Un poeta perduto

Di Gianni Scognamiglio si sa poco. Di tanto in tanto le sue tracce appaiono qua e là dentro a uno scritto, ci si incappa per caso. “Di lui, della sua breve dolorosa vita, nulla è rimasto, tranne che i pochi versi e i pochi articoli pubblicati su Sud”, così lo ricorda La Capria in uno dei ritratti di Napolitan Graffiti. Il “maledetto” Scognamiglio era tra le cellule fondanti del gruppo primordiale della rivista napoletana «Sud», esperienza che durò pochissimo, un lampo bianco di sette numeri pubblicati tra il 1945 e il 1947. I suoi versi di poeta dei bordi sono pressoché introvabili, eppure gli aneddoti sul suo conto si rincorrono per bocche e narratori di carta. Da qualche parte si narra che il verso “io me ne vado per sempre da questa città ove il mare è scomparso” abbia ispirato Anna Maria Ortese per il titolo “Il mare non bagna Napoli” – là dove Scognamiglio compare con il cognome materno di Gaedkens. Un italo-tedesco che scriveva poesie “moderne e allucinate” – così lo raccontava Anna Maria Ortese, che però non era sempre benevola nei suoi confronti. La figura di Gaedkens è sfumata come una traccia di cenere nella polvere.

Il mare che scompare è il segno di una perdita irreparabile, di una perdita di forza morale, di fiducia in sé stessi, di pietà, di futuro” – scrive Ermanno Rea a proposito di quei versi che ispirarono l’immagine del mare che non bagna la terra. Il romanzo è Mistero Napoletano, il mistero è quello del suicidio di Francesca Spada, l’indagine una traversata di Napoli. E di tanto in tanto anche tra le pagine del romanzo di Rea compare la figura sfuggente di Scognamiglio/Gaedkens, descritto come un genio bruciato da una precoce e devastante follia, alle prese con la scrittura di poemi che lui confida un giorno verranno musicati da Stravinskij. Non accadrà. Stravinskij non avrebbe mai musicato nemmeno un verso di Scognamiglio; e Gaedkens morirà emarginato, perduto nella sua storia schizzata. È dunque difficile trovare i versi di Gianni Scognamiglio; tanto che ci si domanderà ma come saranno poi queste sue poesie; e la sua storia di poeta sarà mica tutto il frutto di un bluff di narrazioni incrociate – di un’allucinazione polifonica –, o la voce del poeta perduto avrà avuto davvero qualcosa di premonitore da dire prima di eclissarsi alla maniera di Rimbaud. E ancora, dove lo andiamo a trovare il Gaedkens?, per quali vicoli nascosti dobbiamo risalire per sentire qualche suo verso.

A scavare si trova poco, materiale rarefatto. Un numero monografico dedicato a Scognamiglio dalla rivista Secondo Tempo. O quel tentativo di recuperare Sud a inizio Duemila, quando viene pubblicata la nuova guardia di Sud, che nel numero zero, ripercorrendo le origini della rivista fondata da Pasquale Prunas, lascia spazio pure a una poesia di Gianni Scognamiglio. Nei versi di “Al gruppo Sud” Neapolis è una città che non si può amare, ma soltanto fottere; troia e regina; “ditemi” – scrive il Gaedkens – “dunque se l’allodola un giorno / canterà alle bianche terrazze e agli orizzonti / di questo mare come una latrina / se i gufi spariranno con la notte”. Eccolo il poeta perduto che finalmente ci appare e canta per voce sua, che si fa ascoltare per frammenti e incandescenze. Nei radi versi di Scognamiglio sembra di sentire un’ipotesi di illuminazione e collasso poetico. Lo scatafascio dei maledetti, la mancanza d’aria di Aleksandr Blok, i nervi bruciati, le visioni azzurre. Scognamiglio scrive e canta – “Il nostro canto non vive più” –, si riaggrappa con le mani e le ginocchia alla nuda oralità delle parole, s’alza, latra e se ne va a passeggio controcorrente tra le strade deserte e incendiarie del Corazzini che scriveva “Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.”. Sarebbe bello allora se un giorno (per tenere traccia delle parole perse, per ritrovarle nel mare di parole) – venisse fuori una breve antologia di pagine bianche e versi di Scognamiglio-Gaedkens.

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