“Certo che mi sento tradita dal M5S. Per due anni con loro abbiamo condiviso un percorso, un testo, riga per riga di quello che c’era scritto lì dentro; siamo arrivati alla quarta versione del mio testo, limato, fatto in modo che andasse bene a tutti. Il 16 (febbraio ndr) si è entrati in Aula e 15 minuti prima mi è venuto a mancare un pezzo fondamentale”. Le parole di frustrazione pronunciate da Monica Cirinnà, ospite di Agorà (Rai3), riassumono perché l’approvazione in Senato del disegno di legge che porta il suo nome rappresenta una vittoria di Pirro.
Ricapitolando: il 23 gennaio la manifestazione #Svegliatitalia, con un milione di persone in quasi 100 piazze italiane (stime dell’Arcigay), sembra dare l’immagine di un Paese che è pronto per questa legge. Il 28 gennaio, a soli due giorni dal Family Day, il testo sulle unioni civili varca per la prima volta le soglie di Palazzo Madama. La discussione è rinviata al 2 febbraio, dopo che l’assemblea respinge le questioni pregiudiziali di costituzionalità. Il 30 gennaio si tiene presso il Circo Massimo di Roma la contro-manifestazione in favore della famiglia tradizionale, organizzata dal comitato “Difendiamo i nostri figli”, che vede una partecipazione decisamente notevole; qui e qui alcuni momenti memorabili.
A partire dall’11 febbraio comincia la via crucis del ddl e il clima in Senato comincia a farsi molto teso: il punto di maggiore criticità è costituito dall’articolo 5, quello riguardante l’impronunciabile “stepchild adoption”, ovvero la possibilità di adottare il figlio del proprio partner. A contrastarlo, non solo le forze cattoliche dell’opposizione e dei centristi ma anche alcune frange dello stesso PD. Di colpo, di fronte all’incertezza dei democratici, il M5S decide di adottare per la prima volta la libertà di coscienza. La maggioranza comincia a vacillare e quello che sembrava possibile diventa un miraggio. Ricordiamo che la Lega aveva presentato circa 5mila emendamenti alla legge (ridotti poi a 500), motivo per il quale si decide di fare ricorso al “canguro”, una sorta di scorciatoia per evitare la discussione di ciascun emendamento. Le coup de théâtre arriva quando il 16 febbraio, a soli venti minuti dalla votazione in Senato, i senatori pentastellati dichiarano che non voteranno il canguro perché anticostituzionale e antidemocratico. Da qui, il resto è storia. Renzi accusa i grillini di strumentalizzazioni politiche e annuncia di essere disposto a porre la fiducia sul governo. Il PD, in tutta la sua debolezza, si lancia nelle braccia fatali di Alfano e Verdini e riesce a far approvare il testo in senato con 173 sì, 71 no e nessuna astensione. Il prezzo da pagare è alto: eliminazione della stepchild adoption e di qualsiasi riferimento che possa far somigliare l’unione civile all’istituto del matrimonio (non c’è obbligo di fedeltà e lo scioglimento dell’unione è possibile entro tre mesi).
“E’ stato un bel regalo all’Italia avere impedito che due persone dello stesso sesso, cui lo impedisce la natura, avessero la possibilità di avere un figlio. Abbiamo impedito una rivoluzione contro-natura e antropologica” commenta orgoglioso Angelino. E ora chi glielo dice che non esiste niente che sia contro-natura e che tutto ciò che esiste è parte della natura stessa? Ha vinto lui, che ha ottenuto esattamente tutto ciò che chiedeva; ha vinto Renzi, che ha finalmente portato a casa (davanti all’Europa) la riforma sulle unioni civili che prometteva dal 2013; ha vinto Grillo, che ha mantenuto la sua coerenza; ha vinto Monica Cirinnà, che adesso promette di completare l’opera con un nuovo ddl sulle adozioni già pronto sul piatto; hanno vinto le tante coppie omosessuali o eterosessuali, che vedranno riconosciuti per la prima volta in Italia tutti i diritti finora negati (pensione di reversibilità, diritto all’eredità, obbligo di assistenza morale e materiale, per citarne alcuni); hanno perso le famiglie (che esistono già in natura) con due mamme o due papà, che non avranno alcun riconoscimento giuridico; ha perso la politica, che non ha avuto rappresentanti né nella debolezza colpevole del Partito Democratico né nell’assenza totale di pragmatismo del Movimento 5 Stelle.