«Prima ancora di essere umani, siamo stati dei bevitori. L’alcol esiste in natura ed è sempre esistito. Quando la vita è cominciata, quattro miliardi e rotti di anni fa, c’erano microbi unicellulari che sguazzavano felicemente nel brodo primordiale, nutrendosi di zuccheri semplici ed espellendo etanolo e anidride carbonica. Pisciavano birra, in sostanza.»
Quando parliamo di alcol pensiamo solo alle conseguenze sulle nostre vite – astemi a parte – come la spensieratezza, la disinibizione e — nel peggiore dei casi — nausea e vomito. Breve storia dell’ubriachezza, edito da Il Saggiatore e scritto da Mark Forysth, ci racconta invece la nascita dell’alcol, dalla Bibbia fino ai miti legati al proibizionismo. Sin dall’inizio della lettura ci è subito chiaro perché, bevendo, ci venga spesso fame. L’alcol infatti stimola un neurone specifico (ipotalamico Agrp) che poi è lo stesso che si attiva quando siamo realmente affamati anche se non siamo ad un aperitivo. Inoltre, durante l’evoluzione, è nato un enzima ben preciso con il compito di metabolizzare l’alcol aiutandoci così a non crollare dalla sedia al primo sorso di una qualche sostanza liquida alcolica. Probabilmente l’antico Egitto avrebbe aspirato a qualcosa del genere: gli egiziani amavano ubriacarsi e pensavano che la birra avesse salvato il genere umano. Erano pazzi, penserete voi. E invece no perché la storia narra che Ra, il dio più importante, stanco che gli uomini parlassero male di lui, decise di mandare sulla terra la figlia Hathor per punirli e ucciderli. Sentendosi in colpa, Ra decise che poteva bastare così ma la dea non era d’accordo; preparò quindi 7000 barili di birra e li tinse di rosso così da far pensare ad Hathor che fosse sangue. La dea era talmente contenta che iniziò a bere fino ad ubriacarsi e non ricordarsi più della sua missione omicida. L’alcol salvò loro la vita tanto che ogni anno si festeggiava la Festa dell’ebbrezza.
Anche nella Bibbia troviamo storie di ubriachezza. Noè seminò un vigneto subito dopo il diluvio universale e Lot venne abusato dalle figlie dopo essersi addormentato ubriaco. Così come nell’Antico Testamento, anche nel Nuovo se ne parla e il protagonista questa volta è proprio Gesù. Tutti sappiamo che alle nozze di Cana trasformò l’acqua in 450 litri di vino e che durante l’Ultima cena ordinò ai suoi compagni di bere. Anche il prete oggi beve il vino prima di distribuire l’ostia ai fedeli. Scopriamo anche che nel Medioevo c’erano differenze sostanziali tra una locanda, una taverna e una birreria. La locanda era quella più costosa ed era dotata di stanze e stalle per i cavalli. Si presume che Shakespeare ne fosse un frequentatore perché al Tabard Inn vi è inciso il suo nome nel legno. Le taverne invece vendevano il vino – costoso poiché importato – ed erano anch’esse riservate a uomini ricchi che potevano aver voglia di divertirsi con prostitute o con il gioco d’azzardo. E poi ci sono le birrerie. Bisogna subito ribadire che inizialmente c’era solo la ale, preparata con orzo e acqua, fino a quando non arrivò il luppolo a Londra e poi si diffuse in tutta l’Inghilterra. Rispetto alla ale, la birra, quella vera, poteva durare anche più di un anno, essere prodotta su larga scala e venduta nelle taverne. Ritornando alle birrerie però erano le mogli (ale-wife) che birrificavano e quando preparavo più birra, questa veniva venduta proprio fuori casa.
Altra storia curiosa è quella della Russia. Nel 1914 lo zar Nicola II dichiarò fuorilegge la vendita di vodka, e quattro anni dopo – lui e il resto della sua famiglia – finirono per essere giustiziati proprio per questo. Per capire questo passaggio Forsyth ci spiega che lo stato dipendeva dai ricavi legati agli alcolici e quindi era anche dipendente dall’alcolismo dei suoi abitanti. Per questo motivo non c’erano incertezze perché i russi bevevano moltissimo e la maggior parte di loro moriva proprio a causa dell’alcol. Fu Stalin che nel 1925 revocò il divieto sulla vodka e ora, un maschio russo nella media beve solo mezza bottiglia di vodka al giorno.
Una piacevole scoperta è stato il capitolo dedicato al proibizionismo. Le leggi che proibivano gli alcolici risalgano a più di mezzo secolo prima del Volstead Act (siamo intorno al 1851). Il proibizionismo è nato come movimento femminista, nel Midwest, e non era nemmeno contrario all’alcol bensì ai saloon nei quali le donne non potevano entrare. Nel 1873 fondarono la Women’s Christian Temperance Union che nel 1890 prese il nome di Anti-Saloon League. Il XXVIII emendamento non specifica quali alcolici siano proibiti ed è solo con il Volstead Act che si puntualizza la questione dicendo che non dovevano superare lo 0,5% vol. La conseguenza del proibizionismo è stata senz’altro il disfacimento dell’industria alcolica americana – non essendo legali i birrifici o le distillerie si fabbricavano alcolici alla meglio – con il conseguente declino del gusto.
Questo saggio merita di essere letto perché dall’alcol non si può scappare, come abbiamo visto. C’è chi beve per dimenticare o chi beve solo quando è in compagnia; ci sono paesi che hanno cercato in tutti i modi di proibirlo e altri che hanno fatto leva sull’alcolismo ma l’oggetto è sempre lui. Anche gli animali bevono: lo fa l’aluatta dal mantello che si ciba dei frutti delle palme di astrocaryum (4,5% vol.) e lo fanno anche gli elefanti che in India, nel 1985, riuscirono ad entrare in una distilleria fino a prosciugarla.