce diventa il tema dominante; è anche uno di sfoggio di sicurezza di talento di una ventinovenne ossessionata dalla musica e che sa come incantarci, anche se non lo fa apposta.
Le ballate alla chitarra che troviamo dentro Sundowner di Kevin Morby ci dicono invece che l’indie-rock è difficile da ammazzare, forse perché come dice Neil Young “rock’n’roll will never die”, e indie è solo una parola come un’altra per dire indipendente. Morby in questi anni di attività è stato un folletto musicale particolare, un cowboy folk sopra le righe forse sempre un pochetto sottovalutato nonostante il suo lavoro da esploratore di suoni e torsionista vocale. Eppure la sua chitarra suona innovativa, da Valley alla title-track passando per la bellissima Wander, Morby ci lascia scorrere tra suoni e immagini come dentro un giro randagio, con quel suo stile vocale tagliente e infettivo che quasi sembra di stare a passare tra scorci di musica d’altri tempi e sonate gettate al futuro. Sundowner è veramente un disco autunnale, dove ci si alterna tra giornate di sole e di pioggia con grazia neilyounghiana. Così un pezzo come Don’t Underestimate Midwest American Sun potrebbe sembrare solamente una vecchia ballata rimodulata per il tempo presente, e invece come la canta e la suona Morby diventa pure qualcos’altro, qualcosa di più originale dove il bassocanto e la musica minimale per un attimo si aprono per poi svanire poco a poco. Passati i trent’anni Kevin Morby è messo di fronte alla grande sfida: magari non siamo ancora al disco della consacrazione del suo talento, ma è sulla strada perfetta per arrivarci e questo disco è una sassata. Del resto è complicato sia per la chitarra di Kevin che per quella di Adrianne sondare nuove vie che non siano state esplorate prima da gente come Dylan e compagnia, quello che possono fare è metterci la voce e una grande dose di sincerità, cacciare via i mostri e suonare. A modo loro lo fanno benissimo.
Il ritorno di Jeff Tweedy
Se la gioventù di voci come quelle di Kevin Morby e Adrianne Lenker tenta nuove vie sotterranee, dall’altro lato questo qui è anche l’autunno dei grandi ritorni americani, di voci e talenti confortanti come quello di Jeff Tweedy dei Wilco, o delle atmosfere degli Yo La Tengo che sono tornate a condensarsi nel nuovo EP Sleepless Night. Uscito a inizio ottobre, l’EP in realtà è un ritorno alla dimensione della cover, con omaggi molto americani a Bob Dylan (eccolo che torna sempre) o The Byrds, e un solo pezzo inedito. C’è pure la collaborazione dell’artista giapponese Yoshitomo Nara per l’artwork di copertina che fa del disco qualcosa dal respiro un po’ più internazionale di un assoluto made-in-usa. Sleepless Night è un ascolto piacevole, ma il lavoro che veramente conquista le orecchie è quello di Tweedy.
Jeff Tweedy non ha mai perso il talento che ci vuole per scrivere una bella canzone, la sua vena non si è esaurita col tempo e lo conferma il nuovo album Love Is A King. Per esempio le incursioni di chitarra elettrica che si iniettano sul finale della title-track che apre il disco sono una scarica necessaria, così come la stilettata emozionale di Gwendolyn richiama vecchie cose insaporite da atmosfere e suggestioni che abbiamo amato nei Wilco. Insomma l’oramai cinquantenne Tweedy si lascia ascoltare ancora come un giovanotto, un ragazzo maturo che non ha perduto creatività. Possiamo dire che a modo loro Kevin Morby, Adrianne Lenker, Jeff Tweedy, scavano tra i suoni tradizionali e gli piazzano addosso il loro tocco distintivo. E dai loro dischi ne esce fuori qualcosa di coraggioso, che non è vecchio e probabilmente non è nemmeno nuovo o mai-sentito, ma è sicuramente sincero e urgente. E questo è veramente tanto oggi.
Breve deviazione elettronica
Per andare a parare verso qualcosa di completamente diverso e che si scolla dalla tradizione in senso stretto, per andare a parare verso un linguaggio che non è solamente quello che si canta e si decanta e tuttavia mantiene una voce – qualcosa come una voce, dobbiamo andare dalle parti di Oneohtrix Point Never e del suo nuovo Magic Oneohtrix Point Never. Daniel Lopatin è tra gli esploratori di direzioni più distorsive per l’elettronica americana, quella audace e affamata e scompositiva che fa a pezzetti le orecchie. Le collaborazioni con Arca o The Weeknd ne fanno un disco ancora più scomposto e temerario, e pure solitario nel suo grido. Un altro gioco d’azzardo che è uscito fuori a sorpresa questo autunno è un vecchio live album dei Darkside, la band di Nicolas Jaar e Dave Harringston di cui non avevamo avuto più tracce dopo l’uscita di Psychic nel 2013, un progetto che mescolava l’elettronica persino con il rock e aveva un immediato effetto seducente per le nostre menti cangianti. Psychic Live contiene solo sei tracce registrate nel luglio del 2014, ma è tutto un mondo. In questo autunno ci sta benissimo.