Dopo sei anni da Modern Vampires of the City, i Vampire Weekend tornano con l’album doppio Father of the Bride, un lavoro di diciotto brani che prende vita attraverso numerose sfaccettature. Il leader Ezra Koenig è cresciuto, non rinnegando i tempi di Oxford Comma, ma aggiornando temi e sonorità all’età della disillusione.
Father of the Bride è un’opera sui cambiamenti nella vita di Koenig e in quella della band, orfana del tastierista Rostman Batmanglij (che qui collabora in alcuni brani). Dalla nativa New York, dove, tra le aule della Columbia University si formarono i Vampire Weekend, Koenig si è spostato nell’assolata California. Questo passaggio è riscontrabile in sonorità libere dalle costrizioni urbane di New York e più vicine ai colori brillanti dalla West Coast. Koenig non si è però lasciato alle spalle il tono pessimista maturato in Modern Vampires of the City: la vita losangelina è dipinta in How Long? in cui il cantante si sente smarrito nella sconfinata Sunset Boulevard.
Getting to the top
Wasn’t supposed to be this hard
The house is on Mulholland Drive
The car’s on Sunset Boulevard
The registration’s here with me
But neither of us has the key
We can live down in the flats
The hills will fall eventually
How long till we fall to the bottom of the sea? Domanda Koenig. Il brano si accosta a Los Ageless di St Vincent, dove la musicista analizzava le dualità della city of stars: How can anybody have you and lose you and not lose their minds, too?.
Isolando i pezzi Hold You Now, Married in a Gold Rush e We Belong Together, il quarto album dei Vampire Weekend assume le sembianze di un concept sulla difficoltà di stabilire una relazione duratura nel caos che ci circonda. Koenig e Danielle Haim (leader della band pop-rock Haim) diventano i protagonisti di questa storia parallela.
Leaving on your wedding day, all calm and dressed in white
All I’ll keep’s the memory of one last crooked night
The pews are getting filled up, the organ’s playing loud
I can’t carry you forever, but I can hold you now
In Hold You Now i musicisti cantano l’impossibilità di guardare al futuro, perché ciò che li aspetta è nascosto dietro a una coltre di nuvole. Married in a Gold Rush, continua su una linea simile, mentre We Belong Together conclude la parabola positivamente: anche se sostanzialmente diversi (come Keats e Yeats, suggerisce il testo) i due si appartengono.
Father of The Bride può anche essere letto come un viaggio influenzato dai grandi autori americani: c’è qualcosa del Dylan di Don’t Think Twice It’s All Right in Hold You Now, Springsteen è presente nelle parole di Married in a Gold Rush (“I just wanna go out tonight and make my baby proud”) e il piano di My Mistake rimanda al Randy Newman di Sail Away. La California psichedelica dei Grateful Dead arriva in Sunflower (scritta con Steve Lacy) e culmina in Sympathy, dove chitarre dal sapore messicano, confluiscono in un affascinante caos sonoro.
La visione negativa del primo singolo Harmony Hall (“But every time a problem ends, another one begins”) prosegue nei testi di Bambina (“I’ll see you when the violence ends for now, ciao ciao, Bambina”) e Stranger (“Things have never been stranger, things are gonna stay strange”). Nella slide guitar di Big Blue, Koenig trova un momento di riappacificazione grazie al blu del titolo che però rimane dai contorni indefiniti: potrebbe essere quello dell’oceano, del cielo o un blu simbolico.
L’album si conclude con Jerusalem, New York, Berlin dove Koenig rivisita le sue radici religiose ebraiche:
A hundred years or more
It feels like such a dream
An endless conversation since 1917
Now the battery is too hot
It’s burning up in its tray
Young marriages are melting
And dying where they lay
Father of the Bride vive quindi su numerosi livelli: è un viaggio attraverso i tempi moderni, un canto sulle sfumature della vita e una giustapposizione tra due città simbolo degli Stati Uniti e importanti nella vita di Koenig, l’irreale L.A. e la più verosimile New York. Non sarà il Blonde on Blonde e neanche il London Calling della nostra generazione, ma nel loro quarto album i Vampire Weekend ci hanno regalato un universo sonoro in cui perdersi, ritrovarsi e forse smarrirsi nuovamente. In questa costellazione di idee, il nostro naufragare nella musica è quanto di più piacevole esista.