“Ch’io sia fucilato: servirà a chiarire anche moralmente la mia lotta, la lotta di chiunque si opponga all’immondo regime che oggi schiaccia la Grecia.”
Ogni storia ha la sua consistenza, le sue conseguenze, le sue sfumature. Ogni storia compie la sua magia, modellando pensieri e intelletti. Tra i capolavori assoluti non fiction (fanatici del genere a me gli occhi) che dovremmo proprio leggere ce n’è uno prodotto in casa nostra, scritto dalla giornalista e scrittrice che l’America ci invidiava (volevano l’esclusiva per il Washington Post), mentre gli ambienti bene del Paese la consideravano fuori di testa. Parliamo di Un Uomo di Oriana Fallaci, best-seller mondiale pubblicato nel 1979 e che vende subito 3 milioni e mezzo di copie. Racconta insieme il coraggio di un ragazzo che si è battuto per l’indipendenza e la dignità della Grecia, un amore e la sua perdita: un libro che non ha eguali per portata storica, sociale, politica ed emotiva.
L’uomo in questione è Alexandros Panagulis, per gli amici Alekos, un greco (il fratello, Stathis Panagulis, è stato deputato del parlamento greco eletto con Syriza) che nel 1968 progetta e fallisce l’attentato al dittatore Papadopoulos. Viene arrestato, torturato, condannato a morte e poi all’ergastolo, fino alla liberazione per una mobilitazione dell’opinione pubblica. Rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Boiati, in una celletta di cemento di un metro e mezzo per tre costruita apposta per lui, riesce a non impazzire facendo appello alla sua forza e alla sua disciplina morale. Scrive sui muri, col sangue, a volte gli concedono carta e matite. La prigionia lo segna, lo marchia a vita. Anche da libero, tra il 1973 e il 1976, non smette di impegnarsi in politica. I servizi segreti lo eliminano nel maggio del 1976, simulando un incidente stradale, ma le indagini accertano che l’auto di Panagulis è stata spintonata. Il giorno dopo l’eroe della resistenza greca avrebbe reso noti alcuni documenti riservati e scomodi per molti uomini di potere. Gli sigillano la bocca prima che possa farlo. Alekos è stato anzitutto un poeta. Componeva poesie ed era abituato a pensare con la propria testa. “Il suo coraggio, la sua onestà erano la conseguenza del suo estro, della sua creatività, della sua sensibilità. Definirlo un politico o un eroe sarebbe semplicistico” diceva Oriana Fallaci a chi le domandava di lui.
Un uomo si apre con il funerale di Alekos, segue la ricostruzione dell’attentato fallito, dell’arresto, delle sevizie fisiche e psicologiche (dettagliatissime e sconsigliate ai deboli di stomaco), dei tentativi di Panagulis di risparmiare energie, di avere la meglio sul tempo, sulle mostruosità, sul dolore spaventoso, inumano. Cinque anni di persecuzioni. Poi, la liberazione, l’incontro con Oriana, la loro relazione privata ma pure pubblica, fino alla morte di Alekos.
Oriana scrive Un uomo per elaborare un lutto lacerante e soprattutto per avere la meglio sulla morte, consegnando all’immaginario e alla memoria collettiva (valori per lei fondanti) l’epopea di un combattente moderno, di un impavido che ha creduto nella libertà più che in qualunque altro valore. Alekos stesso comincia a scrivere le sue memorie, ma non le completa. Ricordare gli fa male, si arrende e affida ad Oriana il compito di raccontare: “Questo libro lo scriverai tu” le dice. La prigionia di Alekos è ricostruita con perizia e meticolosità. Oriana si fa persino chiudere nella cella di Boiati per vedere con i suoi occhi, per accorgersi come sia facile perdere la ragione in uno spazio angusto persino per un gallina. La durezza e la drammaticità della prima parte del libro sfumano nella dolcezza e nella malinconia del racconto del sentimento che lega Alekos e Oriana.
“Mi ricordi un frate brasiliano, Alekos”. “Padre Tito de Alencar Lima”. “Come lo sai?!”. “Lo so. Conosco la tua lettera, quella che pubblicasti. Speravo che facessi la medesima cosa per me”. “Non ho mai fatto nulla per te”. “Non importa. Ora sei qui”. Posasti la pipa, mi afferrasti entrambe le mani, le stringesti forte bucandomi gli occhi con gli occhi. “Sei qui, ci siamo trovati”
Si conoscono ad Atene, nel 1973, il 23 Agosto. Oriana deve intervistare Alekos per l’Europeo. Alekos ha sentito parlare di Oriana, la legge, ha alcuni dei suoi libri tradotti in greco. Oriana, da parte sua, riconosce in questo trentaquattrenne tutti i suoi ideali: il senso della giustizia, il coraggio, l’irriverenza. Cerca di alleviargli l’angoscia, lo conduce in Italia, tra Roma e la Toscana, nel casale dei genitori. Eppure, distoglierlo dai pensieri, dai ricordi, dalla politica è un’impresa persa in partenza. In Italia Alekos, grazie all’impegno di Oriana, pubblica la raccolta di poesie Vi scrivo da un carcere in Grecia, introduzione di Pier Paolo Pasolini.
L’intesa elettiva tra Oriana e Alekos, però, fa a pugni con la quotidianità, con gli spazi condivisi, con l’incapacità di entrambi di limitare il loro ego. Si separano e iniziano a vedersi meno, ma non interrompono la loro relazione, fino al drammatico epilogo. Con l’omicidio, Oriana non ha altra scelta: deve scrivere, deve dire. Quando inizia a lavorare ad Un Uomo sua madre è malata. Ben presto, al dolore per la morte del compagno, come scrive Cristina De Stefano nella biografia della Fallaci Oriana – Una donna, si aggiunge quello per la morte della donna più importante della sua vita. Oriana si chiude nella sua casa in Toscana. Se non è accanto alla madre, è in una stanza a scrivere. Nel 1977 si dimette dall’Europeo e si dedica solo ai libri. Il lavoro per Un uomo la assorbe per anni, lo riscriverà cinque volte, donandoci un libro intenso, sofferto, ineguagliabile. Un classico inclassificabile.
“Peccato, mi sarebbe piaciuto diventare vecchio, togliermi quella curiosità.”