Il 16 aprile, a Largo Venue, si è tenuta la prima data romana del tour “Un segno di vita” di Vasco Brondi, che ha registrato un sold out quasi istantaneo, dimostrando ancora una volta la fiducia e l’affetto del suo pubblico.
È un percorso luminoso e interiore quello che porta Vasco Brondi dalle Luci della Centrale Elettrica all’Incendio che Illumina tutto.
Con il suo cappello a tesa larga e la chitarra in mano, Vasco Brondi sale sul palco come un cowboy della frontiera, immerso in un’atmosfera rossa e incandescente.
Come una preghiera laica recita il Credo di chi Crede in chi viene dal niente con i pronostici contro e un fuoco dentro, accompagnato dall’ottima band composta da Andrea Faccioli e Riccardo Onori alle chitarre, Niccolò Fornabaio alla batteria, Clara Rigoletti alle tastiere e al violino, Carlo Maria Troller al basso.
La scaletta è una delle migliori proposte nella sua carriera: un viaggio che va dai pezzi storici come “Cara catastrofe” e “Per combattere l’acne”, passando per i primi fuochi di “Piromani”, fino ai lampi di “A forma di fulmine” che richiamano quelli de “I Sonic Youth”.
C’è addirittura lo spazio per una cover, quello che il cantautore definisce “un autosabotaggio”: “Cosa sarà” di Dalla e De Gregori.
L’ho ascoltata tantissimo mentre ascoltavo il disco. Non posso decidere cosa fare, ma solo le cose inevitabili.
Nell’incanto della sua melodia, si intravede un Vasco Brondi che si distacca dall’ira e dalla narrazione dei turbamenti esistenziali rivelati nei primi passi della sua carriera, per volgere la sua attenta osservazione verso orizzonti più vasti della società che lo avvolge.
I fuochi che ci portiamo dentro possono bruciare ma possono propagare luce e calore. Schiarire i tempi bui.
Tempi che non sono da vivere con rassegnazione, ma fiduciosamente. È questo il messaggio di “Un segno di vita” che non esita a evocare i primi segni di rinascita a Hiroshima dopo la bomba atomica, i fiori che crescono nel deserto, la pioggia che cancella le strade o la pianura spoglia destinata a rifiorire in un rigoglioso bosco.
Vasco Brondi sul palco ha una disinvoltura quasi inedita: si muove sciamanico, si lascia trasportare e ci trasporta.
Prende per mano il suo pubblico, caldissimo e affezionato, e lo conduce in un percorso quasi mistico, recitando poesie, raccontando aneddoti e filosofando.
Ti offro qualsiasi intuizione sia nei miei libri, qualsiasi virilità o vita umana. Ti offro la lealtà di un uomo che non è mai stato leale.
È quasi una dichiarazione di intenti quella che Vasco recita citando Borges, offrendosi a noi in una nuova forma musicale, ma in qualche modo sempre fedele ai suoi temi.
C’è sempre l’eco della provincia che lo ha generato e segnato: La noia è la soglia delle grandi cose, è una grande fortuna crescere in un posto in cui ci si annoia moltissimo.
E la nostalgia del passato, ma con un’ironia matura e tenera: Erano altri tempi…invece di Beyoncé c’erano i System of a down. Erano altri tempi. Chi avrebbe detto che li avremmo rimpianti.
Sul finale dello show, Largo Venue è stato avvolto da un’energia quasi tribale, con Vasco Brondi che si è mischiato tra il pubblico per ballare e gridare insieme a squarciagola lo struggente segreto di “Nel profondo Veneto”, a ricordarci, in fondo, quella che ci sembra la fine a volte è solo il segno di una nuova vita.
Report a cura di Chiara Di Sante
Foto di Alise Blandini
La scaletta:
Illumina tutto
Le ragazze stanno bene
Meccanismi
Qui
Fuoco dentro
Incendio
La Terra, l’Emilia, la Luna
Fuori città
40km
Cara catastrofe
Quando tornerai dall’estero
Macbeth nella nebbia
I Sonic Youth
La stagione buona
Cosa sarà (cover di Lucio Dalla)
I destini generali
Chakra
Per combattere l’acne
Piromani
Mistica
A forma di fulmine
Un segno di vita
Nel profondo Veneto