È stato tutto deciso con un fax. Un metodo un po’ vigliacco per comunicare ai giornalisti de “Il Manifesto” che gli investitori hanno deciso la cessazione dell’attività e che quindi il giornale deve chiudere. Una storia triste che potrebbe essere facilmente bollata come un “non sono stati bravi ad interpretare i tempi di oggi”, “non si sono adeguati ai tempi”, “i loro trentatré lettori saranno tristi”, e compagnia cantando.
Partendo dall’assunto che sono tutte sciocchezze, vi spiego perché Il Manifesto sta chiudendo e non chiudono riviste sicuramente più di nicchia quali “Camminare” (se cercate scoprirete che esiste davvero), anzi ve lo faccio spiegare da Alessandro Robecchi che con un trafiletto, apparso proprio su Il Manifesto del 13 maggio scorso, ha scritto: “Noi, rinunciando alla nostra natura di rivoluzionari, abbiamo fatto tutto secondo la legge. Non abbiamo barattato qualche milioncino di euro con favori compiacenti, né ci hanno intercettato come il signor Lavitola mentre chiedevamo al presidente del consiglio Berlusconi buon’anima un po’ di soldi per l’Avanti!, per dire. E nemmeno siamo andati a vendere elicotteri a Panama caldeggiando tangenti per ungere questo o quel presidente centroamericano. Abbiamo dimostrato così di non capire la complessità del presente. Noi non abbiamo messo a bilancio, come il prestigioso foglio la Discussione, un’Audi A8 del valore di 99.000 euro, con cui pagheremmo quasi cento stipendi.” (qui)
Pare proprio che lo storico quotidiano comunista, fondato nel ’69 poco dopo i movimenti studenteschi dell’anno precedente, chiuda i battenti per una questione di vendite. È chiaramente una disfatta quella di essere sconfitti dalle leggi di mercato per chi, il mercato, voleva proprio cambiarlo.
Quello che mi chiedo in proposito, e che sotto sotto mi auguro, non è che dietro a questa chiusura non possa nascondersi un deciso colpo di reni (visti i tempi di crisi) e una rinascita ancora più forte per l’unico giornale che ha ancora la saggezza di definirsi “quotidiano comunista”? Molti rideranno, storceranno i baffi, saliranno nella propria cattedra mentale e si diranno che sono cose superate nonostante il Capitale (o più semplicemente il manifesto del partito comunista) non l’abbiano mai letto.
La più grande eredità storica lasciataci da Marx è quella di leggere il mondo attraverso gli occhiali del materialismo storico, della lotta di classe (prima che ridiate vi segnalo questo libro) e della struttura economica che condiziona la sovrastruttura: ora che il debito ci mangia in testa sfiorando i duemilamiliardi di euro e che questo condiziona le nostre vite, dal lavoro alla semplice spesa al supermarket, io non riderei troppo della scomparsa di un quotidiano che mantiene un punto di vista dichiaratamente “altro”.
Ho sottolineato quella parola proprio per rimarcare la gravità della scomparsa di chi quotidianamente si dichiara di questa o quella corrente, che sia essa anarchica, socialista, comunista o altro in contrapposizione aperta a parole vuote quali “Democratico” o “Liberale”.
P.S.: Liberale non è una parola vuota quando ci si riferisce alla tradizione giuridica da cui viene, bensì lo è quando è riferita all’attuale politica economica dominante che andrebbe chiamate “Neoliberismo” e non liberalismo;
P.P.S.: Ammettiamolo quando uno dice “sono un democratico” non sta dicendo niente, la dittatura in occidente la vedo difficile: anche Berlusconi e Monti sono “democratici”.