L’universo di Simenon spiegato in un alfabeto a fumetti

Come si racconta un grande maestro della letteratura a chi non è mai entrato in contatto con le sue opere? Magari a un bambino o a un giovane adulto diffidente nei confronti dei classici. Oppure a chi abbia già letto tutti i suoi libri e si sia avvicinato alla critica, tanto da poter essere considerato quasi uno studioso della materia.
Alberto Schiavone e Maurizio Lacavalla hanno pensato di portare i lettori di ogni genere ed età sul pianeta di Georges Simenon grazie a un volume a fumetti che intreccia le vicende biografiche alle trame dei suoi capolavori. Da questa idea è nato Alfabeto Simenon, una graphic novel pubblicata da Edizioni BD con una postfazione del giornalista de La Stampa Bruno Gambarotta, uno dei massimi esperti viventi di Georges Simenon, che racconta dell’incontro con l’autore nella sua casa di Losanna nel 1963 durante un servizio televisivo. In questo alfabeto ricco di spunti sia per gli specialisti che per i principianti risiede l’identità di uno scrittore che non solo è riuscito ad appassionare milioni di persone ai suoi romanzi, ma che soprattutto ha creato un vero e proprio mondo sostenuto da personaggi impossibili da scordare. Per scoprire dalla A alla Z Alfabeto Simenon abbiamo parlato con l’autore Alberto Schiavone e l’illustratore Maurizio Lacavalla che ci hanno svelato la genesi del progetto.

Alfabeto Simenon raccoglie l’intero universo di Georges Simenon, composto sia dalle vicende biografiche che da quelle legate alla produzione letteraria. Come è nata l’idea di portare entrambe le dimensioni all’interno di un volume a fumetti?

Alberto Schiavone: Georges Simenon è stato il primo e più bravo biografo di se medesimo. Avevamo la necessità di lavorare su un campo più lungo, se vogliamo non lineare e disordinato, ma capace di suggestionare il devoto come il lettore che per la prima volta si avvicina a un mondo così complesso.

Maurizio Lacavalla: Qui idea e merito vanno ad Alberto. Io l’ho seguito senza esitare, mi sembrava un approccio coraggioso e adatto al personaggio. Ventisei capitoli strutturati così sono anche una scelta complessa, il lavoro di Alberto è stato enorme, enciclopedico, poetico e carnale.

La struttura del libro ricalca quella di un dizionario: ventisei lettere per altrettanti capitoli che descrivono allo stesso modo i personaggi della sfera privata e dell’immaginario narrativo del celebre romanziere belga. Tra queste pagine troviamo Tony e Andrée, gli amanti de La camera azzurra, le sorelle Marie e Odile de La Marie del porto, ma anche Denyse Oumet e tutte le altre donne che hanno riempito i suoi pensieri e infiammato le camere da letto di case e hotel. Realtà e immaginazione sono inseparabili per il padre del commissario Maigret?

AS: Simenon è un uomo che si è nutrito e ha trasportato nei libri soprattutto ossessioni. Donne, amori, soldi, antipatia, viaggi, voglia di fuga. Tanto di tutto. La sua vita basterebbe per essere raccontata. Eppure lui ha aggiunto i romanzi, ha aggiunto i personaggi, le storie. La sua vita non gli bastava. L’insofferenza come altra ossessione.

ML: Immagino che scrivere per quindici giorni consecutivi nel proprio studio partendo da nomi reali trovati su un elenco telefonico porti ad uno scompenso fra realtà e finzione. Secondo me è anche uno degli intenti di questo libro, avere un piede nel romanzo e uno nella vita, fino a confonderli.

Simenon, a differenza di altri intellettuali della stessa epoca, non fa parte di una scena perché rappresenta un unicum nel suo genere. Qual è l’episodio legato alla sua biografia personale che vi ha maggiormente colpito?

AS: Su questa direzione certamente il rapporto con Andrè Gide. In lui trova un confidente, un amico, ma soprattutto l’unico chiavistello per il mondo delle lettere pregiato che di lui non si curava e mai si curerà abbastanza. La famosissima frase con cui liquida il suo atteggiamento di lettore nei confronti di Gide è materia per psicoanalisti: “Ho tentato di leggere Gide, non ci sono mai riuscito”.

ML: A Bologna Alberto mi ha fatto leggere le prime pagine di Memorie Intime. Simenon inizia a raccontare la “scena del crimine” del suicidio di Marie-Jo, la figlia. Sembra l’incipit di un poliziesco, di un Maigret. Ci sono i nastri, c’è la polizia. Poi bastano tre righe per abbattere questa finzione e sentire sotto le dita la carne di Simenon che cede al dolore. Sulla strada del ritorno, ho pianto per via Murri. Non per il suicidio di una giovane donna ma per quell’umanità disarmante che aveva portato Georges a imbastire una fallimentare finzione intorno alla tragedia in quelle poche pagine iniziali. Lo sentivo molto vicino e mi ha sconvolto. Memorie Intime non l’ho ancora letto tutto.
L’altro dettaglio simenoniano che mi è entrato in circolo è “l’état de roman”, quel periodo sciamanico di quindici giorni che dedicava alla stesura di un romanzo. Per tanti motivi, ho passato quasi tutta la lavorazione dei definitivi chiuso in una stanza e per vivere quei giorni in maniera più serena ho fatto un po’ finta di essere lui. Ha funzionato e, a volte, ne ho quasi nostalgia.

Com’è stato lavorare a quattro mani a quest’opera? Chi è stato dei due a coinvolgere l’altro nel progetto?

AS: L’idea parte da me, la casa editrice mi ha mostrato alcuni disegnatori che potevano andare bene. Subito ho chiesto di Maurizio Lacavalla, subito Maurizio si è detto interessato. Abbiamo poi passato dei giorni insieme a Bologna, un brain storming o una sbronza intellettuale. Ho passato a Maurizio la mia idea di libro, lui l’ha raccolta, l’ha fatta sua, è diventato a tutti gli effetti autore del libro come me. Ci siamo confrontati molto in questi mesi, un lusso per chi lavora su piani differenti e soprattutto un lusso in un periodo come questo. Sono stato molto fortunato a trovare lui per questo libro così impegnativo.

ML: Alberto mi ha chiamato ed è arrivato a Bologna per raccontarmi il suo Simenon. Poi ci siamo salutati e dopo ventiquattrore è iniziato il primo lockdown. Abbiamo lavorato a distanza con una grande chimica, tutto è sempre stato fluido e naturale. Nonostante le mail, tutto molto organico. L’amore e la passione di Alberto per Simenon sono materiale lavico, ci ho lavorato con immenso piacere e coinvolgimento.

Qual è stato il momento più complicato e quale quello più divertente durante la stesura della graphic novel?

AS: Sicuramente dopo l’estate abbiamo iniziato ad avere all’orizzonte la scadenza delle consegne, la data di uscita, e tutte le ansie che questo può comprendere. Maurizio ha dovuto accelerare sulla consegna di alcune tavole, gli abbiamo chiesto un grosso sforzo e lui ci ha ripagato con un grande lavoro, rispettando tempi e mantenendo qualità. Il momento divertente è sempre stato quando Maurizio mi mandava le tavole e io le commentavo velocemente, a volte con battute che probabilmente lo irritavano ma che insieme lo stimolavano. Certamente il primo incontro cui accennavo sopra ha contribuito a potersi permettere una confidenza autoriale che altrimenti sarebbe stata difficile. Ricordo che su una vignetta che ritraeva Simenon gli avevo scritto “sembra il Re Sole!” e lui mi aveva risposto con una risata, probabilmente se fossi stato lì presente invece mi avrebbe mandato a quel paese.

ML: Tutta la lavorazione è stata complicata. È il bello. Quello che viene dopo è il divertimento.

Perché la scelta di utilizzare il bianco e nero per le illustrazioni?

AS: Georges Simenon è legato a un immaginario arcaico, universale, nostalgico anche se privo di rimpianto. I suoi personaggi si muovono in atmofere rarefatte, sempre uguali, solide. Opere di Giacometti, sogni, incubi. Non potevamo che virare su un bianco e nero, e quello di Maurizio si prestava bene. Così sporco, così grasso, così evocativo.

ML: Lavoro spesso in bianco e nero e amo la resa che ha. Per Simenon ho pensato senza esitazioni fosse la scelta giusta. La nebbia che sale dai canali, le ombre dei vicoli, la luce bassa delle taverne, i fumi delle navi e della pipa.

Ci sono fumetti o illustratori che hanno ispirato Maurizio durante la realizzazione dei disegni?

ML: Nella prima parte della lavorazione e nell’ultima, i due momenti passati a Bologna, mi sono trovato a dover smantellare la libreria di una persona defunta appassionata di fumetti. Ho passato pomeriggi a sfogliare volumi datati ma ancora oggi bellissimi. Da Pratt a Breccia, passando per Corben, che già conoscevo molto bene ma che una volta ogni tanto vanno rispolverati per innamorarsene di nuovo.
Poi ho trovato anche molti poster di un artista polacco degli anni 70, sempre conservati in questa casa a ricordo di un viaggio di gioventù. Lui è Jerzy Czerniawski e le stampe che ho recuperato erano lavorate con l’aerografo (uno spray o qualcosa di simile) e ho capito che c’era affinità, che fino a quel momento avevo preso una strada giusta. Mi ha aiutato a chiudere il libro.
Per il resto devo necessariamente citare Nihei, Miller e Burns.

Quello che salta all’occhio sfogliando queste pagine sono le ombre che inghiottono le figure disegnate. Quanto c’è ancora di torpido e di inesplorato nella narrativa di Simenon?

AS: Niente, è un autore così presente, così sempre attuale, che nessuna opera si può ormai vantare di scoprire qualcosa di nuovo. Noi abbiamo voluto offrire un’angolazione diversa, delle immagini dello scrittore forse più “cinematografico” che ci sia. Una sfida, forse.

ML: Ci ho pensato quando ho disegnato l’ultima tavola, ovvero la prima del libro – l’inizio di Alias.
È un Simenon completamente in ombra, una sagoma che è una matrioska.
Mi piaceva l’idea di una persona riconoscibile subito da lontano – la pipa, il cappello- ma più ti avvicini più sprofondi in un abisso di personaggi e turbamenti.

Trattandosi di un alfabeto ci sono diversi modi per leggere questo libro?

AS: Certamente si può leggere saltando capitoli, improvvisando. Forse è il modo migliore. Eppure la A di Alias porta dentro un mondo che porta dentro un altro che a sua volta conduce a dopo. Senza volerlo, e senza cronologia, abbiamo costruito la nostra idea di Simenon.

ML: Io penso di sì. Penso sia un oggetto, come spesso lo presenta Alberto, che è malleabile e si presta a giochi di lettura, inversioni di rotta e curve a gomito. Lo apri e leggi un capitolo. Lo chiudi e lo apri di nuovo – ne leggi un altro.
Forse l’importante è leggerlo quando il sole tramonta.

A chi consigliereste la lettura di Alfabeto Simenon?

AS: Un libro, un oggetto, che un simenoniano deve avere. Senza dubbio, senza finta modestia. Un libro altresì che può essere letto da chi è interessato alle grandi biografie, alla letteratura, al narrare. Ai bei disegni. Insomma, io lo consiglio a quasi tutti, però ammetto di essere un poco, ma un poco, di parte.

ML: A tutti, anche ai mestieranti della scrittura e del disegno. Penso che, oltre alle storie incredibili, ci siano anche importanti lezioni. Io ho imparato molto leggendolo, e poi disegnandolo.

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