L’ultimo giorno della mia vita felice, V

Illustrazioni a cura di CO:MA

V. Sara, piano zero

“Promettimi che non cambierai, io non lo farò.”

“Sara non pensare a queste cose c’è sempre il treno.”

“E rispondi a quel cellulare. Non hai niente di meglio da fare.”

“Te lo prometto ma non farla così tragica.”

“Me l’ha detto la Martina come vanno a finire queste cose. Uno poi si perde di vista e lancia alle ortiche tutto quello che ha costruito.”

“Abbiamo venticinque anni Cristo.”

“E allora? Forse non dobbiamo pensare al futuro? Sei alla fine delle cazzate, prima o poi dovrai capirlo.”

Mi piaceva discutere con lei, soprattutto dopo una bella scopata e appoggiare la mia testa su quel seno strabordante e vederlo muoversi con più gusto di quando ci provavo io. Farmi solleticare dall’elettricità scatenata dalla sua pelle e farmi rizzare i peli della barba mentre le sorvolavo quelle punte come antenne irrobustite dalla stizza con cui prendeva le mie risposte sempre vaghe. Non sono sicuro se ne accorgesse, ma non le sfuggiva mai nulla, col cellulare sempre in mano e la vita stretta nell’altro pugno. Aveva previsto tutto e io ero troppo debole per non accettare come andavano le cose. Una tabella di marcia come una spada di Damocle sui miei testicoli e la mia eredità genetica. Controllavo sempre il blister della pillola quando se ne andava in bagno, per evitare che mi facesse un brutto scherzo. Ma, sicuramente, lo aveva previsto e se l’avesse voluto fare avrebbe lasciato fuori la pillola corrispondente per comprovare quella sua logica inattaccabile. Quanto le piaceva avere ragione, forse più di quanto il mio cazzo non facesse. Dopotutto doveva sapere quali erano i doveri per incastrarmi. Avere ragione, un po’ come i miei genitori quando mi comparavano a quello stronzo di mio fratello. Il genio fuori di casa da quando aveva dodici anni e, io, più vecchio ancora mi facevo mantenere. Non fossero stati avvocati, forse, avrebbero già provato a diseredarmi. Santo il diritto forense e la disillusione sulle possibilità di vittoria. Adesso, però, avevo creato un precedente.

“Saresti dovuta nascere maschio” Le ripetevo spesso, e la sua risposta aveva sempre a che fare con la mia virilità. Si capisce così tanto quello che sei dalle persone che frequenti, non tanto per l’estrazione sociale, che mi avrebbero preso per una fighettina dei colli vista la razza di gente che conoscevo, ma qualcosa di più interiore. Il padrone di Beethoven. Me l’avevano detto davvero. Quello che si fa trascinare da una parte all’altra dello schermo e poi perdona sempre tutto e non può che starti sul cazzo, ma sono le regole del gioco e un cane non si può mantenere da solo. Però fate conto che Sara sia molto meno divertente, che se ci fossero dei seguiti sarebbero peggio. Esattamente come l’originale. Junk culture e vestiti di Zara. Risvoltini e sneakers da corsa portati come stivali di camoscio. Non ne uscivo mai e ogni volta che cercavo di andare su un argomento fuori strada sapeva ogni volta come riprendere possesso della conversazione. Era insuperabile e determinata, che la scelta fosse ricaduta su di me era stato solo un caso estivo e di verginità accidentalmente smarrite su un sacco a pelo Decathlon. Di sicuro, se avessi saputo quello che avrebbe significato quella spiaggia per lei, forse, avrei preferito la mia compagnia al chiaro di luna. Non che ci fossi stato sempre male. Ma anche quella mi sembrava una tattica. Così affabile i primi tempi, e appassionata, poi il mio trasferimento l’aveva resa sempre più guardinga e lontana. Così calcolatrice da annotare ogni mio passo falso e stringere ancora la catena. Quando era apparsa la parola convivenza ho dovuto tossire così tanto da sputare fuori i polmoni per evitare un confronto che avrei, sicuramente, perso e adesso starei dividendo una doppia. Per fortuna non è andata così ma, forse, non sarebbe successo tutto questo. Chiamate insistenti, interrogatori su Skype e controllo quasi ossessivo. Era entrata così a fondo che non riuscivo nemmeno a tradirla, riuscendo ad allontanarmi dagli amici e a farmi indossare una corona di spine per quella sua realizzazione da b-movie così anni ottanta.

“Marty quel coglione non mi risponde. Chissà con chi starà scopando. Non posso lasciarlo un secondo libero che combina dei casini. Non dovevo lasciarlo partire. O forse dovrei mollarlo e basta.” Sara, come nella peggiore dei teen movies telefonava all’amica stesa sul letto, come se gli anni delle medie non fossero mai passati e i peluche non siano solo attira polvere.

“Sono anni che te lo diciamo, quello è uno sfigato. Dovresti andare col figlio del Puli, quello sì che è uno che fa per te e ti ha sempre sbavato dietro”

“Il giovane Puli, con le sue camicie stirate bene, la sua macchina lucida e un master d’economia”

“Dimentichi la cosa più importante”

“Oh no, fidati che quel conto in banca chilometrico è impossibile da dimenticare”

“Non sto parlando di quello”

“Ah no? E di cosa?”

“Non fare la stupida, sai cosa si dice del giovane Puli e dell’altra cosa che non si dimentica. E te lo posso assicurare, non lo si fa”

“Non starai parlando di quello che penso io”

“Del suo cazzo enorme, sì. Un braccio di bambino prematuro, te lo giuro. Stupido come pochi, ma sai come si fa. Dio ti ripaga per quello che ti toglie..”

“Sai che certe cose non sono importanti per me e quello di Andrea è così dolce.”

“Non lo sono per nessuno, ma non raccontiamoci balle, quando c’è così tanto perché accontentarsi della normalità?”

“Che dici, lo chiamo?”

“Lo sapevo che eri una di noi”

“Sei tu che fai uscire la parte peggiore di me” Appena riagganciato si era messa davanti allo specchio a spazzolarsi i capelli canticchiando mentre il cellulare del Puli squillava ancora a vuoto.

“Ciao Sara, successo qualcosa?” Le scappava un sorriso, quel bonaccione che non avrebbe fatto un pelo senza i soldi e la sua aria da scimmietta in cerca di padrone.

“Niente, pensavo che domani si potrebbe uscire al cinema, alle otto che dici? C’è un film che voglio assolutamente vedere”

“Ok, ma Andrea..”

“..Ci penso io a lui. Alle otto ti aspetto sotto casa, vedi di non lasciarmi lì” E aveva riattaccando, canticchiando ancora quell’inascoltabile motivetto da televendita, sapendo che il giovane Puli avrebbe messo la tenda pur di non tardare.

Quando inneschi una bomba poi i danni collaterali sono inevitabili. Sara mi aveva appena mandato uno dei suoi mille messaggi. L’ho aperto sbuffando ma poi leggo che non stavamo più insieme. Neanche il tempo per dirigere gli occhi al cielo e ringraziare quel fottutissimo sconosciuto, come si fa in queste occasioni, che uno dei poliziotti più abbronzati, o solo più scuro degli altri, mi afferra un braccio e mi alza di peso. “Deve venire con noi adesso.” Alex che urla qualcosa su un avvocato e Ally McBeal, o cose del genere. Il momento è finalmente arrivato, penso, mentre mi caricano sulla volante senza sirene, da solo finalmente.

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